Oggi, venne in visita da me Sesac; e mi consegnò questo racconto che pubblico, come sempre, assai volentieri.
Tratta, come consuetudine, della vita degli animali della foresta e dei fatti di un tempo che fu.
Ogni accostamento del racconto a eventuali simili fatti della realtà è … puramente casuale.
Sam Cardell
Tratto da “i
Dialoghi” di Sesac
Io, Sesac, da tempo non visitavo Leone.
Avevo saputo del suo infortunio
casalingo e della sua prolungata convalescenza.
Seppi che aveva da poco
ricominciato ad adoperare l’arto, grazie ad una placca in titanio di Leisinger,
che mesi prima si era fatto volutamente impiantare.
Perciò, certo di non essergli d’impiccio,
mi recai una sera sul tardi a visitarlo. Era un sabato sera.
Entrando lo salutai con una
battuta: Ave, Leone bionico!
Mi sorrise e pure Billyno alzò il suo musetto per salutarmi, menando
la coda, assiso comodamente sulle gambe di Leone che stava sdraiato sulla sua
fantastica poltrona presidenziale.
Lo trovai in buona forma,
nonostante l’età e i malanni.
Mi disse che in estate, prima
dell’infortunio, era pure tornato con le dovute precauzioni in altura,
accompagnato dall’amico bocconiano Piro.
Or, una volta, avvenne che Piro,
data l’età e la mole, andando insieme un giorno per pigne di mugo per produrre
mugolio, lassù oltre il Plagna sulla cresta
del Visolo dove il Vandul strapiomba sul Dezzo, scaricasse le … pile.
Sicché, tornando, Leone gli consigliò
di prendere delle bustine particolari di sali, onde recuperare velocemente e
non creare dell’acido lattico nella muscolatura.
Il buon Piro prese sì quelle
bustine, ma quelle per atleti, la cui dose, però, anziché essere diluita in un
bicchiere d’acqua bisognava versarla in una bottiglia intera. Bevve, si ristorò
e in un quarto d’ora recuperò una forma smagliante.
Sicché, avendo sempre osservato
le femmine in minigonna con un certo compatimento da provetto cattedratico,
avvenne che si ritrovasse per alcuni giorni, vedendole, a sentire … strani
richiami … sessuali, comunque ben controllati.
Mentre amabilmente si
chiacchierava, Leone mi offrì una fetta delle sue famose crostate, sfornata
poco prima, accompagnandola con un bicchiere di pregiato Vin Santo dei toschi
colli. Pure Billyno ne pretese, leccandosi i baffi.
Nell’ampia stanza, infatti,
ancora aleggiava il profumo del lievito vanigliato, della farina di cocco e del
vino liquoroso.
Leone era tornato in serata dal
suo abituale orizzonte di analisi.
Non potendo quel giorno spaziare
oltre, si era recato nella pieve del borgo, anche se il druido burino era ormai per lui
un libro aperto, letto e riletto fino alla noia. Lo riteneva un pollo da
ingrasso, perciò un cappone, uno di quei
polli castrati destinati ad imbandire le tavole natalizie.
Tuttavia, nonostante ciò, era
l’emblema d’una chiesa morente, arroccata su storielle, favole e fatti
fantasmagorici che ai più non dicevano più nulla. Ragion per cui le pievi
diventavano sempre più deserte.
Leone aveva scarsissima
considerazione di costui, degno esemplare di quella casta di serviti che riteneva,
com’era solito dire decenni prima al grande Aperitivo
Purpureo, allevati
nei seminari come tanti polli da batteria.
Or avvenne che il druido, durante
l’omelia, s’infervorasse con quella voce da bue impazzito che usava
nell’oratoria e nel canto, forse infastidito da alcuni fedeli, intenti o a
guardarsi attorno per smaltire la noia, o a guardare l’orologio per vedere
quanto costui la dilungasse, oppure intenti a meditare sui fatti propri.
Il druido notò, stando costui nei
primi banchi – almeno tale gli parve – che uno addirittura dormisse beato,
infischiandosene dei suoi sublimi insegnamenti di scienza infusa.
Sicché, anonimamente, lo citasse
ai fedeli con voce sonante. Costui, tuttavia, gli parve che non si riscuotesse,
per cui chiuse l’omelia con voce tonante e irritata in questo modo: Non dormiamo; svegliamoci!
Leone citava all’occorrenza il
detto: Dio
paga sempre il sabato. Aggiungendo di norma: Leone, invece, paga anche alla domenica o al lunedì o nel giorno che
meglio ritiene opportuno.
Perciò, raccontandomi divertito il
fatto, decise di prendere carta, penna e calamaio e così scrivere:
Lettera aperta ad un povero curato di campagna … scanzonato.
“Carissimo druido,
mi consenta di usare tale lemma, così com’era solito iniziare le
sue famose lettere Paolo di Tarso.
Lei mi dirà, correggendomi: San
Paolo.
Guardi, sarà pure santo, ma per me è stato solo un teista
farisaico che ha impregnato di mentalismo il cattolicesimo, compreso l’attuale. – La prego: per capirmi bene tenga accanto a
sé lo Zingarelli o il Treccani. Grazie! -
Tornando a noi, le scrivo per congratularmi con lei per la
sublime omelia, or ora fatta, infarcita da varie invettive contro i fedeli, rei
di non pendere dalle sue labbra, onde assorbire la scienza infusa che da queste
fuorusciva come un fiume in piena.
Mai, oserei dire, mi sono ritrovato ad ascoltare un curato tanto saputo in teologia e in filosofia. Forse sarà perché il
suo predecessore era un discreto filosofo, dedito nelle omelie a sviluppare un
buon discorso per sé e a farlo recepire, nello stesso tempo, ai fedeli.
Teoricamente lei potrebbe essere un BarMaghreb, o, per dirla
tutta, un trans-umanoide, intento a fondersi in un meta-umanoide. Noti bene:
non ho detto transumanista o metaumanista.
Ovviamente ero colui
che, secondo il suo encomiabile giudizio, dormiva.
Sa, il problema è che al Papa Gioanì mi han detto che quando il tremor essensialis si manifesta in
modo virulento dovrei prendere 10 gocce di lexotan o 18 di valium. Essendo
medicinali e avendo possibili effetti collaterali, ho trovato un metodo
migliore e senza effetti collaterali, se non la … sua stizza: ascoltare le sue
omelie. Hanno per me un effetto rilassante e risanante, oltre ad istruirmi in
modo eccelso su dove stia andando la Chiesa attuale: verso il disfacimento
totale!
Vuol sapere perché non mi sono svegliato al suo tonante
richiamo? Semplice: non dormivo affatto, anche se ad occhi socchiusi. Uno che è
perfettamente vigile non può svegliarsi.
Da scientist qual sono, seppur a riposo, infatti, ho imparato
negli anni che lo stare ad occhi socchiusi e in posizione di rilassamento è uno
splendido modo sia di analisi che di recepimento.
Ovviamente, potrei essere uno dei pochi ascoltatori – non voglio
osare dire d’essere il solo – capace di riepilogare tutto ciò che lei ha detto
con tale sapienza. Non solo; potrei citarle anche le omelie precedenti a cui ho
assistito, comprese tutte le castronerie confusionarie nelle quali si è
avventurato.
Pure la Leonessa, infatti, dall’alto della sua preparazione culturale e
religiosa, me lo faceva annotare pochi giorni fa.
Sa, chi per ben cinque volte in un’omelia dice che i santi si
adorano non fa un lapsus, ma un errore sostanziale teologico. Proprio come chi
confonde più volte i Sadducei con i Farisei, nonostante abbia appena letto ciò.
Oppure quando si confonde la presentazione al tempio con la circoncisione.
Ma così va il mondo, quando il ragionamento (eufemismo puro) usa
sillogismi verticali e orizzontali come un … geometra di quarta falciata.
La sua frase discorsiva
emblematica preferita? No, non è così!
Scusi: perché non aggiunge mai come dovrebbe essere, in modo che tutti noi,
volgo beota, lo sappiamo e non restiamo nell’ignoranza?
Lei è esperto in diaclasi discorsive, sia religiose che
teologiche. Mi congratulo con lei.
Conosce il Domine Jesu Criste? O
forse non ha studiato il latino?
Ebbene, qua si era soliti recitarlo con il celebrante da quando
il Vaticano II fu fatto. Scusi la domanda: lei, allora, c’era già?
Il mio grande amico e Gran Druido Lux – colui che
secondo la stampa nazionale e internazionale più innovò la liturgia dopo il
Concilio - afferma che può benissimo essere recitato in entrambi i modi, perché
è una preghiera sia individuale che collettiva.
Poi, qua, giunse lei che dichiarò – Sic! Parole testuali. – che
ciò era totalmente sbagliato, perché spetta al celebrante recitarla, in quanto
costui è l’intermediario
tra Dio e il Popolo. Guardi, non è per
correggerla, ma il Concilio Vaticano II ha affermato ben altro: il celebrante è
colui che presiede l’assemblea. Infatti,
han girato pure l’altare.
E tornando al Domine Jesu Criste, che faccia irosa (educata?)
faceva se qualcuno, abituato a farlo da decenni, iniziava involontariamente a
dirla insieme a lei? Oh, mi consenta: quanta immensa carità!
Eppure qua nel borgo in decenni giunsero diversi preti e
occasionalmente pure diversi vescovi, non trovando in ciò nulla di sbagliato.
Solo lei ha trovato il … pelo nell’uovo.
Va da sé che per un breve periodo, ad un certo punto, in parrocchia la sostituì un frate - lei ha pure diritto alle vacanze – e
notando nella sua prima comparsa che non la si dice, alla seconda invita i
fedeli a farlo, perché – dice – è una preghiera
molto bella. Risultato: il
Popolo di Dio parte a vele spiegate nel recitarla, con un entusiasmo che
manifesta questo sospetto (pensiero): ma prima di costui (lei) eravamo forse
tutti grulli?
Ho spesso classificato i druidi in serviti e servitori. Dove la metto?
Ovviamente tra i serviti!
Chi le è vicino e l’affianca nelle mansioni giornaliere sa che
dice? È un tipo particolare e pretensioso.
Sa, come si diceva una volta? Vox populi, vox Dei!
Va', vendi quello
che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi. (Mc 10, 21) Questa è la regola dei servitori.
E che dire poi della sua innata cortesia ed educazione nell’avvicinare
le persone?
Tempo fa dopo una breve funzione funebre stavo parlando con un
amico e collega che mi deve molto sotto l’aspetto umano. Ebbene, a noi si
avvicina un druido che, senza chiedere alcun permesso, si rivolge all’amico,
con cui sto parlando di cose importanti, per salutarlo. Ovviamente fu come se
fossi invisibile: non mi rivolse alcun cenno di saluto; interruppe e parlò, poi
se ne andò. Io non mi meravigliai, conoscendolo; il mio amico, invece, assai, e
me lo fece pure notare. Mi permetta: quanta educazione e carità!
Vede, carissimo, forse sono stato abituato in ben altri modi e
la mia dimora è stata spesso visitata privatamente da religiosi sia semplici,
sia importanti. Ho talora ricevuto pure mandato di assistere psicologicamente
alcuni e di aiutarli a ritrovare la loro personalità.
Potrei pure dirle che le mie mani sono state talora bagnate
dalle loro lacrime, mentre mi dicevano sconsolati: mi sento un fallito!
Lei mi potrà dire: donde
giunge la predica? Con quale autorità?
Ebbene, le dirò solo due cose dal lungo elenco che potrei
citare. Quando lei sarà stato chiamato a condurre corsi di insegnamento al M.I.T.,
alla Sorbona e alla Sapienza, non a studenti, ma a cattedratici, forse lo
capirà.
Come lo capirà se la sua Focus varcherà i legni di S. Damaso,
perché lì richiesto
… dove abiti?... Venite
e vedrete! (Gv 1, 38-39)
Non voglio andare oltre.
Chi ha orecchi da intendere, intenda.
Cordiali saluti.
Leone”
Leone piegò il foglio, lo mise in
una busta e la chiuse.
Noi ci salutammo e, data l’ora,
me ne andai.
Sesac
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