venerdì 17 agosto 2018

La redenzione.


Oggi, venne in visita da me Sesac; e mi consegnò questo racconto che pubblico, come sempre, assai volentieri.
Tratta, come consuetudine, della vita degli animali della foresta e dei fatti di un tempo che fu.

Sam Cardell
 
Tratto da “i Dialoghi” di Sesac
 
La redenzione.
 
Leone se ne stava seduto, lassù in vetta allo Sparavento. Riposava; e rimirava a sud il cobalto dei laghi, spaziando il guardo sull’ampia piana sino alla tenue muraglia degli Appennini, quasi celata dal ribollio dell’afa. Alle sue spalle vi era la tozza croce bianca sommitale.
Una fresc’aura mitigava la calura del primo meriggio, investendo il suo viso e asciugando dal sudore le madide braccia. Mentre, poco distante, verso la sommità del crinale ovest, una pollastra accalorata coltivava, seminuda, la tintarella, sfarfallando ritmicamente una zampa verso il cielo, onde eventualmente richiamare l’attenzione di qualche cornacchia grigia appetitosa, intenta a volteggiare nell’empireo.
Sentì una voce dietro le spalle. Era il saluto d’un venatorio, armato come Rambo, giunto lassù per estrarre dalla trappola, piazzata poco distante, un grosso cinghiale.
Rispose al saluto senza girarsi; mentre la pollastra al sole cominciò a starnazzare, anche se il bipede non era … la sospirata cornacchia.
Leone tornò ai suoi pensieri filosofici, estraniandosi da ciò che lo circondava.
Meditava sul Libro di Giobbe e sull’inutilità e vacuità delle concezioni fideiste, da un lato, e stoiche, dall’altro. Perché, in sostanza, fideismo e stoicismo sono le due facce della stessa medaglia.




Passò diverso tempo. Poi a un tratto sentì una voce che pareva chiamarlo così: Leo … Leo … Leo

Si riscosse dal meditare, e iniziò il colloquio senza girarsi.

 
Scambiò ciò per il soffio leggero del vento; ma poi, risentendo di nuovo, capì.
L: Ehi, finalmente sei uscito dal letargo. Le altre volte rimanesti muto. Ecco perché pure ora non ti ho disturbato. Sai, essendo quassù, non volevo che tu mi incenerissi, come un tempo faceva il tuo collega quando si adirava.
D: Alludi a Giove?
L: No, Buon Dio. A Zeus! Ma non confonderlo col grosso cane di Mocra; quello al massimo spalanca le fauci e ti azzanna.
Quel signore, per intenderci, che sta laggiù. Ovviamente non di quello dell’Anno B liturgico e che seguiva quel grezzo che fu, per tua elezione, il Tuo primo vicario.
D: Vedo che l’umore e la satira non ti hanno abbandonato. Sicuramente devi aver smaltito i postumi dell’ultima operazione
A proposito: com’è poi andata?
L: Diciamo che è … andata. Il resto lo sai benissimo da te, senza che te lo dica.
D: Le anestesie, forse, ti hanno incattivito l’umore.
L: Già. Forse.
D: Sai, prima ti chiamavo, ma non rispondevi. Eri troppo assorto nei tuoi pensieri.
L: Infatti! Però, dimmi: perché mi chiamavi tre volte di fila? Sarà pur vero che quell’esplosione mi lese un timpano, ma qualcosa percepisco ancora bene.
Non mi avrai mica scambiato per quel mio quasi omonimo di tre millenni fa.  Quel fessacchiotto, per intenderci, che scattava come una molla e diceva: Eccomi! (1Sam 3,4)
D: In effetti il vizio ce l’ho di chiamare più volte. Con te, però, me ne guarderei bene dal farlo di notte. So già che mi diresti.
L: Bravo! Vedo che riconosci i Tuoi limiti. Non per nulla Ti facesti uomo: quaggiù, come sai, vizi e imperfezione regnano sovrani.
Dato che sai tutto finisci bene il discorso. Comunque, data l’ora, avrei potuto essere in siesta e poco cambierebbe.
D: E vuoi che te lo dica Io? Mi diresti: Screanzato, non vedi che sto dormendo? Non hai altro da fare che importunare, con tutto il tempo che hai, quelli che dormono?
L: Bravo! Gira e rigira grosso modo sarebbe stato così.
D: Senti, Leo: non ho mai capito se tu creda nella redenzione.
L: Ma non mi dire! Tu, non sei forse colui che scruta anche nei pensieri più nascosti?
D: Già. Almeno così dicono di me gli umani.
L: Bene. Sicché usando la logica del sillogismo, pure Tu ritieni ciò. Ecco la pratica dimostrazione del possibile contrasto tra conclamazione e realtà.
D: Scusa Leo, ma mi sfugge il significato finale. Spiega meglio.
L: La cosa è un po’ complessa. Da Te, l’Omnisciente, non mi aspettavo questa domanda. L’interpretazione corretta si sviluppa in due tronconi correlati.
       a)      La prima è che, essendoTi fatto pure Tu umano, ciò lo possa affermare pure Tu. La seconda è che ciò che si conclama, non necessariamente corrisponda alla realtà, perciò pure alla verità. Verità e realtà dovrebbero essere sempre connesse, come sai, pur con effetti spesso discordanti per la possibile degenerazione del procedimento intellettivo e cognitivo. In questo secondo caso irrealtà e verità si oppongono.
Ne consegue che se la conclamazione è in realtà sbagliata, la verità affermata sia falsa, perciò errata. Infatti per la legge dei contrari, se il primo sillogismo non è scientifico, perciò filosoficamente esatto, ne consegue che il secondo sia necessariamente una considerazione impropria.
      b)      La seconda è analoga. L’uomo è imperfetto per due semplici motivi.
Il primo perché è limitato dalla contingenza delle cose, perciò percepisce e assimila solo una parte della realtà. Il secondo è che, siccome non può percepire il tutto, il suo divenire sia limitato e non universale.
D: Questo l’ho capito. Non capisco però il nesso con la Mia domanda sulla redenzione.
L: Beh, questo mi pare logico. Scusa: non affermi forse d’esserTi fatto Uomo? Non conclamano forse i Tuoi illuminati druidi da secoli che Tu sei vero Dio e vero Uomo
D: Certo! E allora?
L: Allora o si rivede il concetto di Dio o si rivede il concetto di Uomo. I due concetti, infatti, sono filosoficamente in antitesi. Non ti pare?


Leone attese a lungo la risposta. Dietro di sé sentiva un impalpabile rumore strano, seppur leggero e reale. Pareva l’effetto del frusciare della brezza tra l’erba alta del pascolo; ma gli parve pure come se qualcuno si grattasse con insistenza la nuca.
Dopo una lunga pausa il colloquio riprese.


D: Perché nel Mio caso non potrebbero combaciare?
L: Per svariate ragioni, la prima delle quali è che se Ti sei fatto volutamente Uomo, significa che un motivo preciso doveva esserci.
D: Certo. Amavo tanto l’uomo che venni per salvarlo!
L: Già. Così si dice. Ma, come sai, facendo ciò o diventi imperfetto o resti perfetto. Sicché Nicea va a ramengo.
D: Prosegui. Comincio ad intendere il tuo pensiero.
L: Come sai nella tua Chiesa vi erano allora più concezioni su ciò.
Tra le prime quella di Marciano, con la quale si riteneva che il Padre fosse un Dio inferiore, perché imperfetto nella sua essenza. Secondo i Tuoi libri sacri, infatti, appari iroso, vendicativo, punitivo e da continui imperativi categorici. L’uomo, più che una tua creatura appare e resta un tuo servo. Strano modo per essere il Dio unico e perfetto.
D: Continua Leo. Il tuo filosofeggiare incomincia a piacermi, oltre ad attrarmi.
L: La seconda nasce dal concetto Tuo, perciò di Dio.
Domanda: quale corrente filosofica allora primeggiava?
D: Mi pare facile la risposta: il neoplatonismo.
L: Bravo! In ciò sei preparato.
Sicuramente conosci le concezioni di Plotino: la perfezione di Dio è tale che, essendo pieno di sé stesso la pienezza fuoriesce da lui e prima crea e in seguito inonda il mondo. Sarà poco cristiano, ma erano le concezioni di allora. Non per nulla il Tuo prode Cirillo ne fece di cotte e di crude per contrastare tali idee.
Ne consegue che se il Figlio è fuoruscito in questo modo dal Padre, non è per un progetto specifico, ma solo per la sovrabbondanza Tua e del Tuo divenire. Divenire che è sostanzialmente diverso dal logicismo hegeliano.
Ovviamente siamo a due millenni fa. Perciò atteniamoci alle concezioni di allora.
Il fatto che il Figlio fuoruscisse dal Padre, anche senza un progetto specifico, in teoria non contrasterebbe con il teismo paolino. Infatti, come seconda Persona, con la stessa natura del Padre, trovandosi con una seconda natura (quella umana che manca al Padre), potrebbe benissimo aver ideato un progetto suo; tuttavia essendo della stessa sostanza del Padre, perciò in comunione nell’unitarietà, anche se nella diversità.
D: Per ora ho compreso bene tutto. Prosegui, Leo.
L: Il problema logico, Buon Dio, nasce a monte, sia che il progetto redentivo provenga dalla specifica volontà del Padre, sia che possa essere l’unilaterale decisione del Figlio.
D: Non capisco, Leo, dove sia il problema e quale sia.
L: Eppure mi pare semplice: la causa che produce il progetto. Il quid che lo genera.
D: Questo mi pare chiaro. Mi meraviglia che ti sfugga: l’amore per l’uomo e il donargli la salvezza.
L: Beh, Buon Dio, mi pare chiaro che noi due siamo molto diversi. Avrò pure una mente contorta, ma di certo non sono bigolo e neppure bigotto.
D: Perché affermi ciò? Cos’ha a che fare col discorso attuale?
L: Strano che Tu non lo comprenda. Non a caso i due lemmi hanno la stessa radice. Appunto per questo chi è bigolo è spesso bigotto e chi è bigotto di norma è pure bigolo. La radice “bigo” significherà pure qualcosa, specie se ha come iniziale “bi” che significa due/due volte. In pratica come lo è per bifolco: colui che sta tra due solchi.
D: Credo di capire ciò che intendi. In pratica sarebbero coloro che non scientemente stanno (credono) senza avvedersene in due realtà che sono in contrapposizione.
L: Bravo! Hai inteso perfettamente. Come sai non uso mai i termini in segno spregiativo, ma solo in positivo.
D: Questo lo so. Tuttavia continua il discorso, che ritengo molto interessante.
L: Bene. Proseguo.
Come sai il Tuo grande Aperitivo Purpureo credeva: in pratica aveva fede. E che fede!
Tuttavia la sua ragione (mente) si ribellava alla follia della croce. Non riusciva a capirne né l’input, né la ragione. La sua domanda impellente era sempre quella e lo corrodeva intellettualmente: perché Dio ha voluto questo progetto?
D: In effetti ricordo bene il vostro confrontarvi e pure le tue due più significative risposte.
L: Allora dille.
D: La prima era: il concetto che abbiamo di Dio è errato e dobbiamo estrapolarlo dall’attuale concezione teologica, che è sostanzialmente fenomenologica, riconducendola alla Logica hegeliana del suo divenire.
La seconda era: il divenire implica sempre un miglioramento; ma il miglioramento corregge e perfeziona l’essenza precedente. Ciò significa perfezionare un’imperfezione.
Proprio così, dicevi: perfezionare un’imperfezione.
L: Bene, procedi nel discorso che lo hai percepito perfettamente. Lascio a Te l’onore e l’onere del procedere.
D: I riferimenti teologici hegeliani – dicevi – sono derivazioni perfezionatrici del neoplatonismo e più specificatamente del plotinismo. Hanno poco a che fare col tomismo, costruito su teoremi a cascata che partono non dall’empirismo, bensì dall’escatologia trascendentale.
La creazione – affermavi – è un’evoluzione continua, perciò una progressione costante e inarrestabile. Diversamente il mondo sarebbe condannato alla staticità.
Così deve essere inteso pure il concetto di Dio: un’essenza vivente in divenire, che dall’esperienza dovuta al suo creare e operare sa trarre un perfezionamento costante.
Ciò, ovviamente, porta con sé un sottinteso teologico non indifferente: il Pensiero (Dio) è condannato sempre a migliorare sé stesso sulla base del sapere e dell’esperienza acquisita, perciò pure ogni sua azione. Tra Dio e l’uomo vi è una sostanziale e abissale diversità intellettiva, per il semplice motivo che sapere ed esperienza raggiungono rispettivamente coefficienti molto diversi. Se uno è lo zenit, l’altro è il nadir.
Ciò significa che la creazione materiale fu solo l’atto iniziale sia dell’evoluzione del mondo, perciò pure dell’uomo, sia della conoscenza/esperienza di Dio.
Ne consegue che la creazione fu sì perfetta, ma solo allo stadio iniziale. In pratica aveva in sé limiti materiali che dovevano poi essere superati, quindi migliorati. Idem il Sapere di Dio, il suo Verbo e il suo stesso essere perfetto.
Solo in quest’ottica il progetto della redenzione può avere una concezione plausibile.
L: Bravo! Hai compreso benissimo. Sai, pur riepilogando Tu le mie concezioni, pare quasi che Tu stia pronunciando un nuovo Verbo.
D: Leo, ora lascia che sia ironico e beffardo pure Io: con un maestro par tuo ciò è il minimo che potessi fare.
L: Più che beffardo ed ironico sei realista. Infatti dal Tuo osservare l’uomo e la materia hai capito dove dovevi intervenire per rimediare alle anomalie iniziali.
D: Vedo che Mi hai dato il compenso del sabato. Buon per Me che non Mi hai dato del bigolo e del bigotto.
L: Beh, diciamo che quelli li riservo a tutti quei tuoi fedeli che credono ancora agli asini che volano.
D: Prosegui nel discorso, Leo.  Finora siamo in perfetta sintonia.
L: Break please, good god!
D: Che fai? Ti fai contagiare dalla Leonessa?
L: No. Il fatto fu che peregrinando molto qualcosa mi rimase in zucca.

Leone aprì lo zainetto e estrasse acqua e vivande per fare merenda.
Billyno, intuendo tutto, abbandonò l’ombra della croce per riempirsi pure lui il pancino. La salita gli aveva creato un certo languorino, non di stanchezza, ma di frutta secca, di fondente e brioche.
Dopotutto, per lui, la croce lassù gli serviva solo per due cose: il restare al fresco d’estate e il ripararsi dal vento gelido d’inverno.

 

L: Bene, riprendiamo il discorso. Ci sei?

D: Certo. Proceda, signor Professore.

L: Grazie. È già un fatto positivo che Tu non mi abbia detto “Divino Filosofo”. Ahaahhahah!

Il nocciolo della questione ora resta la modalità della redenzione. Perciò la modalità con cui l’hai ideata prima e realizzata poi.

Ad Aperitivo, come sai, la mente si ribellava alla follia della croce. Riteneva, infatti, che un essere perfetto avrebbe potuto redimere anche in ben altro modo, senza sottoporre il Figlio a tale crudeltà: umana nella realizzazione e divina nell’ideazione.

La stortura della creazione – il non aver dato all’uomo – subito la “conoscenza” (Gen 3,22) credo sia stato il tarlo che Ti rodeva il capo. In pratica, parafrasando, si potrebbe benissimo dire che Ti sentivi colpevole per involontaria negligenza e per troppa ira nel buttarli fuori (Gen 3,23-24). Forse ritenevi che si potesse procedere solo con un semplice imperativo categorico (Gen 3,3).

Aldilà di ogni mia personale congettura Ti sarai posto il problema su come rimediare a ciò.

D: Pensi che questa fosse la realtà Mia?

L: Non avanzo ipotesi alcuna. Sto solo analizzando i fatti e le Tue parole (Gen 3,19), ricercandone l’eziologia procedurale logica. Certo, in quei frangenti si potrebbe dire che non fosti poi tanto “amorevole”.

Tranquillo, però! Ora, infatti, tunghina bianca e tanti tuoi druidi affermano che sei tutto miele e amore. L’uomo sbaglia (pecca)? Niente di particolare. Tu lo chiami continuamente e lo cerchi con infinito amore. Certo, una volta stavi solo ad aspettare che tornasse, scrutando l’orizzonte dall’alto della tua torre (Lc 15,20). Ma, che vuoi? I tempi cambiano per tutti. Ora i Tuoi mettono in discussione pure … l’Inferno.

D: Già! Quel che non cambia mai è la tua pungente ironia mentre fai analisi. All’ignaro – e spesso pure a Me – le tue allocuzioni possono sembrare altrettanti sberleffi.

L: Apparentemente sì. In realtà cerco di divertirmi, dissociandomi formalmente da una serietà/verità ineccepibile. Non ricordi forse quando a molti il solo mettere in discussione la Parola poteva costare la testa?

D: Procedi e non divagare troppo. Non vorrei … infastidirmi e tornare quello di … un tempo. Ahahaaahhhhaa.

L: Bene, Zeus. Ubbidisco.

D: Ti faccio una domanda: se il Mio divenire perfeziona le mie imperfezioni precedenti, come potrei nell’eternità Mia essere Perfetto?

L: Non lambiccarTi troppo il capo. Non vorrei poi doverTi curare perché sei andato fuori di testa.

D: Leo, lascia perdere gli sfottò e risolvimi questo quesito. Sai, potresti aver commesso un errore.

L: Che possa commettere errori è possibile. Infatti non sono Te. Che però in questo caso lo abbia fatto, tenderei ad escluderlo proprio. La filosofia, come sai, è la matematica della mente. Se non sbagli il calcolo il risultato è sempre esatto.

D: Fammi capire bene la questione.

L: Ok! Se si varia il concetto di un dio statico, portandolo a diveniente, è ovvio che pure il concetto di perfezione debba assumere nuovi connotati.

Come sai il Tuo Pio X così affermava:

2. Chi è Dio?

Dio è l'Essere perfettissimo, Creatore e Signore del cielo e della terra.

3. Che significa perfettissimo?

Perfettissimo significa che in Dio è ogni perfezione senza difetto e senza limiti, ossia che Egli è Potenza, Sapienza e Bontà infinita.

Ora, se la Tua sapienza Ti costrinse a perfezionare la creazione e il Tuo modo di essere, va da sé che o rinunci ad essere un Essere perfettissimo, oppure a ciò dai un significato diverso.

D: Mi pare ovvio. Condivido.

L: Bene. Perciò il divenire dà un “divenire” a tutto il Tuo Essere; Sapienza, Conoscenza, Potenza, Bontà, Carità, Essenza. E non dimenticare le tue peculiarità di Creatore e Signore. Pure quelle perfezioneranno continuamente le proprie imperfezioni.

D: Ho compreso. Ma la redenzione da cui siamo partiti dove sta?

L: Calma!

La redenzione, nel tuo divenire assume il connotato di un perfezionamento di tutte le Tue peculiarità iniziali. Perciò è tesa a migliorare anche tutto ciò che hai creato direttamente (con volontà) o indirettamente (per sovrabbondanza), compreso l’uomo.

Ovviamente, in questo procedimento pure il creato collabora, ognuno nel suo ambito: la natura modificando sé stessa ciclicamente e l’uomo con lo studio della scienza, perciò padroneggiando sempre più con la conoscenza sia il creato che sé stesso.

La redenzione, dici?

È stata ed è il Tuo procedimento per migliorare l’uomo. Se non ci fosse stata il Tuo Essere diveniente non esisterebbe, compresa la Trinità.

D: Mi pare chiaro. È il significato e ragione che dai alla modalità redentiva che appare ancora fumoso: la causa sine qua non.

L: Vediamo: vi poteva essere altro modo nella Tua perfezione? Certo: il tocco magico che correggesse la stortura iniziale della mancata conoscenza data all’uomo. Ciò avrebbe risolto e vanificato il cruccio di Aperitivo.

In questo modo, però, Ti saresti dato la zappa sui piedi due volte. In primis perché avresti messo in discussione la tua perfezione operativa/creativa, quindi tutto Te stesso. Poi perché, riconoscendo l’errore, avresti negato il Tuo concetto stesso di sapienza infinita. Infinita, come sai, significa che non ha fine; ma appunto perché non è finita ha bisogno continuamente d’essere perfezionata nel suo diveniente.

D: Chapeau, Leo!

L: Aspetta! Mica è finita.

Il metodo più lineare e logico, sia nel Tuo eventuale sovrabbondare plotiniano, sia in quello della Tua progettualità consapevole e volontaria, restava perciò uno solo: quello di intervenire assoggettandoTi alla stessa natura umana. Quella per intenderci che prima creasti/generasti, poi punisti e scacciasti, infine che sottoponesti alla morte fisica e alla fatica/necessità del lavoro quale mezzo di sopravvivenza.

Perché, dopotutto, questa era parte di Te, proveniva da Te e era stata voluta da Te.

D: Interessante. Devo dire che alcune cose nella Mia volontà di allora mi erano razionalmente sfuggite.

L: Beh, se è per quello t’era sfuggita forse pure la … morte.

D: Quella no. Ero perfettamente cosciente che nel divenire uomo avrei dovuto morire come Figlio.

L: Ovvio. Diversamente non avresti potuto assumere la natura umana, ma solo la sua sembianza.

D: A dirti il vero ciò che non ho mai capito bene è stata la morte in croce.

L: Questo lo so. Non per nulla dicesti: Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu (Mt 26,39); Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu (Mc 14,36); Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà (Lc 22,42); Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora! (Gv 12,27).

La volontà del Padre dove sta? Semplice: nel sottoporre il Figlio allo stesso castigo inflitto a suo tempo all’uomo (Gen 3,19) con un atto significativo e non semplificativo.

D: Scusa Leo: che intendi per significativo e non semplificativo?

L: Mi pare semplice. Semplificativo è con morte naturale, tipo dormitio mariae; significativo con morte cruenta. Anche perché la redenzione dell’uomo passa attraverso la “redenzione” di Dio stesso, nel suo modificare/perfezionare ciò che ha fatto antecedentemente. E non potendo morire come Padre è ovvio che a questo ruolo abbia destinato il Figlio.

In pratica Dio, con la redenzione, nel destinare il Figlio alla croce – sinonimo a quei tempi di massimo castigo – condannò sé stesso, perfezionando il suo operato precedente, pur non rinnegandolo.

D: Leo, va a finire che tra poco disveli pure il mio Essere Uno e Trino!

L: Eh no, caro mio! Non ci penso neppure. Non perché sia impossibile, ma perché poi i tuoi illustri padri ci resterebbero … male, dopo essersi lambiccati tutta la vita per la risoluzione del quesito.

D: Però, Leo, toglimi la curiosità: ma tu credi alla redenzione?

L: Ti dirò, Buon Dio: se non lo sai Tu, che lo chiedi a fare ad un povero mortale?

 

Leone stropicciò a lungo Billyno, godendo del panorama.

Infine si alzò, calzò lo zainetto e con un buffetto ad un braccio della croce salutò il Buon Dio, ammiccandogli.

Salutò pure, passandole accanto, la pollastra accalorata, distesa ancora sul crinale per sorbire i caldi raggi del tramonto ormai imminente.

Scese indi verso la cascina, che orfana di Gini pareva triste, deserta e abbandonata. Lui e Bruno, quasi scacciati dai piccioni torraioli, s’erano infatti ritirati più in basso, giù a Predai.

Bipperino, laggiù, lo attendeva ansioso, desideroso di fare un salto a Predai per salutare i due amici.

Là giunti Billyno e Bruno inscenarono la solita cagnara di giochi festosi, mentre Gini, gravato dall’età accolse gli amici con gioia.

 

Sesac

 

 

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