domenica 21 gennaio 2018

Capitalismo democratico e capitalismo bancario: le due facce del Debito sovrano.


In fisica esiste il detto: nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. (A. Lavoisier
Nell’economia capitalistica potrebbe essere il contrario: tutto si crea, tutto si distrugge, tutto si trasforma.
Analizzando il corso degli eventi politici dal dopoguerra in poi, appare evidente come tutti gli stati (e pure la neonata Ue) abbiano operato in modo spesso contradditorio, costretti dagli eventi a inseguire la risoluzione dei problemi (crisi) immediati con decreti tampone. Perché quando il problema diventa troppo grande, l’ideazione di un disegno a lunga scadenza è spesso problematico da progettare e da realizzare. Ne consegue che, a breve o a medio termine, il tampone usato per correggere un problema ne crei in seguito un altro maggiore.
Quando un problema economico o finanziario esplode, è perché il governante di turno - policy maker (decisore politico) - non l’ha prevenuto con lungimiranza, lasciandolo incancrenire prima di intervenire.
Il Debito sovrano è stato – e lo sarà ancora fino alla cachessia delle economie – il toccasana immediato cui fare ricorso: il provvedimento tampone di cui si è abusato continuamente fino a farlo diventare un problema impossibile da risolvere.
Le politiche monetarie e fiscali (le due facce operative del capitalismo democratico) hanno agito in modo spesso contradditorio in tutti i paesi occidentali, largheggiando in quella dicotomia politica che ha visto spesso la carota (ricorso al debito) e il bastone (imposte) sovrapporsi, onde cercare di tamponare una situazione sempre più complessa.
Ciò è avvenuto spesso anche nelle compagini governative dei vari stati, con ministri nei dicasteri chiave che spesso agivano con politiche contrapposte. Per l’Italia basti citare i dicotomi ministeriali più acclarati, come Andreatta- Formica, Goria-Visentini e Monorchio-Reviglio.
All’assetto istituzionale governativo italiano, potremmo pure affiancare per la Bce le contrapposte politiche finanziarie di sostegno all’economia Trichet-Draghi. Il primo restrittivo, il secondo espansivo. Oppure il contrasto attuale su come condurre la politica monetaria tra Bce e Germania.

Il capitalismo democratico è il sistema finanziario e operativo pubblico che governa e dirige l’economia di ogni stato.
Il capitalismo bancario è lo stesso sistema, a carattere privato, che affianca e sostiene il progetto economico pubblico.
Nulla di strano, quindi, che quando uno dei due va in crisi, ciò è dovuto alla crisi sistemica dell’altro. Tuttavia è di norma il primo che trascina con sé il secondo.
A farne le spese è sempre l’economia reale, con ampie, drammatiche e ricorrenti ricadute sul cittadino nel settore occupazionale e assistenziale (welfare).
Chi ne trae beneficio (eufemismo drammatico) è il Debito sovrano, la cui tendenza è di crescere a dismisura in modo praticamente costante: il Giappone è prossimo al 300% del Pil, mentre i maggiori paesi occidentali sono tutti oltre il 100% e taluni prossimi al 150%.
Tutto ciò significa che per pareggiare il Debito sovrano creato ovunque ci vorrebbero non anni, bensì svariati decenni di forti politiche restrittive. Le quali, però, non sono solo politicamente improponibili nell’aspetto sociale, ma porterebbero l’economia reale al completo collasso strutturale.
Il Debito sovrano è la palla al piede che vincola e rallenta l’azione economica di un paese. Ne consegue che più questo è alto, più quello stato è in default sostanziale. E fu un immenso errore politico dei vari governi pensare che il Debito sovrano potesse essere la resilienza adatta a sopperire sia la spesa pubblica, sia il mezzo utile a potenziare il Pil.

Per espandere l’economia di solito si ricorre al credito. Il credito però, quando è elevato, diventa insostenibile, oberando stati e aziende di un debito che spesso non possono più onorare. Ne consegue che vanno in sofferenza e i debiti dovuti ai creditori diventano inesigibili: i crediti in sofferenza.
I Debiti sovrani in effetti sono imponenti crediti/debiti in sofferenza.
Le economie occidentali hanno creato un escamotage (truffaldino) per consentire al debitore di esistere e al creditore di non dover subire le perdite: il rifinanziare il debito in continuazione. Questo metodo è sistematicamente usato sia dalle banche sia dagli stati. Ciò permette a entrambi di non dover fallire.
È però ovvio che il perpetuare questo sistema all’infinito significhi ignorare il problema. O, meglio: disconoscere il problema.

Il Debito sovrano nei decenni scorsi – fino agli anni ’90 circa, anche se in modo continuo decrescente - era per lo più finanziato dalle famiglie. Ciò consentiva allo stato di ridistribuire la ricchezza; ma, poiché lo stato stampava moneta per sopperire ai bisogni di cassa e sostenere l’espansione/conservazione del Pil, ha prodotto continua inflazione, giunta a due cifre nel momento topico della crisi.
Per rendere competitivi i propri Titoli sovrani lo stato ha dovuto alzare i tassi di interesse, producendo da una parte ulteriore inflazione e, dall’altra, delle grosse rendite finanziare che rendevano poco redditizi altri investimenti. Si è creata, per quasi un decennio, una piccola/media classe borghese dedita più alla rendita finanziaria che al lavoro, che ovviamente affiancava col voto i partiti e che da questi era privilegiata in modo clientelare.
Ciò ha sottratto un’ingente massa finanziaria, prima destinata al finanziamento delle imprese. Non solo: molte imprese, anziché investire in azienda hanno trovato più conveniente investire in Titoli sovrani.
L’aumento dei tassi e delle rendite finanziare, perciò dell’inflazione galoppante, ha prodotto un ulteriore fenomeno consequenziale: l’aumento considerevole del valore del mattone.
Ciò ha portato in breve il risparmiatore a cambiare strategia di investimento: spostare i risparmi dalla rendita finanziaria al mattone, considerato bene durevole con maggiore resistenza all’inflazione.
A complicare le cose ci ha pensato nel ’90 la Legge Amato (218 Amato-Carli – poi seguita da altre correttive nel ’92 e ’93 sulle pensioni) sulle banche, dando la possibilità anche a quelle commerciali di operare come le banche d’affari. Queste hanno perciò riversato sul mercato azionario/obbligazionario un’ingente quantità di denaro, o agendo direttamente o tramite i propri Fondi di investimento.
Perché le banche a diritto pubblico diventarono S.p.A., perciò a diritto privato? Semplice: servivano soldi per il fabbisogno dello stato e bisognava forzatamente vendere ciò che poteva essere appetibile agli investitori esteri.
Per fare ciò bisognava svincolarle dagli assetti che le rendevano legate a doppio filo allo stato, tramite le Fondazioni bancarie. Ciò avvenne grazie agli stratagemmi dell’allora governatore della Banca d’Italia Ciampi, inventore della cartolarizzazione, trasformando i crediti (spesso quasi inesigibili) in titoli negoziabili sul mercato.
Si ha così una società (originator - di norma una banca) che costruisce emissioni di titoli obbligazionari da immettere sul mercato, atti a trasformare il bene o il debito (securitization) in titolo negoziabile.
È in pratica lo stesso stratagemma che usa lo stato per emettere Titoli sovrani: non s’impegna direttamente con il sottoscrittore, ma concede a questo la possibilità di girare (vendere) il titolo ad altri. Si trasforma il debito da nominale a informale, perché questo modo impedisce la richiesta di un’eventuale insolvenza, poiché il titolo, alla scadenza, è pagato con l’emissione di un altro titolo.
E, non casualmente, sono gli anni in cui nascono e proliferano sul mercato i Derivati.

Nello stesso periodo avanza l’idea che per reggere gli impatti delle crisi ricorrenti in Europa necessiti la creazione di una nuova moneta, atta a parare i contraccolpi dei Debiti sovrani.
Sono gli anni del crollo del muro di Berlino (1989) e dell’unificazione tedesca, con gli ingenti costi che quest’unificazione comporta.
Mitterand, timoroso che il nuovo colosso possa in futuro essere egemone (col marco) su altri stati e sulla Francia in particolare, non frappone ostacoli all’unificazione politica, ma impone in scambio la creazione di una nuova moneta comune: l’Euro. Diventato esecutivo un decennio dopo.
Il tedesco Wolfgang Streeck (sociologo - Tempo guadagnato. La crisi rinviata del capitalismo democratico.), sostiene che l’Euro fu ed è un grave errore politico, atto solo a guadagnare tempo. Perché la nuova moneta è stata progettata per servire solo l’austerity e gli interessi di mercato e non quelli dell’economia reale.
Nel suo saggio sostiene che gli stati dell’Ue saranno costretti entro il 21° secolo (forse anche solo tra 30/40 anni) a dichiarare default, ponendo fine al capitalismo democratico.
Ovviamente non è il solo, basti citare tra i cultori di queste fosche previsioni anche István Mészáros (filosofo ungherese – Oltre il Capitale), Immanuel Wallerstein (sociologo e economista statunitense - La retorica del potere. Critica dell'universalismo europeo e Dopo il liberismo) e Robert Kurz (filosofo e giornalista tedesco – Le crepe del capitalismo).
Sta di fatto che l’Euro ha permesso ad alcuni stati, grazie al Fondo salvastati, di sopravvivere alle mortali crisi sistemiche dovute al corrispettivo Debito sovrano, sia per l’impossibilità di rifinanziarsi per un certo periodo sul Mercato (Grecia, Portogallo), sia per politici attacchi massicci al proprio spread (Italia, Spagna), sia per la forte crisi che aveva colpito il capitalismo bancario (Germania, Irlanda, Francia, Austria e Spagna).
Tutto ciò perché la crisi del capitalismo democratico opera sempre su tre fronti: finanziario, fiscale e di crescita.

L’Europa, nonostante i proclami iniziali dei propri governanti - la crisi durerà alcuni mesi – è da oltre un decennio in recessione e in stagnazione.
Fuori luogo appaiono pure i proclami attuali sulla crisi che è ormai alle spalle, e sulla ripresa dell’occupazione negli stati maggiormente penalizzati, specie quelli mediterranei. Le due grandi crisi sistemiche precedenti del capitalismo sono, infatti, durate circa quattro lustri. La prima (1873-1895) conclusasi con un’imponente emigrazione di massa verso nord (continentale) e verso ovest (oltreoceano); la seconda (1929-1946 – alcuni pongono erroneamente la sua fine al 1939, anno d’inizio del secondo conflitto mondiale) durò un po’ meno, per i 60 mln di cadaveri che la guerra generò.
Personalmente ritengo che, come tutte le grandi crisi sistemiche, i benvenuti miglioramenti attuali siano solo una piccola ondulata laterizzazione della crisi, che si protrarrà ancora per un certo periodo.
È pur vero che la Germania ha un mostruoso surplus commerciale, ma va pure sottolineato che questo surplus è all’interno dell’Ue, perciò a discapito di altri paesi.                                                   

Il Patto di stabilità (PSC) cerca di contenere gradualmente l’incremento del Debito sovrano, ora intorno al 2,8/3% del Pil. Ciò significa che il Debito sovrano di ogni stato tenda continuamente a dilatarsi con queste percentuali, perciò a crescere. In Italia siamo ormai prossimi ai 2.300 mld.
Il macroscopico errore sia degli stati, sia dell’Ue è di vincolare il suo rapporto di crescita o decrescita al rapporto col Pil, non alla sostenibilità del Debito, come in effetti dovrebbe essere, perciò al suo monte complessivo.
Ne consegue che, giorno dopo giorno, il Debito continui a crescere, anche se i politici, rapportandolo al Pil, affermano il contrario.
È ovvio che tutte queste manovre, comprese quelle a carattere di monetarismo virtuale della Bce (quantitative easing), siano solo interventi provvisori atti a guadagnare tempo, onde non soffocare l’economia reale dell’Ue. E in ciò Streeck ha perfettamente ragione.
Manca un progetto specifico di riduzione reale dei Debiti sovrani, o, almeno, di sterilizzazione di questi.
Nell’Ue, tra i policy maker, manca la volontà e la capacità di voler affrontare a lungo termine il problema con strumenti idonei.
Questi possono essere individuati in una politica finanziaria, fiscale e monetaria unitaria, in grado di risolvere il problema: a) emissione di Eurobonds per tutti, vincolati al rispetto di parametri tassativi sui bilanci nazionali; b) politica fiscale paritaria in ogni stato membro; c) controllo del Debito basato sul suo ammontare complessivo e non sul degenerante rapporto col Pil.
Per realizzare ciò vi è però la necessità di una centralità decisionale. Che significa, per gli stati dell’Unione, il dover cedere sovranità ad un organismo centrale che ancora non esiste.
L’alternativa non è molto rosea: cercare di sopravvivere, procrastinando più che è possibile il collasso strutturale.
Pure la pessima idea di allargare ad est la confederazione, con gli stati fondatori ancora mal amalgamati, è stata una scelta dettata dalla necessità di favorire un’economia languida con un mercato espansivo.

I sistemi politici sono delegittimati dal voto del popolo; oppure, quando questo ancora soprassiste, dal malcontento generale e dalla disaffezione alla politica, testimoniata soprattutto dall’elevato astensionismo che coinvolge tutti gli stati.
Si assiste ad un a deriva hayekiana (Streeck) dovuta ad una de-democratizzazione dell’economia e nello stesso tempo ad una parallela de-economizzazione della democrazia.
La causa di tutto ciò è dovuta ai vari Debiti sovrani, i cui bonds sono nelle mani dei bondholder (gigantesche strutture finanziarie sovranazionali dedite ad acquistare con banche, fondi di investimento e Bce i bond dei vari stati), strutture in grado di condizionare pesantemente lo spread e, di riflesso, pure le economie nazionali in modo rilevante con interventi speculativi sul mercato.
Il Mercato condiziona le politiche economiche e finanziarie dei vari stati, agendo forzatamente, anche se indirettamente, sulle varie leggi finanziarie. Perché l’ordine è il frutto del rapporto tra le aspettative nazionali (economia reale) e quello altrui (bondholder), in grado di realizzarle.
Friedrich von Hayek (economista e filosofo austriaco - The Constitution of Liberty) a proposito, così affermava: The important point is that every man growing up in a given culture will find in himself rules, or may discover that he acts in accordance with rules and will similarly recognize the actions of others as conforming or not conforming to various rules.
Secondo Hayek, infatti, esiste un ordine endogeno (kosmos, spontaneo – quello dovuto alla necessità dei vari stati) ed un ordine esogeno (taxis, frutto della progettazione – quello dei mercati) che spesso non coincidono. Ne sortisce che spesso, specie se gli stati sono in difficoltà a reperire risorse sul mercato, i secondi condizionino pesantemente le scelte dei primi.


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