Oggi, venne
in visita da me Sesac; e
mi consegnò questo racconto che pubblico, come sempre, assai volentieri.
Tratta, come consuetudine, della vita degli animali della foresta
e dei fatti di un tempo che fu.
Sam Cardell
Tratto da “i
Dialoghi” di Sesac
I miracoli.
In quel tempo … s’era in un caldo e afoso
meriggio infrasettimanale. Di quelli che, pur essendo in tarda primavera,
anticipano le infuocate giornate del solleone.
Per sfuggire alla calura Leone
decise di salire con Billyno in Cascina, sia per portare delle vettovaglie a Gini, sia per muovere alcuni passi nella ventilata
frescura dello Sparavento.
Ivi giunsero mentre Gini si stava
preparando a salire in altura, onde accudire alla mandria al pascolo.
Leone lo prese con sé su Bipperino; e preceduti dal coriaceo Bruno si avviarono sulla pista tagliafuoco fino
allo spiazzo dei piccoli nembresi. Billyno, dal canto suo, sulle ginocchia di
Gini e con la testa fuori dal finestrino, con festosa cagnara incitava Bruno
alla corsa davanti a Bipperino.
Procedettero indi a piedi,
imboccando dopo breve cammino la deviazione che porta ai Marsì.
In breve giunsero alla mandria,
intenta a ruminare. Gini si accinse all’abituale lavoro del cambio recinto,
mentre Leone e Billyno puntarono verso lo Sparavento.
Le pozze d’abbeveraggio erano
desolatamente secche. Solo quella del boschetto e la sommitale avevano una
manciata d’acqua. Là, oltre il crinale, pure quella della Comunaglia e del
Cadorna palesavano l’arsura di cui soffrivano.
Leone decise di salire con
gradualità e continuità. Aveva impostato e ritrovato un buon passo; cosa che lo
aveva reso soddisfatto, avendolo da molto tempo smarrito per la malattia.
Fu così che in breve, anche se
con gambe legnose nell’ultimo irto tratto, giunse abbastanza fresco in vetta,
poco prima che il respiro tendesse ad essere affannoso.
Alzando la testa vide la tozza
croce in pietra davanti a sé; le diede un affettuoso buffetto ad un braccio e
si sedette, come sempre, poco sotto; rimirando i laghi cobalto che si
stagliavano placidi giù nelle valli.
Aprì lo zaino per un leggero
spuntino, con Billyno intento ad aspettare bramoso la sua razione di cioccolato
fondente, di brioche e la ciotola d’acqua.
Scosso col tocco del buffetto dal
torpore meridiano per la pennichella, pure il Buon Dio si risvegliò.
“D - Ciao, Leo. Che sorpresa che mi fai. Non me l’aspettavo.
L – Ma vah! Ma Tu non eri forse quello che tutto sapeva e
prevedeva?
D – Certo, ma con i comuni mortali. Tu non appartieni alla loro
risma. Sei talmente riservato che talora giungi inaspettato pure dalla
Leonessa. Sei imprevedibile! Diversamente non saresti stato un tempo colui che
poteva fare ciò che agli altri non riusciva. Poi ti sei ritirato da tutto; ma
quello è un altro discorso.
Sai, mi piace osservarla quando inatteso entri in casa, con
quella faccia inebetita dall’appagata sorpresa e con la bocca spalancata.
L – Sai perché in quei momenti tiene la bocca spalancata?
D – Su, Leo, che domanda mi fai? Tanto è ovvia la risposta.
L – Forse, Buon Dio, non sei troppo attento nell’osservare.
D – Che intendi? Ti vuoi prender gioco di me? Su, dimmi la tua
nuova trovata.
L – Bene, te la dirò tutta: la tiene spalancata non per la
sorpresa, ma perché affamata vuol mangiarsi le mosche.
D – Burlone! In ciò sei incorreggibile. Meriterai le pene
dell’inferno per i tuoi sarcastici sberleffi.
L – Bravo! È quel che cerco, specie d’inverno. Si risparmierebbe
con il riscaldamento.
D – E d’estate come la metteresti col caldo di laggiù?
L – Considerate le giornate torride che ci propini quassù, la
sostanza resterebbe immutata.
D – Ne sai sempre una più del Diavolo, Leo.
L – Sai, Buon Dio, a sentirTi parlare così talora mi viene il
dubbio di incarnarlo. E fortuna che non sono a due millenni fa.
D – Perché mi dici così?
L – Ehhh! Sai, se incrociassi il Figlio mi scaccerebbe da
qualche parte, magari precipitandomi in un lago come il branco di porci (Mc 5,1-20). Chissà se
proprio in quello qua sotto, dove si bagna i piedi lo Sparavento.
Ora permettimi un’osservazione: fu poi un lavoro inutile! In
pratica uno di quei miracoli fine a sé stessi?
D – Scusa ma non ti capisco. Perché affermi così?
S – Semplice, Buon Dio. Infatti, annegarono i porci, creando
enorme danno ai mandriani. Non creparono i diavoli. Quelli, come gli umani che
creasti, hanno per Volere Tuo l’anima immortale.
D – A ciò non avevo pensato. Mi sorprendi sempre.
L – Su, dai, non essere così modesto. Diciamo che Ti sorprendo
solo ogni tanto. Diversamente i ruoli sarebbero a parti invertite.
D – Cioè?
L – Io starei lassù sul Tuo Trono e Tu quaggiù nel mio ruolo di mortale.
D – Credo che in quel caso se ne vedrebbero delle belle, Leo.
Inceneriresti tutti gli umani.
L – Senti chi parla. Non fosti poi Tu a incenerire la Pentapoli,
specie Sodoma e Gomorra? E poi, lasciamelo dire: sarebbe un lavoro inutile!
Prima o poi quelli crepano tutti da sé.
Tu, infatti, li annegasti una volta, li inceneristi un’altra, ma
poi hai lasciato perdere per un motivo specifico e pratico.
D – Dimmi, Leo: credi forse di uguagliarmi e di poter leggere
nella mia mente?
L – Io? Proprio no! Ti dirò come Abramo: non si adiri il mio
Signore se continuo a parlare (Gen 18,30).
Considerata però la tua domanda retorica, siamo sulla stessa
linea d’onda.
D – Spiegati, Leo.
L – Vedi, la progenie che uscì prima da Noè e poi da Abramo non
creò degli stinchi di santo. Anzi: si mostrò peggiore delle precedenti. Sicché
fosti quasi costretto a invertire i ruoli.
D – Cioè?
L – Invece di annientare loro, per salvarli mandasti il Figlio
in croce. In pratica una parte di Te Stesso.
Poi non cambiò belle e nulla, perché, come puoi vedere, il mondo
prosegue sempre sulla stessa rotta.
D – Su ciò non ti posso contestare. Però quelli che “credono”
nel Figlio, perciò nel Padre, ottengono la Vita eterna.
L – Su ciò lasciami dissentire. Secondo i Tuoi teologi la vita
eterna la ottengono nel momento che Tu li chiami alla vita. Possiamo poi
discutere sulla vita eterna che può essere sottintesa in due sottospecie.
D – Oggi – sarà per il caldo – fatico a seguirti. Spiega meglio.
L – Beh, mi sembra semplice. La vita eterna si divide in due
sottospecie: la beatitudine eterna e la dannazione eterna.
D – Su ciò convengo. E allora?
L – Sai, Buon Dio: sempre 59 e 2 mezzi, oppure 59 e 4 quarti.
D – Spiritoso! Su ciò non mi hai colto in castagna. Burlone! E
Io non ho messo l’apostrofo.
L – Dai, si fa per dire. Una risata è meglio di … 100 medicine.
D – Prima mi parlavi dei miracoli. Dimmi: tu credi
in questi?
L – Li ammetto, ma non ci credo. Non sono fesso del tutto.
D – Sicché, ne arguisco, tu pensi forse che coloro che credono
in questi siano tutti fessi?
L – Non mi hai inteso.
Vedi, io divido i miracoli in due settori: a) quelli che possono
essere classificati come vere e proprie balle, sparate tanto grosse per
dimostrare la grandezza di chi li ha compiuti. b) i miracoli reali; che sono poi
dei semplici e normali eventi fisici o biologici, che si realizzano in
determinati casi.
D – Fammi alcuni esempi.
L – La Bibbia e pure i Tuoi Vangeli sono zeppi di questi
fantomatici miracoli, come molte agiografie dei santi. Sono tanto mirabolanti
quanto assurdi. E, filosoficamente, pure rivoltanti. Sono la negazione non
tanto del buon senso, ma della logica filosofica. Facendoci un ragionamento
analitico sopra, si ottiene il contrario di ciò che volevano dimostrare.
D – Come sai gli antichi tendevano a questi racconti, specie se
la realtà non era ben comprensibile per loro. Come sai pure l’Iliade e
l’Odissea, ad esempio, sono piene di questi miracoli, di cui ai nostri giorni
il comune mortale sorride pure divertito.
L – Siccome mi chiedevi un esempio ne ho proprio pronto uno di
vita vissuta.
Come sai, un tempo nel borgo non vi erano le scuole come ora.
Sicché per frequentarle bisognava prendere l’autobus – in Toscana direbbero la
Sita -. Pure le corse degli autobus non erano frequenti come ora; perciò era
molto disagevole andarci per un ragazzo.
Fu così che andai in un collegio gestito da tuoi druidi: quelli
che si occupano degli emigranti.
D – Questo lo so. Prosegui.
L – Siccome erano druidi, poco aperti alla filosofia e alla
teologia (non tutti) ma con una fame nera di pater, ave e gloria, in refettorio
durante la cena si doveva stare in silenzio, mentre un nostro compagno di studi,
ferrato in lettura, a turno provvedeva a leggerci l’encomiabile gesta dei santi
di un tempo, con annessi miracoli.
D – Bene! Immagino che sarà toccato pure a te farlo. Già allora
avevi una buona dizione retorica.
L – Già, proprio così.
Or avvenne che una sera mentre leggevo la vita di un santo
romano del XV secolo, m’imbattessi in uno strano miracolo, uno di quelli tanto
mirabolanti a cui solo un beota, pur se ragazzino può crederci.
D – Prosegui. Il discorso mi pare interessante.
L – Devi sapere che questo santo faceva miracoli a caterve, un
po’ come Tuo Figlio quand’era quaggiù.
I suoi superiori – che ovviamente erano Tuoi ministri – erano
però invidiosi che a costui venissero spontanei tanti miracoli, mentre a loro non
ne sortiva uno che è uno. Perciò, sempre per invidia secondo l’agiografo,
proibirono a costui di farne altri, con la scusa che ciò poteva creare disturbo
alla quiete pubblica. Ovviamente, come sai, quella città era già amministrata
da tempo da uno dei Tuoi tumghina bianca.
D – Leo, vieni al dunque senza molti commenti di … merito.
L – Grazie, Buon Dio!
Questo santo, ovviamente, era un religioso, perciò soggetto al
voto di ubbidienza. E in base a questo si assoggettò di buon cuore al volere
dei suoi superiori. La prese come un atto della … Tua Volontà.
Or avvenne che un giorno, passando per una via della città,
transitasse dove vi era un alto edificio in ristrutturazione. E siccome le
norme di sicurezza sul lavoro non erano le attuali, era facile che per una
piccola disattenzione potesse scapparci il morto.
Infatti, mentre camminava a testa bassa intento a ruminar
preghiere, fu distolto da acute urla di disperazione. D’istinto alzò lo sguardo
e vide precipitare un uomo a volo libero. Gli venne spontaneo alzare una mano
al cielo e ordinare al malcapitato “Fermati!”. E quello, come
il sole con Giosuè (Gios 10,12-14), si fermò nel vuoto.
Ovviamente si ricordò subito del comando dei suoi superiori;
perciò, lasciando quello vibrarsi come una piuma a mezz’aria a circa quindici
metri dal suolo in seguito al suo ordine provvidenziale e miracoloso, corse dai
superiori per avere ragguagli sul da farsi. Quelli, considerati gli eventi, gli
permisero di completare l’opera. Costui tornò di corsa sul luogo e ordinò al
malcapitato di scendere lentamente e di posarsi integro al suolo. Come in
effetti avvenne.
D – E poi?
L – Poi avvenne, non al santo ma a me, che venisse spontanea l’esclamazione
“Oibò!”. I tuoi druidi rimasero soddisfatti per tale esclamazione,
ritenendola di meraviglia davanti a cotanto miracolo.
D – Invece tu volevi manifestare la tua incredulità.
L – Grosso modo. Fu come dire: ma a chi la vogliono far bere?
D – Ora ti faccio una domanda … impertinente: perché mai non
avrebbe potuto essere anche un miracolo vero?
L – Semplice, Buon Dio: perché tale miracolo è in contrasto con
le leggi fisiche che Tu stesso hai stabilito e creato. Sarebbe come un rigetto
delle stesse.
D – Con una semplice risposta, apparentemente comune, hai
espresso un alto concetto filosofico e teologico. Bravo, Leo! Completa, però,
il discorso anche per il profano.
L – Mi pare semplice: Tu sei Colui che ha messo ordine e fissato
le regole delle leggi fisiche e genetiche, oltre che sociali. Se il miracolo
fosse contro tali leggi, non rispettandole, Tu saresti il primo a creare
anarchia nel creato. E il creato, a quel punto, non potrebbe più esistere.
D - Bene! Sicché, mi par di capire, che tu escluda la
possibilità che un miracolo possa sussistere, tanto nel passato, come nel
presente o nel futuro.
L – In effetti, Buon Dio, non è così. La questione è un po’
diversa.
D – Fammi capire meglio il tuo pensiero.
L – Io non nego che tu possa compiere questi atti, o altri farlo
nel Tuo Nome. Dico solo che questi fatti sono semplici eventi naturali fisici o
genetici, corrispondenti alle leggi fisiche e genetiche da Te fissate con la
creazione del mondo. Proprio come il “Fermati, o sole!” di
Giosuè fu una semplice eclissi, pertanto un normale, anche se non quotidiano,
evento astrofisico.
Vedi, la creazione narrata nella Genesi è tanto puerile quanto
ridicola. Se il mondo esiste per opera Tua, questo è avvenuto per le leggi
fisiche e genetiche che hai creato. L’intelligenza è il creare i principi che
regolano la materia, non il creare la materia, perché nulla si crea e
nulla si distrugge (Lavoisier).
D – Condivido, Leo. Procedi!
L – Come diceva Plotino il mondo (materia)
è l’emanazione dell’Essere, proprio perché l’Essere è pieno della sua Essenza e
questa travasa da lui. Il Prologo (Gv 1,1-18) non è, infatti, un perfetto estratto della filosofia
neoplatonica di Plotino?
Ne consegue, tornando ai miracoli, che ciò che noi definiamo
tali sono in realtà dei normali eventi fisici o biologici a noi sconosciuti.
Diventano tali quando si creano le condizioni necessarie.
Se non fossero tali non sarebbero riproponibili, e non essendo
riproponibili sarebbero irreali.
D – Pure tu, Leo, allora hai compiuto un miracolo, visto che hai
superato la scienza.
L – Non credo. Ho sfruttato solo la combinazione che la natura
mi ha messo a disposizione. Semmai è la scienza in materia che non conoscendo
ancora tutte le varianti è giunta ad un responso errato.
D – Bene. Condivido appieno con te.
Senti, vorrei farti una domanda, che sarebbe pure un invito:
visto che stai meglio perché non torni a fare per un po’ il conferenziere?
Sarebbe utile pure al mio popolo.
L – Ti risponderò con un’altra domanda similare: perché non
torni sulla terra a morire in croce per redimere l’umanità di nuovo?
D – Perché per chi vuol credere basta una volta.
L – Allora Ti rispondo pure io: pure per me basta una volta!
D – Dai, Leo; so che se te lo chiedessero lo faresti nuovamente.
L – Dipende, Buon Dio.
D – Da cosa?
L – Da chi me lo chiederebbe e cosa mi chiederebbe. Su ciò non
mi sono mai tirato indietro.
Ora ti saluto e scendo. Il vecchio e consunto Gini starà ancora
brigando col recinto per domani. Sarà bene che giunga laggiù in tempo utile per
alleviargli un po’ di lavoro e fatica.
Ciao! Alla Prossima.”
Leone si alzò, prese lo zaino e
se lo mise in spalla. Agguantò la racchetta, guardò divertito per un attimo la
croce e cominciò lesto la discesa.
Billyno si precipitò davanti a
lui, distanziandolo nettamente. Voleva raggiungere Bruno in fretta per
alimentare … qualche bega.
Gini stava ancora lavorando col
recinto. Perciò Leone, dopo essersi tolto lo zaino, gli diede volentieri una
mano.
Indi scesero alla cascina; dove
Gini, come sempre, gli offrì mezza dozzina di uova.
Sesac