martedì 2 maggio 2017

La Salvezza secondo Leone.


Oggi, venne in visita da me Sesac; e mi consegnò questo racconto che pubblico, come sempre, assai volentieri.
Tratta, come consuetudine, della vita degli animali della foresta e dei fatti di un tempo che fu.

È la prosecuzione del racconto precedente, sua naturale conseguenza. (La Salvezza secondo Leone.)

Sam Cardell
Tratto da “i Dialoghi” di Sesac
La Salvezza secondo Leone.
 
(Seconda Parte)
 
ovvero:
 
Il Sensus plenior.
 
Leone era già tornato un paio di volte in altura, tra gli alti e bassi della sua situazione fisica, a cui ormai aveva fatto il callo.
La prima volta per muovere alcuni passi sopra la Cascina, sfruttando la pianeggiante pista tagliafuoco. Colto, a metà percorso, da un’improvvisa burrasca nevosa che aveva fatto raddrizzare il pelo al prode Billyno, nonostante apparisse ricoperto dal fluente vello d’un tondo e pasciuto agnello, ante tosatura.
La seconda, invece, scortato dall’amico Piro, erano saliti fin sulla vetta dello Sparavento, in un tiepido e limpido meriggio del tardo inverno.
Poi una certa permanenza per impegni, tra i toschi colli, lo avevano tenuto lontano dai patri lidi.
Laggiù, nonostante fosse a un tiro di schioppo, non s’era neppure peritato di porgere sentite “condoglianze” al ciarliero Pollo del Mugello, finito, mesto e piagnucolante, come il Corso nella polvere (A. Manzoni, Il cinque maggio) della sua innata demenza ciarliera, nonostante quello fosse di ben altra tempra e stoffa.
Il popolo, infatti, aveva capito di qual pessima pasta fosse fatto, voltandogli le spalle in massa e non credendo più alla sue arroganti sparate sulle proprie mirabolanti gesta.
Tuttavia, costui, dalla storia non aveva imparato proprio nulla e s’era premurato di ricercare con ostinazione (col peto latino) la rivincita. Ovviamente non al trono, il che gli sarebbe stato improbo; ma a essere solo il gallo in casa propria osannato da tutte le “sue” galline, dopo aver ostracizzato altri galli dal pollaio Dp. Peccato per lui che non gli fosse cresciuta mai la cresta, se non nella … lingua.
 
Era una domenica pomeriggio ventilata.
Laggiù, Leone, se ne stava disteso a riposare, rimirando dalla finestra l’antica medioevale svettante Torre di Montebonello, che, non molto distante, s’ergeva ardita, nel cielo cobalto, sulla costa del monte a dominar una sparuta manciata di case, in compagnia di eleganti cipressi che, con la chioma inchinata dal vento, stavano poco distanti come proni al suo cospetto.
Sottrasse infine il guardo dal quel pregevole paesaggio, ritirandolo dentro casa. E fu in quel frangente che fu attratto dalla piccola croce metallica in ferro brunito, che sormontava il campaniletto della chiesetta dell’oratorio; là, oltre la finestra a pochi metri di distanza.
Su questa stavano appollaiate a tubar due tortore, intente a raccontarsi le “ciosoterie” (pettegolezzi) del giorno.
Nella mattinata Leone ivi s’era recato alla funzione religiosa, onde rimirar la Leonessa che con la bionda chioma alla Gian Burrasca, impacciata per la sua presenza d’auditore più che di fedele, s’era dilungata – come una provetta pastora valdese – sulla frase: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno.” (Gv 11,25).
Pure il druido Moma aveva poi, nell’omelia, elucubrato poco filosoficamente e in modo assai arruffato su ciò, combinando il non morire con il risorgere. Tuttavia questo era il suo limite da simpatico e grezzo bonaccione, voluto per grazia del primate Lux al magistero, dati i suoi evidenti limiti culturali e … sacerdotali. Limiti per la verità non solo suoi, ma comuni alla stragrande maggioranza dei druidi della sua generazione, scarsi o quasi assenti in teologia, ma ferrati in: pizzate, tombolate, gite, sagre e … riunioni pre-catacombali, dalle quali, più che cavare il ragno dal buco, uscivano tanto illuminati dalla luce divina da non capire neppure dove andassero e da dove venissero.
Era, costui, un simpatico amico di Leone, che lo riteneva un amabile ragazzotto credulone non ancora del tutto cresciuto, ruvido d’intelletto ma di buona volontà, intento a dilettarsi spesso in pellegrinaggio alla “postina slava”, che ogni giorno, a determinata ora, era solita ciacciare col veggente per la serie il postino suona sempre due volte.
 
Da simbiologo qual era, Leone s’era – per modo di dire – distratto a fare alcune analisi, osservando postura, atteggiamento e look di qualche fedele.
Fu così che per l’occasione s’interessasse d’una squinzia stagionata, fornita con vertiginosi tacchi a spillo e da attillato abito nero con candida camicetta, che esaltavano davanti il piccolo accennato seno e dietro il mini culetto rialzato.
Stava costei, brevilinea con capelli lunghi e sciolti e impettita come una canna di bambù, in estasi pressoché dirimpetto all’altare ch’era sovrastato dal grande crocifisso ligneo posto sulla parete, quasi a guardia del celebrante, di cui, vox populi, si dicesse … abbacinata in modo quasi … reciproco, per la gioia diffamatoria di tutte le “perpetue” locali; le quali avrebbero voluto inconsciamente essere al suo posto per il sex appeal che il sacro crea in ogni femmina.
Ovviamente Leone ne dedusse importanti considerazioni, annotando principalmente i caravaggeschi chiaroscuri comportamentali e culturali.
 
Fu così che, osservando la croce del campaniletto, parve a Leone d’essere in vetta allo Sparavento.
Non che questo gli mancasse, giacché egli stava benissimo ovunque. Gli bastava che non ci fosse qualche idiota dedito a rompere le scatole al prossimo.
Fu così che Leone rammentò il discorso sospeso tempo prima lassù, sentendo una voce che ormai gli era familiare.
 
D - Ciao, Leo! Ti vedo bene. Sicuramente la Leonessa ti dona.
L – Vero, Buon Dio! È sempre una gioia stare con lei, anche se gli impegni, purtroppo, ci tengono troppo tempo lontano.
D – Verrà pure il tempo dello stare sempre insieme. Non disperare.
L – Sai, non dispero affatto. Come sai non mi lamento mai di ciò che non ho. Sarebbe solo tempo perso.
D – Bene, Leo; hai sentito la mia frase?
L – Beh, quale? Ne hai dette tante, anche se per la verità ero in ben altro affaccendato.
D – Ehh, lo so. I miei templi sono per te un ottimo campo di studio e di analisi.
L – Ovvio. Lì si capisce bene dove va la Tua Chiesa e quanto durerà ancora prima di sparire. Vi sono parametri culturali e sapienziali che non fallano mai. Quello della carenza di druidi è il primo. Il secondo è quello della desertificazione del Popolo di Dio. Il terzo la new age di ogni tuo fedele. Quel movimento subculturale che porta ognuno a fare il proprio comodo secondo le proprie esigenze.
D – Sono i tempi moderni, quelli della globalizzazione e di internet, dove pure l’idiota pensa di trovare il suo sapere infinito tra l’ammucchiata invereconda di verità e falsità.
L – E già. Fortuna che vi sono gli illuminanti siti dei Legni di S. Damaso a … confondere maggiormente le idee dei … tontoloni. E poi, scusa: chi ha creato gli idioti e li ha allevati come tali.
D – Dai, Leo. Non essere sarcastico e dissacrante nello stesso tempo!
L – Sai, Buon Dio, io osservo solo e annoto quel che vedo.
D – Ok! Procediamo per non andare in diatriba.
La mia frase era: Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. A questa potrei aggiungere la mia domanda della scorsa volta, su cui hai elegantemente glissato: Leo, mi ami tu?
L – Ne sei convinto, oppure fai per tastarmi?
D – Credi forse che Io sia il tentatore?
L – Scusa, ma i Tuoi teologi non han sempre ribadito che i Tuoi fini e mezzi sono imperscrutabili? Non avrai adottato il De Principatibus del Macchiavelli, in gergo nostrano Prince e in Italiano Il Principe.
D – Ma no! Vorrei solo comprendere bene.
L – Cosa? Il sensus plenior o che altro? Fammi capire bene!
D – Se ci tieni alla Salvezza e se in Essa credi, data la tua situazione.
L – Capisco. Ti ringrazio della precisazione interessata e degli … auguri.
Ovviamente il discorso sarebbe molto lungo; ma non avendo ora altro da fare lo possiamo affrontare.
D – Procedi che ti seguo. Vorrei solo precisarti che nella mia richiesta non vi sono secondi fini o malignità interessate.
L – Lo credo, diversamente Tu e il Tentatore sareste la stessa cosa.
Tu sai cosa la scienza mi disse tempo fa: 18 mesi. Fu il responso del test esistenziale. Ora, però, siamo quasi a 60. Questo dice tutto sulla caducità della scienza, anche se si dice che possono sbagliare al massimo di 10 giorni su 15 anni. Figurati se di 42 mesi su 18.
La cosa non mi condizionò affatto, anche se il sentirmelo dire non mi fece fare i salti di gioia. Questo è ovvio. Non li facesti neppure tu nel Getsemani davanti al Tuo Sacrificio imminente.
Ora, posso fare una prova con Te. Dimmi il termine che mi hai fissato.
D – Tempo fa incaricasti pure il mio caro e prediletto Lux di chiedermelo.
Siccome non voglio fare cattiva figura non te lo dirò. Sai, sono della sua stessa idea. Cosa ti disse lui allora? Così ti rispose sornionamente: No, che non glielo chiedo! Tu per fargli dispetto saresti capace di smentirlo di sicuro, come hai già smentito la scienza.
L – Stai diventando furbo e prudente, Buon Dio. Annoto solo che teologicamente la Scienza appartiene a Dio e che Dio e Scienza sono la stessa cosa.
D – Vero, Leo. Quella umana è però imperfetta, quindi fallace.
L – Considerato che non me lo vuoi dire, annoto solo che temendo d’essere smentito pure la Tua lo è, di conseguenza.
D – Procedi. Su ciò le nostre idee non collimano.
L – Ok! Ora, prima di risponderTi voglio farTi pure io una domanda.
Tu dici: … chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno.
Ora chi non crede in Te o non ti conosce affatto, che fa? Muore e non vivrà più?
D – Domanda pertinente e interessante, Leo. Ora comprendo appieno il tuo sensus plenior, che citasti poco fa. Ovviamente va inteso proprio in quel senso.
L – A questo punto pure io Ti rispondo: considerato il sensus plenior non ha alcuna importanza credere in Te. Ciò che è importante è l’essere coerente con la propria identità culturale, specie se costruita su principi e valori non precostituiti sui propri interessi, ma su quelli della convivenza civile e sociale con tutti gli altri.
D – Su ciò dici bene. Però per chi mi conosce il credere in me è essenziale.
L – Ok! Potrei anche sottoscrivere. Però se uno scientemente la pensa diversamente, secondo Tè muore, perciò si danna?
D – Ovviamente no, se vive e ha vissuto secondo i principi divini.
L – Bravo! Perciò non ti chiederò, come Pilato, quid est veritas? (Gv 18,38) - λέγει αὐτῷ ὁ Πιλᾶτος· Τί ἐστιν ἀλήθεια;.
D – Già. Come tu saprai, però, la risposta è contenuta già nella domanda, facendone l’anagramma.
L - Vero, Buon Dio. Chi sciolse per primo tale dilemma fu il Tuo Agostino d’Ippona; così: est vir qui adest (è l'uomo qui davanti a te).
Però, questo Tuo servo, proviene prima dal manicheismo, per imbeversi poi della cultura neoplatonica, con annessa retorica. Il che è tutto dire. Solo con l’aneddoto del “tolle lege” passa velocemente al cristianesimo.
Quindi, secondo tale cultura – e qua ci ricolleghiamo a Ipazia. Ricordi? – la verità non è più un oggetto metafisico, bensì è un Soggetto di entità, che, come tale, s’identifica in Te. Diventa l’Essere; ergo la Verità.
Ovviamente resterebbe da convalidare il binomio inscindibile Dio/Verità.
Vedi, il problema è che nei tre sinottici Gesù non si esplicita mai come Dio, ma solo come Figlio di Dio. Ovviamente evito di sottolineare che essendo gli umani tutti figli Tuoi, la cosa è più che naturale.
D – Su ciò hai perfettamente ragione. Va da sé che tra figli miei e il Figlio vi sia una certa distinzione ontologica. Sicuramente ciò non ti sarà sfuggito.
L - È esattamente così come dici, Buon Dio.
Però, vedi, pure dei testi sacri bisogna comprenderne il sensus plenior. Ciò significa che ciò che l’autore del testo esplicava non sempre gli era consapevole. Gesù è sempre chiamato Signore (Kyrie in latino, Κύριε in greco), da cui il noto Kyrie eleison. Mai Jahvè o Elohim. Infatti Tuo Figlio mentre spira che Ti dice? Elohim, Elohim, lemà sabactàni.
Oppure la consapevolezza e le intenzioni di questi non corrispondevano poi all’interpretazione altrui. Qua, perciò, si può sfociare nell’ampio e infinito discorso sul relativismo interpretativo. Oppure, nell’ipotesi non tanto strampalata che uno o più di questi potessero essere nell’errore.
D – E allora?
L – Beh, mi pare semplice.
D – Spiega; non ti capisco.
L – Guardando la storia della Tua Chiesa, si nota in modo particolare una cosa: solo con l’avvento dell’interpretazione/declamazione più o meno forzata della tua Trinità si arriva a proclamare il ‘Tuo Figlio’ Dio. In pratica a identificarlo con la Tua stessa Essenza. Ovviamente altri la pensavano molto diversamente, come Ario.
D – Scusa, Leo, ma non comprendo dove tu voglia arrivare.
L – Intendo semplicemente dire che la salvezza sta indirettamente nel Figlio, ma essenzialmente nel Padre. È lui che applica la Giustizia, quindi che dona la Salvezza o che dà il castigo.
D – Forse, Leo, dimentichi l’Apocalisse.
L – Nient’affatto. Il giudice che amministra non necessariamente è l’entità in persona. Diversamente sarebbe come dire che Tu invece di crocifiggere il Figlio hai crocifisso Te Stesso.
D – Non ti posso dar torto.
Procedi. La cosa comincia ad attrarmi.
L – A pasqua il Tuo druido burino affermava, accennando al grande e ruvido quadro del fornaio posto alle sue spalle sull’altare, che Gesù ha vinto la morte. In effetti Gesù ha subito la morte e per la Tua Volontà.
D – Certo, ma poi il terzo giorno è risorto.
L – Ovvio. Così sta scritto. Però nella Bibbia vi sono alcuni fatti inerenti la resurrezione di qualcuno. Tutti costoro non sono però stati resuscitati da chi materialmente era in azione, ma solo da Te, quindi dal Padre:  Jahvè/Elohim, la sacralità primaria, unica  e assoluta. Costoro erano solo lo strumento Tuo. Un morto non si resuscita da sé, essendo tecnicamente inerte, perciò materia grezza.
Dunque pure il Figlio è stato resuscitato dal Padre, equiparato poi alla sua stessa Entità. Senza la sua volontà, perciò la Tua, giacerebbe ancora nella tomba.
D – Ora capisco, Leo. Ciò che significa: tu credi nel Padre più che nel Figlio?
L – Ti prego di non confondere la teosofia con la credenza personale. Non è il credere che dà la salvezza, bensì l’essere. È ciò è quel che manca nel Tuo Popolo e nel tuo clero.
Ovviamente uno può salvarsi anche in punto di morte, come declama la Tua Chiesa. Però deve essere e non credere. In pratica deve essere certo e convinto, non indotto dalla convenienza incipiente.
D – Concludi per favore.
L – Lo spazio e il tempo sono termini discorsivi umani. Ciò significa che  quello che per l’uomo viene prima o dopo nel tempo, per Te, Dio, è continuità. Proprio come la Salvezza.
Solo in questo senso Gesù è risuscitato dai morti. È resuscitato da sé perché inerente alla continuità del Padre, senza il quale, però, sarebbe rimasto morto.
In logica esiste la sub causale, specie in latino: quod, quia, quoniam, cum, quandoquidem, siquidem. Il cum esige sempre il congiuntivo; le altre l’indicativo o il congiuntivo secondo i casi.
Ne consegue che il Padre è sempre l’Indicativo e il Figlio la Sua Congiunzione naturale , senza il quale però non esisterebbe.
La stessa cosa vale per la salvezza umana alla gloria eterna. Questa si fonda sull’entità dell’Essere uomo, quindi soggetto e non oggetto. Perché se la salvezza diventa soggetto e non oggetto finale, va da sé che l’uomo ha dannato sé stesso sia in vita che in morte. Non ha il cum di congiunzione con l’eternità, perciò con la Storia.
D – Condivido appieno Leo. Annoto solo che ai più questi passaggi sono indigesti, quando non astrusi.
L – E per costoro va benissimo il solo ‘credere’ nel Figlio: nella continuità esistenziale e non nel tornaconto personale. Perciò la continuità diventa la convinzione, il tornaconto solo l’operare per la salvezza. Non vi può essere premio solo per un fine interessato. La salvezza la si raggiunge, non la si compra.
La conversione che cos’è se non l’operare convinto quotidiano, pur nel relativismo umano, verso la perfezione comportamentale, secondo i propri dettami culturali?
E ciò, se permetti, appartiene a chiunque: credente o non credente.
D – Bene, Leo, ti sei espresso chiaramente. Almeno per me.
Condivido appieno che tutti sono figli miei, anche se chiamati ad operare in ambiti e condizioni molto diverse.
Per essere domenica oggi ti ho fatto lavorare … assai, anche se per la Gloria di Dio. Alla tua so che non ci tieni affatto.
 
Leone non rispose e disteso sul letto chiuse gli occhi.
Per lui il discorso era chiuso.
Stava quasi per assopirsi quando l’improvviso latrato di Kira, la mastodontica e mastina cagna di Marcellus, scosse giù nel cortiletto la quiete del quartiere.
Leone si scosse dal torpore che lo stava vincendo e pensò a Billyno. Se presente avrebbe detto la sua a cotanta cagnara.
Quasi per incanto la porta della stanza si aprì. Era la Leonessa che tornava dalle sue … sacrestie,
 
Sesac

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