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Capitalismo democratico e capitalismo bancario: le due facce del Debito sovrano.
In
fisica esiste il detto: nulla si crea,
nulla si distrugge, tutto si trasforma. (A. Lavoisier)
Nell’economia
capitalistica potrebbe essere il contrario: tutto si crea, tutto si distrugge, tutto si trasforma.
Analizzando
il corso degli eventi politici dal dopoguerra in poi, appare evidente come
tutti gli stati (e pure la neonata Ue) abbiano operato in
modo spesso contradditorio, costretti dagli eventi a inseguire la risoluzione
dei problemi (crisi) immediati con decreti tampone. Perché quando il problema
diventa troppo grande, l’ideazione di un disegno a lunga scadenza è spesso
problematico da progettare e da realizzare. Ne consegue che, a breve o a medio
termine, il tampone usato per correggere un problema ne crei in seguito un
altro maggiore.
Quando
un problema economico o finanziario esplode, è perché il governante di turno - policy maker (decisore politico) -
non l’ha prevenuto con lungimiranza, lasciandolo incancrenire prima di
intervenire.
Il Debito sovrano è stato – e lo sarà
ancora fino alla cachessia delle economie – il toccasana immediato cui fare
ricorso: il provvedimento tampone di cui si è abusato continuamente fino a
farlo diventare un problema impossibile da risolvere.
Le
politiche monetarie e fiscali (le due facce operative del capitalismo
democratico) hanno agito in modo spesso contradditorio in tutti i paesi
occidentali, largheggiando in quella dicotomia politica che ha visto spesso la carota (ricorso al debito) e il bastone
(imposte) sovrapporsi, onde cercare di tamponare una situazione sempre più
complessa.
Ciò è
avvenuto spesso anche nelle compagini governative dei vari stati, con ministri
nei dicasteri chiave che spesso agivano con politiche contrapposte. Per
l’Italia basti citare i dicotomi ministeriali più acclarati, come Andreatta-
Formica, Goria-Visentini e Monorchio-Reviglio.
All’assetto
istituzionale governativo italiano, potremmo pure affiancare per la Bce le contrapposte politiche finanziarie di sostegno all’economia
Trichet-Draghi. Il primo restrittivo, il secondo espansivo. Oppure il contrasto
attuale su come condurre la politica monetaria tra Bce e Germania.
Il capitalismo democratico è il sistema
finanziario e operativo pubblico che governa e dirige l’economia di ogni stato.
Il capitalismo bancario è lo stesso sistema,
a carattere privato, che affianca e sostiene il progetto economico pubblico.
Nulla di
strano, quindi, che quando uno dei due va in crisi, ciò è dovuto alla crisi
sistemica dell’altro. Tuttavia è di norma il primo che trascina con sé il
secondo.
A farne
le spese è sempre l’economia reale, con ampie, drammatiche e ricorrenti ricadute sul cittadino nel
settore occupazionale e assistenziale (welfare).
Chi ne
trae beneficio (eufemismo drammatico) è il Debito sovrano, la cui tendenza è di crescere a dismisura in modo
praticamente costante: il Giappone è prossimo al 300% del Pil, mentre i maggiori
paesi occidentali sono tutti oltre il 100% e taluni prossimi al 150%.
Tutto
ciò significa che per pareggiare il Debito sovrano creato ovunque ci vorrebbero
non anni, bensì svariati decenni di forti politiche restrittive. Le quali,
però, non sono solo politicamente improponibili nell’aspetto sociale, ma
porterebbero l’economia reale al completo collasso strutturale.
Il
Debito sovrano è la palla al piede che vincola e rallenta l’azione economica di
un paese. Ne consegue che più questo è alto, più quello stato è in default
sostanziale. E fu un immenso errore politico dei vari governi pensare che il
Debito sovrano potesse essere la resilienza adatta a sopperire
sia la spesa pubblica, sia il mezzo utile a potenziare il Pil.
Per
espandere l’economia di solito si ricorre al credito. Il credito però, quando è
elevato, diventa insostenibile, oberando stati e aziende di un debito che
spesso non possono più onorare. Ne consegue che vanno in sofferenza e i debiti
dovuti ai creditori diventano inesigibili:
i crediti in sofferenza.
I Debiti
sovrani in effetti sono imponenti crediti/debiti in sofferenza.
Le
economie occidentali hanno creato un escamotage (truffaldino) per consentire al
debitore di esistere e al creditore di non dover subire le perdite: il
rifinanziare il debito in continuazione. Questo metodo è sistematicamente usato
sia dalle banche sia dagli stati. Ciò permette a entrambi di non dover fallire.
È però
ovvio che il perpetuare questo sistema all’infinito significhi ignorare il
problema. O, meglio: disconoscere il problema.
Il Debito
sovrano nei decenni scorsi – fino agli anni ’90 circa, anche se in modo
continuo decrescente - era per lo più finanziato dalle famiglie. Ciò consentiva
allo stato di ridistribuire la ricchezza; ma, poiché lo stato stampava moneta
per sopperire ai bisogni di cassa e sostenere l’espansione/conservazione del
Pil, ha prodotto continua inflazione, giunta a due cifre nel momento topico
della crisi.
Per
rendere competitivi i propri Titoli sovrani lo stato ha dovuto alzare i tassi di interesse, producendo da una
parte ulteriore inflazione e, dall’altra, delle grosse rendite finanziare che
rendevano poco redditizi altri investimenti. Si è creata, per quasi un
decennio, una piccola/media classe borghese dedita più alla rendita finanziaria
che al lavoro, che ovviamente affiancava col voto i partiti e che da questi era
privilegiata in modo clientelare.
Ciò ha
sottratto un’ingente massa finanziaria, prima destinata al finanziamento delle
imprese. Non solo: molte imprese, anziché investire in azienda hanno trovato
più conveniente investire in Titoli sovrani.
L’aumento
dei tassi e delle rendite finanziare, perciò dell’inflazione galoppante, ha
prodotto un ulteriore fenomeno consequenziale: l’aumento considerevole del
valore del mattone.
Ciò ha
portato in breve il risparmiatore a cambiare strategia di investimento:
spostare i risparmi dalla rendita finanziaria al mattone, considerato bene
durevole con maggiore resistenza all’inflazione.
A
complicare le cose ci ha pensato nel ’90 la Legge Amato (218 Amato-Carli – poi seguita da altre correttive nel ’92 e ’93 sulle
pensioni) sulle banche, dando la possibilità anche a quelle commerciali di
operare come le banche d’affari. Queste hanno perciò riversato sul mercato
azionario/obbligazionario un’ingente quantità di denaro, o agendo direttamente
o tramite i propri Fondi di investimento.
Perché le
banche a diritto pubblico diventarono S.p.A., perciò a diritto privato? Semplice:
servivano soldi per il fabbisogno dello stato e bisognava forzatamente vendere
ciò che poteva essere appetibile agli investitori esteri.
Per fare
ciò bisognava svincolarle dagli assetti che le rendevano legate a doppio filo
allo stato, tramite le Fondazioni bancarie. Ciò avvenne grazie agli stratagemmi
dell’allora governatore della Banca d’Italia Ciampi, inventore della cartolarizzazione, trasformando i
crediti (spesso quasi inesigibili) in titoli negoziabili sul mercato.
Si ha
così una società (originator - di norma una
banca) che costruisce emissioni di titoli obbligazionari da immettere sul
mercato, atti a trasformare il bene o il debito (securitization) in titolo negoziabile.
È in
pratica lo stesso stratagemma che usa lo stato per emettere Titoli sovrani: non
s’impegna direttamente con il sottoscrittore, ma concede a questo la
possibilità di girare (vendere) il titolo ad altri. Si trasforma il debito da
nominale a informale, perché questo modo impedisce la richiesta di un’eventuale
insolvenza, poiché il titolo, alla scadenza, è pagato con l’emissione di un
altro titolo.
E, non
casualmente, sono gli anni in cui nascono e proliferano sul mercato i Derivati.
Nello stesso
periodo avanza l’idea che per reggere gli impatti delle crisi ricorrenti in Europa
necessiti la creazione di una nuova moneta, atta a parare i contraccolpi dei
Debiti sovrani.
Sono gli
anni del crollo del muro di Berlino (1989) e dell’unificazione tedesca, con gli
ingenti costi che quest’unificazione comporta.
Mitterand, timoroso che il
nuovo colosso possa in futuro essere egemone (col marco) su altri stati e sulla
Francia in particolare, non frappone ostacoli all’unificazione politica, ma
impone in scambio la creazione di una nuova moneta comune: l’Euro. Diventato esecutivo un decennio dopo.
Il tedesco
Wolfgang Streeck (sociologo - Tempo guadagnato. La crisi rinviata del
capitalismo democratico.), sostiene che l’Euro fu ed è un grave errore politico, atto solo
a guadagnare tempo. Perché la nuova moneta è stata progettata per servire solo l’austerity
e gli interessi di mercato e non quelli dell’economia reale.
Nel suo
saggio sostiene che gli stati dell’Ue saranno costretti entro il 21° secolo
(forse anche solo tra 30/40 anni) a dichiarare default, ponendo fine al
capitalismo democratico.
Ovviamente
non è il solo, basti citare tra i cultori di queste fosche previsioni anche István Mészáros (filosofo ungherese –
Oltre il Capitale), Immanuel Wallerstein (sociologo e economista statunitense - La
retorica del potere. Critica dell'universalismo europeo e Dopo
il liberismo) e Robert Kurz (filosofo e giornalista tedesco – Le crepe del
capitalismo).
Sta di
fatto che l’Euro ha permesso ad alcuni stati, grazie al Fondo salvastati, di sopravvivere
alle mortali crisi sistemiche dovute al corrispettivo Debito sovrano, sia per l’impossibilità
di rifinanziarsi per un certo periodo sul Mercato (Grecia, Portogallo), sia per
politici attacchi massicci al proprio spread (Italia, Spagna), sia per la forte
crisi che aveva colpito il capitalismo bancario (Germania, Irlanda, Francia, Austria
e Spagna).
Tutto ciò
perché la crisi del capitalismo
democratico opera sempre su tre fronti: finanziario, fiscale e di crescita.
L’Europa,
nonostante i proclami iniziali dei propri governanti - la crisi durerà
alcuni mesi – è da oltre un decennio in recessione e in stagnazione.
Fuori luogo
appaiono pure i proclami attuali sulla crisi che è ormai alle spalle, e sulla
ripresa dell’occupazione negli stati maggiormente penalizzati, specie quelli
mediterranei. Le due grandi crisi sistemiche precedenti del capitalismo sono,
infatti, durate circa quattro lustri. La prima (1873-1895) conclusasi con un’imponente
emigrazione di massa verso nord (continentale) e verso ovest (oltreoceano); la
seconda (1929-1946 – alcuni pongono erroneamente la sua fine al 1939, anno d’inizio
del secondo conflitto mondiale) durò un po’ meno, per i 60 mln di cadaveri che
la guerra generò.
Personalmente
ritengo che, come tutte le grandi crisi sistemiche, i benvenuti miglioramenti
attuali siano solo una piccola ondulata laterizzazione della crisi, che si
protrarrà ancora per un certo periodo.
È pur
vero che la Germania ha un mostruoso surplus commerciale, ma va pure
sottolineato che questo surplus è all’interno dell’Ue, perciò a discapito di
altri paesi.
Il Patto di stabilità (PSC) cerca di contenere gradualmente l’incremento del Debito
sovrano, ora intorno al 2,8/3% del Pil. Ciò significa che il Debito sovrano di
ogni stato tenda continuamente a dilatarsi con queste percentuali, perciò a
crescere. In Italia siamo ormai prossimi ai 2.300 mld.
Il macroscopico
errore sia degli stati, sia dell’Ue è di vincolare il suo rapporto di crescita
o decrescita al rapporto col Pil, non alla sostenibilità del Debito, come in
effetti dovrebbe essere, perciò al suo monte complessivo.
Ne consegue
che, giorno dopo giorno, il Debito continui a crescere, anche se i politici,
rapportandolo al Pil, affermano il contrario.
È ovvio
che tutte queste manovre, comprese quelle a carattere di monetarismo virtuale
della Bce (quantitative easing), siano solo interventi provvisori atti a guadagnare tempo, onde
non soffocare l’economia reale dell’Ue. E in ciò Streeck ha perfettamente
ragione.
Manca un
progetto specifico di riduzione reale dei Debiti sovrani, o, almeno, di
sterilizzazione di questi.
Nell’Ue,
tra i policy maker, manca la volontà e la capacità di voler affrontare a lungo
termine il problema con strumenti idonei.
Questi possono
essere individuati in una politica finanziaria, fiscale e monetaria unitaria,
in grado di risolvere il problema: a) emissione di Eurobonds per tutti,
vincolati al rispetto di parametri tassativi sui bilanci nazionali; b) politica
fiscale paritaria in ogni stato membro; c) controllo del Debito basato sul suo
ammontare complessivo e non sul degenerante rapporto col Pil.
Per realizzare
ciò vi è però la necessità di una centralità decisionale. Che significa, per
gli stati dell’Unione, il dover cedere sovranità ad un organismo centrale che
ancora non esiste.
L’alternativa
non è molto rosea: cercare di sopravvivere, procrastinando più che è possibile
il collasso strutturale.
Pure la
pessima idea di allargare ad est la confederazione, con gli stati fondatori
ancora mal amalgamati, è stata una scelta dettata dalla necessità di favorire
un’economia languida con un mercato espansivo.
I sistemi
politici sono delegittimati dal voto del popolo; oppure, quando questo ancora
soprassiste, dal malcontento generale e dalla disaffezione alla politica,
testimoniata soprattutto dall’elevato astensionismo che coinvolge tutti gli
stati.
Si assiste
ad un a deriva hayekiana (Streeck) dovuta ad una
de-democratizzazione dell’economia e nello stesso tempo ad una parallela de-economizzazione
della democrazia.
La causa
di tutto ciò è dovuta ai vari Debiti sovrani, i cui bonds sono nelle mani dei bondholder (gigantesche strutture finanziarie sovranazionali dedite ad
acquistare con banche, fondi di investimento e Bce i bond dei vari stati),
strutture in grado di condizionare pesantemente lo spread e, di riflesso, pure
le economie nazionali in modo rilevante con interventi speculativi sul mercato.
Il Mercato
condiziona le politiche economiche e finanziarie dei vari stati, agendo
forzatamente, anche se indirettamente, sulle varie leggi finanziarie. Perché l’ordine
è il frutto del rapporto tra le aspettative nazionali (economia reale) e quello
altrui (bondholder), in grado di realizzarle.
Friedrich von Hayek (economista e
filosofo austriaco - The Constitution of Liberty) a proposito, così affermava: The important point is that every man
growing up in a given culture will find in himself rules, or may discover that
he acts in accordance with rules and will similarly recognize the actions of
others as conforming or not conforming to various rules.
Secondo
Hayek, infatti, esiste un ordine endogeno (kosmos, spontaneo – quello dovuto alla necessità dei vari stati) ed un ordine esogeno (taxis, frutto della
progettazione – quello dei mercati) che spesso non coincidono. Ne sortisce che
spesso, specie se gli stati sono in difficoltà a reperire risorse sul mercato,
i secondi condizionino pesantemente le scelte dei primi.
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