Oggi, venne
in visita da me Sesac; e
mi consegnò questo racconto che pubblico, come sempre, assai volentieri.
Tratta, come consuetudine, della vita degli animali della foresta
e dei fatti di un tempo che fu.
Sam Cardell
Tratto da “i
Dialoghi” di Sesac
I mali della Chiesa.
Leone
si svegliò sul tardi.
La sera precedente si era
coricato a tarda ora involontariamente, intento com’era a rivedere,
approfondire e completare dei suoi studi di gioventù.
Su sollecitazione esterna,
infatti, era quasi tentato di sottoporsi a un esperimento pilota di rapidità:
prendere una nuova qualifica professionale in un lasso di tempo molto breve,
cioè in meno di un anno, alla sua quasi veneranda età, bruciando i
quattro/cinque anni normalmente richiesti.
Leone si era quasi deciso a farlo,
per fare … poker. Davanti a sé aveva solo l’imbarazzo della scelta su quale materia
puntare tra quelle propostegli. Imbarazzo non di poco conto, considerati i suoi
molteplici interessi passati.
Tuttavia era diventato un po’
pigro. Perciò, non desiderando fare troppa fatica, ristrinse la scelta a due
materie che già ben conosceva: sociologia e psicologia. Virò deciso su
quest’ultima, anche se entrambe avevano connessioni con la simbiologia. Per
l’altra, eventualmente, avrebbe fatto un secondo round, se ci avesse … preso
gusto. Le sfide (quasi) impossibili erano sempre state, infatti, il suo forte,
sia culturalmente che professionalmente.
A farlo propendere per questa
scienza era per lo più il fatto che aveva già pronta nel cassetto la tesi
adatta, avendola presentata anni prima a un congresso: “L’analisi transazionale
come fattore primario per la comprensione psicologica del comportamento
individuale e di massa, seguendo le onde, a flussi susseguenti, culturali,
architettoniche, politiche e strutturali della società.”
S’era, comunque, riservato del
tempo per decidere, sia per le analisi cliniche cui doveva sottoporsi a breve,
sia perché tra la trentina di esami previsti ve n’erano due che proprio non gli
garbavano affatto: l’inglese, che non aveva mai accettato di studiare, pur
conoscendo in gioventù sei lingue, e il … tirocinio.
Cosa, quest’ultima, che riteneva
ridicola per uno già avanti negli anta e per il quale l’esperimento era quasi
solo uno sfizio e non uno sfogo professionale futuro. E a poco valeva, pure,
l’offerta della Leonessa a insegnargli
personalmente l’inglese con … tanto amore, essendo uno scolaro molto … molto difficile.
Leone riteneva, pur tenendo i
piedi ben piantati per terra, che almeno una decina di esami li avrebbe potuti
affrontare di fila anche in un solo giorno, senza il bisogno di alcun
approfondimento o ripasso.
Dopotutto i professori – ma non
solo quelli -, nella sua vita da adulto li aveva sempre guardati dall’alto in
basso, sciorinando quella cultura approfondita e complessa che, spesso, rende
l’esaminato il vero esaminatore.
La Leonessa era solita commentare
che lui usava la sua cultura e dialettica come un’arma, per abbattere
l’avversario. Se - aggiungeva – avesse fatto l’avvocato, avrebbe preso giudice,
giurati e controparte per sfinimento.
Sta di fatto che lei, però, non l’aveva
presa per sfinimento, bensì con l’intelletto. Infatti, costei, all’inizio si
chiedeva se non temesse che gli avrebbe potuto dire di no. Cosa di cui Leone
non s’era neppure mai posto il problema.
Era una splendida giornata di
sole, quasi primaverile.
Leone, pertanto, decise di
muovere alcuni passi in montagna, onde provare l’arto dx che da mesi gli poneva
grossi problemi.
Con Bipperino
e Billyno giunse nell’immediato meriggio in
altura, parcheggiando oltre la cascina poco
sotto il boschetto di ginepri, onde evitare le placche nevose ghiacciate che
coprivano in parte la pista tagliafuoco.
Più giù, il cascinale era deserto
e orfano di Gini, che, gravato dall’età, da oltre
un anno s’era ritirato più in basso nella sua Predai.
Ora tutto sembrava diverso. Pure
il silenzio immoto del monte, che solo il frusciare del Phon a tratti musicava.
Mentre, prima, v’era un cicaleggio continuo di strumenti sonori ben assortiti
che allietavano l’incedere del solitario viandante: il muggito della mandria,
il latrare di Moro, il canto vibrante dei
galli di Gini e il gaì dello stesso, che squarciava a tratti la quiete del pascolo
e del bosco sottostante in modo spesso convulso e assordante.
S’incamminarono.
E mentre Billyno si slanciava con
entusiasmo sul sentiero innevato che corre tra gli smeraldini e vellutati ginepri,
Leone volse lo sguardo in alto, a rimirar la candida vetta dello Sparavento, inondata dal sole.
Inspirò profondamente, puntò con
gli occhi la preda lontana e gli inviò questo messaggio: Quand’anche dovessi sputare sangue, sta pur certa che il
mio tallone poggerà pure oggi sulla tua cima.
Più su v’era molta neve farinosa;
Billyno vi sprofondava, come inghiottito, e procedeva a saltelli per togliersi
dall’impasse continuo, quasi imitando l’incedere della lepre.
Leone lo seguiva distanziato e
lentamente per non affaticare troppo la gamba dolorante, sbuffando come un
tasso nell’alto manto bianco.
Giunsero infine alla pozza dei
Marsì, ch’era un’unica lastra ghiacciata coperta di neve. La superarono,
affrontando indi la ripida e lunga erta finale che, percorrendo il crinale,
sbuca in vetta.
Leone vi giunse abbastanza
provato, ma contento per aver superato bene la prova.
Poco sotto la vetta il sole,
sfruttando il calore di una roccia calcarea che fuorusciva dalla neve, aveva
liberato un piccolo spazio, dove la compagnia si sistemò per riposare e
rifocillarsi.
Billyno, che aveva una fame da
lupo a causa della salita, divorò in breve la brioche spezzettata, la frutta
secca, il fondente e i biscotti che Leone gli mise nella sua ciotola, sorbendo
poi tutto il tè caldo al latte che gli versò nell’altra. Si distese quindi ai
piedi di Leone, guardando i laghi giù in basso, su una zolla erbosa asciutta.
Leone osservò compiaciuto la
grande piana, che si stendeva uniforme e grigiastra fino alla muraglia nerastra
degli Appennini e delle Marittime. Pareva il grande, immenso lago Gerundo che
un tempo la ricopriva.
Poco appresso, alle loro spalle,
la tozza croce sommitale in pietra vegliava su tutto, rimirando compiaciuta
l’ampia seghettata candida catena alpina che, millenni prima, il suo inquilino
aveva creato, disegnando con abile maestria.
Fu così che lo stesso inquilino
ricominciasse a dialogare con Leone.
“D: Ciao, Leo. Ti vedo un po’ afflosciato dallo sforzo
dell’ascesa. Era un po’ che ti attendevo quassù. Come ti va?
L: Da papa, Buon Dio, se il papa fosse un cane.
D: Questa è bella. Burlone! Perché dici così?
L: Beh, vedi Billyno? Secondo Te vive meglio lui o un papa?
D: Sicuramente lui. Devo però aggiungere che lui è un cagnolino
non solo beato, ma pure fortunato.
Proprio come Madame, che ha chi si cura di lei a tempo pieno. A parte la vista, pur
centenaria, la trovo bene. Giorni fa la vidi passeggiare con te presso la
cascina come una giovincella.
L: Già, su questo non Ti posso contraddire, anche se basta un
piccolo soffio per cambiare tutto. Però la sua longevità è dovuta a una Tua
precisa scelta.
D: Non capisco. Quale sarebbe?
L: Mi pare semplice. Per ora me la sorbisco io e non Tu. Sai
come sarebbe avertela accanto con tutti quegli oremus ossessivi, spesso
maccheronici?
D: Vedo che sei di buon umore. Quando burli in questo modo è
buon segno.
Sai, mi è giunta voce che stai per intraprendere un nuovo ciclo
di studi. Poi, consentimi, Mi troverò in difficoltà a dialogare con te.
Assommerai troppi titoli, mettendomi in … soggezione.
L: Per ora è solo una voce, anche se non è esatto dire ciò. La
materia come sai la conosco da tempo.
Vedo che pure Tu sei di buon umore. Aggiungerò: non è l’abito
che fa il monaco.
Come si dice in gergo? Chi sa fa, chi non sa insegna, chi non sa
insegnare ha cattedra in università.
Tu, quante lauree avevi acquisito per insegnare tre anni, per
curare, per miracolare e resuscitare?
D: Erano altri tempi, Leo. Poi, come sai, l’Onnipotente è già
qualificato in ogni materia. Lui ha creato le scienze. Lui è Scienza!
L: Già. Così alcuni hanno affermato e affermano tuttora. Ti faccio
solo notare che un teorema teologico, non è necessariamente scientifico.
D: Filosoficamente è un’osservazione corretta. Te ne dò atto.
Però, vorrei parlare un po’ con te di una questione che alla Peter house stanno ora
dibattendo i miei grandi druidi.
L: Ti dirò: la cosa mi giunge nuova. Con loro dovresti discuterne,
non con me. In verità non sto seguendo il caso.
D: Ma va! Tu sai benissimo dei mali della Mia Chiesa.
L: Alludi alle cinque piaghe di Rosmini? 1) Divisione del
popolo dal clero nel pubblico culto.
Riformato col Vaticano secondo ma esistente ancora in buona parte dei preti che
… se la credono; 2) L’insufficiente
educazione del clero. Qui diciamo che vi
è stato pure un peggioramento; 3) La
disunione dei vescovi. Anche se non è
una novità pure oggi; 4) La nomina dei
vescovi abbandonata al potere laicale. Sarebbe
molto interessante fare un discorso su come ora vengano nominati; 5) La servitù dei beni ecclesiastici.
Infatti oggi i più dei preti e dei vescovi sono tanto amministratori e poco
(per nulla) pastori.
D: Su, Leo, non prenderti gioco di Me e non girare troppo il
coltello nelle ferite.
Sai benissimo che stanno discutendo di pedofilia, specie di alcuni miei ministri.
L: E beh? Che c’è di nuovo in ciò? Il fatto che ci sia un
peccato non significa che tutti siano peccatori. In queste cose il fatto mi
entra da un orecchio e mi esce subito dall’altro.
D: Dimmi: credi che le accuse siano costruite ad hoc, oppure
vuoi sminuire la gravità dei fatti e del peccato?
L: Vedi, Buon Dio, io credo che più di discutere di pedofilia
nella Tua Chiesa, i Tuoi sommi druidi dovrebbero discutere della sua eziologia.
Ma, purtroppo, questa sfugge alla loro comprensione e attenzione.
Diversamente, dopo il Dimittantur del 1854, non credi che sarebbero corsi ai ripari?
D: Che intendi dire?
L: Vediamo se riesci a capirmi. Cercherò d’essere molto
sintetico.
Dopo il Vaticano II la “moda” fu il rivoluzionare la liturgia,
tramutando quasi il rito (messa) dal sacralismo alla sacralità, perciò
spettacolarità. Anche se ciò era ben lungi dalle intenzioni dei Padri
conciliari.
Poi, venne il Polacco. E si cambiò tematica: fu moda chiedere
perdono degli errori passati. È, infatti, molto più facile chiedere scusa degli
errori altrui, piuttosto che dei propri.
Poi venne il Tedesco e quello si fissò sul Motu Proprio Summorum Pontificum.
Poi, come sai, si mise a riposo volontariamente.
Ora c’è Franceschiello e la moda, pur non sottovalutando il
problema, è quella della pedofilia. La pedofilia, però, è sempre esistita. Che
sia diventata di pubblico dominio credo sia un fatto mediatico.
Ogni società, infatti, è solita scaricare le responsabilità
proprie su un capro espiatorio. E, come ben sai, il capro deve essere un
simbolo preminente, non subalterno. E chi, come Ente morale e spirituale è più
capro espiatorio di tutti se non la Chiesa? E nella Chiesa, chi se non un alto
prelato?
D: Su ciò condivido. Ti faccio però notare che è un peccato
abominevole, specie se è stato praticato o è tuttora praticato da alti prelati,
oltre che da alcuni miei semplici ministri.
L: Ognuno ha le sue idee, Buon Dio. Pure Tu.
Però, dimmi: secondo Te tra i tuoi ministri, alti o bassi, sono
più i pedofili, i puttanieri o gli omosessuali?
D: Perché mi fai questa domanda che è molto imbarazzante?
L: È solo per creare una statistica, quindi una priorità dei
mali. Perciò risponderò io per Te.
Nella mia vita, compreso quando mi furono affidati alcuni tuoi
ministri con gravi problemi di vario tipo, ho solo sentito parlare di due
probabili preti pedofili. Personalmente non ne ho mai conosciuti.
Di omosessuali ne ho conosciuto un paio, di puttanieri varie
decine.
Come sai bene tra i miei vicini vi sono due figli di tuoi preti.
Uno di questi figli è pure un mio parente.
Ne consegue che il problema del ministro puttaniere, pur con le
attenuanti dell’Eva tentatrice, sia nella Tua Chiesa molto più praticato della
pedofilia e dell’omosessualità.
Poi, ho conosciuto varie centinaia di Tuoi ministri
perfettamente corretti e in molti casi pure santi.
Se poi rapportiamo i dati ora citati con quelli della società
laica, pur in una compatibile scala di corretta percentuale, giungo alla
conclusione, in base alle mie conoscenze, che nella società queste percentuali
vengano moltiplicate almeno per cento.
Poi, scusa, a Sodoma e Gomorra erano tutti … santi?
D: Sul tuo discorso condivido. Ciò, però, non esclude la gravità
della tematica e l’odiosità di tale peccato.
L: Vedi, io credo che “il” peccato sia “un” peccato. Ciò
significa che se non si guarda all’eziologia che lo genera, tutto vada poi a
sfociare o nel capro espiatorio o nel qualunquismo moralista.
E, pur da lontano, mi pare che la conclusione di questo summit
vada a colpire sia il capro espiatorio, sia a finire nel qualunquismo
moralista.
Per l’odiosità che affermi, poi è tutto relativo. A Te pare
odioso, a me pare solo un comportamento riprovevole e degenerato. Chi subisce
il peccato altrui, qualunque questo sia, lo considera odioso. Se fatto ad altri
allora è solo riprovevole.
D: Che intendi? Spiega!
L: Beh, mi pare semplice.
Come sai io sono garantista. Perciò si condanna con prove certe
o perché il soggetto incriminato ha reso pubblica ammissione. Non si fanno
processi indiziari, anche se è molto di moda. Credo che la Tua Chiesa abbia
pure propri tribunali, anche se per lo più su questa tematica lascia fare alla
società.
Capisco pure l’opportunità morale di certe scelte, anche se
l’impedire a un cardinale, che si è sempre dichiarato innocente, pure di dire
la messa e di amministrare sacramenti mi pare un abominio.
Questa, se mi consenti, è una decisione solo … di opportunismo
politico ecclesiale.
Poi, nella Tua Chiesa, quanti santi vi sono che prima erano
grandi peccatori?
D: Capisco. Tu che avresti fatto al loro posto?
L: Lo avrei lasciato nel suo rango, pur evitandogli la
rappresentanza mediatica, mettendolo momentaneamente a riposo. Un consacrato
resterà sempre un consacrato. Nessuno, neppure un papa, può affermare che,
anche se ridotto allo stato laicale, se amministra un sacramento questo sia
nullo. Diversamente cambiate la teologia e il Diritto Canonico.
Di norma si colpisce il peccato, non il peccatore. Il peccatore
va salvato e redento. Non sei venuto proprio per questo?
D: Scusa, Leo, ma le vittime che chiedono giustizia?
L: Chi accusa non necessariamente è sempre nel giusto; talora vi
sono pure degli interessi venali. E quando uno esce allo scoperto dopo anni o
decenni, allora sorge il sospetto che qualcosa non quadri, sia nella presunta
vittima, sia nella sua complessa personalità. Tu, hai mai visto una vittima che
non abbia qualche sua anche minima responsabilità?
Mi pare che dalle notizie che sono state fatte trapelare, i casi
di pedofilia trattati risalgano per lo più agli anni sessanta e settanta.
Come sai nel vecchio rito del sacramento matrimoniale, poi
riformato, quando una coppia contraeva il sacramento, il celebrante prima di
congiungerli a un certo punto diceva, rivolto agli astanti: Chi ha qualcosa da dire parli ora; oppure taccia per sempre. Credo, ma non ricordo più bene, che ciò avvenisse anche
durante la consacrazione sacerdotale, pur se con modalità diversa.
Non intendo sminuire la gravità del problema, ma il dargli tanta
importanza ora, mi pare un parallelismo alle mode precedenti già citate.
D: Il tuo pensiero ora mi è chiaro.
Però mi parlavi di eziologia del peccato. Illuminami su ciò.
L: Bene! Io, più che pensare, credo fermamente che il problema
sia a monte. In parte è addebitabile a Te, che li hai scelti e chiamati, in
gran parte ai Tuoi druidi, che li hanno allevati per anni e poi consacrati.
Che poi abbiano in seguito coperto i rei, questo è un discorso
parallelo e diverso che meriterebbe altra argomentazione. Diciamo che in ciò
siamo ancora ai tempi di Rosmini.
Poi, secondo la Vostra teologia, un vescovo è scelto dallo
Pneuma, perciò da Te. E qua sta il primo cavillo.
D: Che intendi?
L: Mi pare semplice. Se questo postulato teologico fosse vero,
allora Tu saresti correo dello stesso pedofilo, conoscendo perfettamente le sue
tendenze, le sue abitudini e i suoi peccati. Uno, come puoi ben capire, non
diventa tale da vecchio. Perciò Tu, vocandolo a essere Tuo Apostolo, devi aver
sbagliato qualcosa, se non molto. E, quand’anche lo diventasse da vecchio,
nella Tua preveggenza avresti dovuto ponderare ciò.
D: Già, Leo, vuoi che non fosse così? Alla fine la colpa sarebbe
Mia.
Ora, ascolta Me: Pietro e Paolo non erano stinchi di santo,
prima. Tuttavia svolsero poi un ruolo basilare nel ministero ecclesiale. E
allora?
L: Vero, e lo fecero come molti altri. Però qua è esattamente il
contrario: questi non erano santi prima, né lo furono dopo, perciò ora. Anzi:
dopo furono peggio di prima.
D: In parte è vero. Tuttavia i miei fini sono imperscrutabili
per gli uomini. Può darsi che, pur peccando gravemente, siano serviti al bene
della Chiesa.
L: Bravo! Vedo che stai diventando machiavellico; dove il fine
giustifica i mezzi. Sarà perché il loro peccato e scandalo serva alla
purificazione della Chiesa?
D: Procedi, Leo. Non vorrei litigare con te su questo dettaglio.
L: Ok!
Uno, come ben sai, non diventa prete da un giorno all’altro, ma
segue un lungo ciclo di preparazione.
Perciò chi lo segue, lo istruisce e lo prepara al ministero deve
avere una capacità tale da capire le eventuali magagne che costui può avere o
manifestare in futuro. Diciamo: deve essere uno molto qualificato.
Come sai io vado nelle Tue pievi più per analisi che per altro.
E quando vi è la giornata del seminario o vi trovo dei giovani preti sai che
vedo di norma? Dei borderline e dei complessati, con tic notevoli e carenze
spesso macroscopiche.
Anche se poi penso che Tu possa usare le pietre scartate dai
costruttori per farne testate d’angolo.
D: Leo, questa tua celata ironia accusatoria tende ad irritarmi.
L: Calmati e non agitarti. Seguo solo un ragionamento
d’ipotetica congettura.
Ora, se in passato mi sono stati affidati alcuni casi
particolari da seguire, significa che i Tuoi druidi non erano in grado di
farlo.
Nei borghi, una volta, vi erano tre personaggi di riferimento:
il prete, il medico e il notaio.
Il prete era uno dei tre “sapienti” della comunità perché sapeva
leggere, scrivere e alcuni studi li aveva fatti. Ora, invece, chi è? Spesso
l’“ignorante” della comunità, perché molti hanno studiato e sanno più di lui.
Ma ciò sarebbe ininfluente.
La mia impressione è che li allenino alla pratica abnorme della
preghiera, trascurando il vero senso del loro ministero futuro. La preghiera
che cos’è se non la qualifica degli zuccabanchi?
D: Che intendi?
L: Che il seminarista deve essere edotto e educato perfettamente
alle rinunce della vita a cui il ministero lo chiama. Di ciò deve essere
cosciente per non trovarsi poi in difficoltà, o nel peccato, al primo intoppo
della sua vita sacerdotale. E per non dare poi grande scandalo.
Diversamente è meglio che cambi vocazione; o, se preferisci,
professione.
D: Capisco perfettamente. La principale rinuncia è infatti la
sessualità. Il celibato non è solo quello eterosessuale, ma coinvolge tutta la
sfera e le tendenze sessuali.
L: Bravo!
Vedi, per quanto ora sia lontano da tempo da questo ambiente,
nell’analisi che svolgo non mi pare che ciò avvenga.
Perché, a mio parere, vi sono due pecche nei seminari: la
cultura prioritaria della preghiera, perciò dell’adorazione, e quella della
delazione. Tutto il resto va in subordine.
D: Leo, permettimi, ma la seconda mi giunge nuova.
L: Dici? A me non pare. È la gerarchia verticistica che s’è
creata che porta a ciò. Chi sta sopra è sempre quello che decide, piaccia o non
piaccia a tutti gli altri. Non è forse così anche nei consigli pastorali?
Solo nel concilio avviene la perfetta democrazia teosofica.
Ne consegue che chi decide deve sapere tutto di tutti; ma il
tutto e quello che riceve dagli altri, quasi mai dal soggetto interessato o
inquisito. Perciò si basa sulla delazione, intesa anche positivamente.
Che manca al decisore? La capacità d’inchiesta, intesa a mettere
sintonia tra accusa e difesa, tra pro e contro. Capacità che spesso viene
sostituita dalla preghiera, come se l’illuminazione debba sempre venire da Te e
dal colloquio reverenziale con Te.
Ecco perché poi le colpe, incidentalmente, sono poi le Tue.
D: In parte condivido il tuo pensiero. Ti faccio però presente
che il prete, o il prelato, sono esseri umani, perciò fallaci (peccatori),
molto diversi dalla Perfezione del concetto di Dio.
L: Io, invece, condivido appieno ciò che or ora hai detto: il
concetto di Dio. Che in effetti è un postulato teologico.
Da dove deriva la loro fallacità? Semplice: dall’incapacità di
analisi, perciò del decidere con la giusta ponderazione. E l’incapacità da dove
deriva? Dall’impreparazione e perciò dalla mancata esperienza a fare. E non venirmi a dire che la carne è debole; è
la testa che è debole.
E questo errore dove spesso si è manifestato? Nello spostare
preti nel peccato in altri ruoli o luoghi, in modo che ciò non diventasse di
pubblico dominio, perciò di scandalo alla comunità. Magari, spesso, usufruendo
del promoveatur ut amoveatur. Perché il pericolo dello scandalo avrebbe creato
imbarazzo e un grande problema di credibilità, sia nei fedeli che nell’opinione
pubblica.
Ciò non ha risolto però il problema del peccato, ma lo ha
spostato da un’altra parte, dove puntualmente si replicava. Mentre il soggetto
doveva essere curato, perciò istruito e “convertito”.
D: Concludi, Leo. Non voglio farti far tardi. Come vedi il sole
tende al tramonto.
L: Ok, sarò conciso.
Vedi, Buon Dio, la Tua Chiesa ha i suoi tribunali ecclesiastici,
già codificati con il costantiniano Privilegium
fori, perfezionato poi da Teodosio e
riconfermato nel Sillabo (1864) di Pio IX. Pure Agostino d’Ippona fu un apologo di
questa decisione, anche se poi molti bollarono tutto ciò come Cesaropapismo. Questi decreti si
basano sulla concezione che essendo Tu il Giusto, illuminando la Chiesa con lo
Spirito, la giustizia della Chiesa sia meno fallace di quella umana, perciò (più)
perfetta. Giudicare viene dal latino Ius dicere; quindi dire il giusto secondo
il diritto e la legge. Di là verrà a
giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non
avrà fine. Basti ricordare
Rm 14,9 e Ef 1,21-22.
Per quanto mi risulta procedono con molta discrezione e serietà,
escludendo il clamore e la morbosità mediatica, salvaguardando, quindi, la
riservatezza dell’inquisito o del peccatore. È come una duplicazione
procedurale della confessione, dove però non è il reo che comunica il suo
peccato, ma dove è l’autorità ecclesiale che analizza i fatti per giungere a
una conclusione nella riservatezza totale. È ciò che dovrebbero fare per l’accusato di
pedofilia, pur lasciando che la giustizia civile faccia il suo corso parallelo.
Perciò senza questo giudizio, ritengo personalmente “illegali” anche le
decisioni pontificie in materia.
Io credo che i veri mali della Tua Chiesa non siano l’adulterio,
l’omosessualità e la pedofilia. Questi in verità sono solo dei peccati che sono
destinati a scemare rapidamente per via della quasi estinzione del clero.
I mali reali sono: l’organizzazione, l’incapacità e la
concezione corrente che il demonio si sia insinuato nella Chiesa per
abbatterla.
Loro, intanto, Ti pregano notte e dì; ma i problemi restano. Il
resto, forse, se lo sono … scordato.
Sai, della Chiesa si diceva una volta che è: una, santa,
cattolica e apostolica. Ora, invece, che
è peccatrice e pervasa dal demonio che la vuol disgregare.
Peccato per “E io ti dico: Tu
sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi
non prevarranno contro di essa.” (Mt 16,18)
Teologicamente: a) è una nell’origine,
perché il modello e il principio è il mistero dell’unità nella Trinità delle
Persone di un solo Dio. Diversamente sarebbe politeista; b) è santa perché il Dio Trinitario è proclamato “il solo Santo”; di cui, il
Figlio – Cristo – ha amato la Chiesa come sua sposa, dando sé stesso per essa,
unendola a Sé come suo corpo e riempiendola col dono dello Spirito Santo. Ne
consegue che essa è chiamata il Popolo santo di Dio e i suoi membri santi. E
essendo santificata, per mezzo di Lui e in Lui diventa anche santificante; c) è
cattolica perché è universale secondo la totalità e secondo l’integralità,
essendo in essa presente Cristo. Ne conseguì, secondo i Padri della Chiesa, che
“fuori della Chiesa non c’è Salvezza”. Nota bene, Buon Dio:
“della” e non “dalla”; d) è apostolica perché è basata
sugli Apostoli (Ef 2,20), di cui i vescovi
sono i successori. I quali sono testimoni scelti e mandati in missione da
Cristo stesso. Essi trasmettono e custodiscono, con l’aiuto dello Spirito, il
Vangelo, cioè l’insegnamento, il deposito e le vere parole udite dagli Apostoli.
Ne consegue che fino al ritorno di Cristo essa sarà istruita, santificata e
guidata dagli Apostoli, tramite i loro successori.
Beh, ti dirò, - in modo sintetico e concludendo – che, visto
quel che succede, qualcosa in tutto ciò non quadra. Forse, ai successori
attuali degli Apostoli, gli si è annebbiata la … procedura.
Chi vivrà, Buon Dio, vedrà. Sai, non vedo lontano come Te, non
possedendo la preveggenza. Però, mi sa, che ne vedremo delle belle.
D: Grazie per la chiacchierata, Leo.
Mi complimento con te. Credo che pochi dei miei Pastori abbiano
le tue doti di analisi e la tua cultura. Ora capisco perché nella città di Taurus
il mio Falco Pellegrino tanto ti stimava.
Come sempre sei stato esaustivo nell’esprimere la tua analisi e
il tuo pensiero.
Il tuo discorso mi affascina sempre, perché analizzi tutto senza
mai dare nulla per scontato, neppure se codificato da secoli o millenni.
L: Che vuoi, Buon Dio, in ciò ho avuto un grande antesignano. Infatti
quando venisti quaggiù hai stravolto buona parte delle concezioni religiose di
allora, non dando nulla per scontato.
Figurati io, che non mi fido neppure di me stesso. Sai, a voler
essere sincero, mica mi fido poi tanto neppure di Te.
Ciao, ora scendo. Alla prossima.”
Leone versò a sé e a Billyno il
tè rimasto.
Rimise tutto nello zainetto e si
avviò velocemente verso il basso, prima che il calar del sole rendesse il manto
nevoso una pericolosa lastra ghiacciata.
Le Cozie si stagliavano nitide
all’orizzonte, favorite dal tramonto, col Monviso che s’ergeva superbo su
tutte.
La piana era un mare compatto ribollente
di nebbia, dalla quale pareva facesse ogni tanto capolino il mitico Tarantasio,
spaventoso mostro draghiforme del lago Gerundo.
A Leone, mentre scendeva, venne
spontaneo accostare Tarantasio al Demonio. Lui, al Diavolo credeva poco. Specie
analizzando quei poveri diavoli di … Pastori.
I miti, infatti, li riteneva una
derivazione escatologica delle aspettative umane: passati quelli giustificanti
l’origine, presenti quelli che danno un senso alle aspettative esistenziali,
futuri quelli che pongono interrogativi sulla fine.
Mentre scendeva, però, per lui il
demonio era il pericolo che la neve ghiacciasse. Ma ciò era una probabilità e
non un mito.
Il sole ormai era scomparso, ma
la neve aveva lasciato posto al pascolo;
e loro erano quasi al parcheggio.
Sesac
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