domenica 8 maggio 2016

L’ultima confessione di Leone.


Oggi, venne in visita da me Sesac; e mi consegnò questo racconto che pubblico, come sempre, assai volentieri.
Tratta, come consuetudine, della vita degli animali della foresta e dei fatti di un tempo che fu.

Sam Cardell
 
Tratto da “i Dialoghi” di Sesac
 
L’ultima confessione di Leone.
 
ovvero:
 
Dal vangelo  secondo … Sesac.
 
In quel tempo … s’era a maggio. Un maggio d’un Anno Santo di alcuni decenni fa.
 
Leone, favorito da una bella primavera, s’era dedicato presto alla fienagione nel podere di Era, onde produrre il foraggio necessario per il suo pregiato allevamento di conigli selezionati. Infatti, intendeva poi partire per un lungo viaggio nel Land di Itachia, sui sentieri della fede, dell’archeologia e dell’arte. Sentieri che in quel Land erano tanto abbondanti da lasciare al cultore l’imbarazzo della scelta.
Ovviamente possedeva un piccolo allevamento, perché diversamente non avrebbe potuto coniugare l’hobby con il lavoro.
Tuttavia era assai quotato, considerato che le richieste di fattrici selezionate avevano portato alcuni suoi soggetti a spasso per il mondo, anche fuori dei confini di Eurachia.
Leone s’era dilettato negli anni precedenti, forte dei suoi approfonditi studi in biologia, ad effettuare opportuni incroci, onde ottenere dal Nuova Zelanda Bianco – coniglio col mantello bianco candido e con occhi albini – un nuovo soggetto identico nella struttura, ma totalmente diverso nel colore: il Nuova Zelanda Nero, d’un mantello nero assoluto e lucido, con occhi totalmente neri.
Per ciò era molto soddisfatto e appagato per l’impegno profuso.
Nell’allevamento teneva e selezionava, oltre al Nuova Zelanda, capi di diverse razze pregiate: il Gigante di Normandia, il Gigante di Fiandra (- il cui maschio poteva superare con facilità gli 8 kg; il suo era uno splendido esemplare di 10,5 kg -), il Fulvo di Borgogna, il Papillon Bretone e il Belier Inglese, simpatico “conigliotto” con le enormi orecchie penzoloni alla cocker.
Per ottenere le selezioni desiderate operava su 2 fronti, seguendo i dettami degli studi della Legge di Mendel: con il primo produceva soggetti di carne pregiata creando dei meticci, con il secondo soggetti di razza pura, alternando incroci di meticci a incroci di razza, onde eliminare i pericoli dovuti alla consanguineità.
 
Giunse il giorno della partenza. Caricò armi, bagagli e familiari sul suo potente cocchio blu Mexico Ghia col naso di Knudsen e elegante tetto in vinile, diede libero sfogo ai 2 carburatori e s’inoltrò veloce e sicuro nei tortuosi anfratti dello stivale.
Con sé aveva pure la zia Tilde, buona e fervente pia donna che tutte le beveva. Semplice e culturalmente carente era tuttavia cresciuta rettamente sulle base di quegli imperativi categorici e di quei detti sapienziali su cui si reggevano a quel tempo la moralità e l’etica comportamentale del ceto plebeo, basate, soprattutto, sui dettami religiosi.
Girovagò un po’ ovunque nelle mete prefissate, per giungere, infine, la terza settimana, nella capitale del Land. Città che  per via dei suoi impegni professionali d’alto livello era da lui conosciuta da tempo; nella quale, per inciso, aveva stabilito di soggiornarci in visita una decina di giorni.
In quella città vi era la sede dei Grandi Druidi e il suo massimo tempio. Pure questi Leone conosceva, avendo varcato per ben due volte i legni di Damaso, per sbrogliare a costoro una matassa complicata (per loro) più del nodo di Gordio.
In quelle occasioni era stato accolto, dato il suo grado, con alcuni galli cedroni schierati la prima, mentre nella seconda il picchetto era al completo e in alta uniforme. Perché, come sottolineava ironicamente Leone, il protocollo era una cosa, ma, all’occorrenza, la ruffianeria dei druidi era … ben altra, specie nella necistà.
 
Leone, ivi, vi giunse dopo aver visitato i luoghi sacri di quel tapino, piccolo e bruttino, che tutto normale - secondo lui – non doveva essere.
Egli, in verità, riteneva, da studioso, che costui, in effetti, si fosse alla fine materialmente “suicidato”, giacché a forza di penitenze, privazioni e digiuni aveva ridotto sé stesso ad un cadavere sanguinolento ambulante. Infatti, morì giovane ancor prima di toccare i cinquanta, nudo sulla nuda terra.
Ciò, come spesso avviene, non impedì ai posteri di elencarlo tra i grandi santi, elevandolo pure al massimo rango nobiliare di protettore di quel Land. Perché, come spesso sottolineava nelle sue conferenze Leone, la normalità non è un bene religioso, quale in realtà è l’anormalità.
Leone non amava né i santi né gli eroi. Li riteneva il frutto necessario (obsoleto) d’una cultura popolare che aveva bisogno di miti per procedere, non avendo in sé la sapienza (sofia) necessaria per esplicare quella civiltà di cui avrebbe avuto bisogno per far vivere ognuno nella retta via, senza soprusi da un lato e rivendicazioni più o meno pacifiche dall’altro.
Or avvenne che, trovandosi in un eremo di questo santo, un priore, tonacato marrone, per una lauta mancia (offerta) gli facesse da prodigo e volontario accompagnatore, nonché cicerone per tutta la compagnia.
Costui snocciolava a Leone e ai suoi familiari le azioni miracolose del santo, sulle quali Leone sorrideva divertito. E di cui, la zia Tilde, si riempiva il cuore e la mente, conscia che la fede in ciò le avrebbe dato la salvezza eterna. Ogni miracolo ascoltato la faceva … lievitare di un metro verso il paradiso. E più era fantasmagorico e assurdo, più le donava … salvezza. Le frottole, infatti, specie quelle improponibili e assurde, pare siano state create proprio dalle religioni alla voce miracoli.
Infine – il priore - giunse al racconto della “conversione” del “lupo assassino”, che, benché ormai vecchio, era solito azzannare con ferocia, fino ad ammazzarli, i bipedi viandanti che capitavano sotto le sue grinfie.
Secondo il tonacato, infatti, il lupo feroce si acquattò docile ai piedi del santo senza colpo ferire. Leone sorrise e disse che sapeva il perché lo aveva fatto.
La zia Tilde rizzò rabbiosa orecchi e capelli, guardando torvo Leone. Immaginava, infatti, che Leone stesse per pronunciare una delle sue storiche e famose sentenze “sacrileghe”.
Il priore non s’avvide dell’umor nero improvviso della zia; e benché Leone tacesse, lo sollecitò, curioso, per conoscere il suo pensiero in materia. Giacché Leone, non essendo un tipo comune, lo aveva colpito solo nell’apparirgli casualmente davanti.
Leone, ovviamente, nicchiò per un po’, ma poi cedette alle insistenze del tonacato.
E così disse: Beh, il lupo vide ch’era solo tutto ossa, mezzo rachitico, sporco, sanguinolento e piccoletto assai. Perciò ritenne che era meglio digiunare in quel frangente, perché il pasto sarebbe stato peggio del digiuno per il suo stomaco.
Ciò fece sbottare il priore, tra l’altro ben pasciuto, in una risata che fece rizzare ulteriormente orecchi e capelli alla zia Tilde, accompagnando il riso divertito con una battuta: Il lupo forse aveva ragione. A ciò non avevo mai pensato.
Al che, sentendo le sacrileghe battute, la zia Tilde “scomunicò” in cuor suo entrambi gli … apostati.
 
Là vi era la Domus  Peter, imponente mausoleo dei sommi druidi. E, ovviamente, Leone vi portò più volte la … devota compagnia. Il tempio, infatti, era un fantastico scrigno d’arte e di storia.
La zia Tilde, ovviamente, mal digeriva che il nipote, pur essendo Leone, fosse troppo indipendente e in materia la pensasse assai diversamente da lei. Perciò, con testardaggine degna d’una provetta zuccabanchi, s’arrabattava continuamente a tampinare il nipote perché si … convertisse, dato che s’era nell’anno giubilare e in luoghi sacri. Per lei era inconcepibile che il nipote potesse essere lì per altri fini diversi dalla fede.
Fu così, che la terza volta che visitavano la Domus Peter, Leone scorse passare ai bordi della navata un tonacato purpureo; e lo riconobbe per il grande druido che gli aveva commissionato (implorato) una missione, giacché allora rivestiva pure la carica di Segretario di quel Land, piccolo geograficamente ma immenso finanziariamente. Perciò lo osservò attentamente, finche non lo vide infilarsi in un confessionale.
Divertito pensò, da monello qual era, ch’era l’occasione giusta per beccare 2 piccioni con una fava: la zia Tilde e il purpureo.
Perciò, senza pensarci due volte, s’infilò a sua volta nel confessionale, dalla parte del penitente. Anche se, in effetti, la sua intenzione era quella di “confessare” il confessore.
Appena Leone si fu infilato il tonacato aprì la grata, dando inizio al colloquio tra i due.
(Nel colloquio seguente C=confessore, L= Leone)
 
C: Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
L: In nomine Patris et Filii, et Spiritus Sancti. Amen ! Καὶ εἰς τὸ Πνεῦμα τὸ Ἅγιον, τὸ κύριον, τὸ ζωοποιόν, τὸ ἐκ τοῦ Πατρὸς ἐκπορευόμενον.
C: Scusi, lei è ortodosso?
L: Perché me lo chiede, ha forse remore a confessare gli ortodossi? Non credono nello stesso Dio?
C: Per il filioque. È anomalo che un cattolico aggiunga il testo greco niceno.
L: Infatti, più che essere un cattolico io sono un soggetto anomalo. Sottolineerei: assai anomalo.
C: Non è un battezzato?
L: Beh, in verità sono stato battezzato più volte.
C: Come sarebbe a dire? Ha cambiato più volte religione?
L: No! È che oltre al prete mi han battezzato più volte pure i miei familiari!
C: Lei ha dei genitori Pastori?
L: No. Solo commercianti.
C: Era forse, da neonato, in pericolo di vita e i suoi l’hanno battezzato subito?
L: No. Mi han battezzato spesse volte dopo per ciò che combinavo. Glielo ho già detto che sono un tipo anomalo.
C: Sicché, da quanto mi dice, penso che ora lei avrà molto da dire in confessione, se avrà continuato sulla stessa falsariga.
L: In verità, in verità le dico – per usare la terminologia del suo Capo – non avrei molto da dire. Anzi: direi proprio nulla.
C: Forse lei si è confessato poco fa e sarebbe qua solo per una benedizione? Perché dice: il mio Capo?
L: Guardi, se è per quello non ricordo neppure più quando mi sono confessato l’ultima volta.
C: Oltre o meno di un anno?
L: Di norma mi capita di confessare altri. Io non lo faccio da lustri. Per il suo Capo, non è forse Corpo e, soprattutto, Capo della Chiesa?
C: Sicché questi sono i suoi primi peccati gravi che dichiara. Mi pare di capire che lei preferisca che proceda per domande in questa confessione. Sarà in palese imbarazzo. La capisco.
L: Mi sa che non ha capito proprio nulla. Ciò che per lei sono peccati gravi, per me non sono proprio nulla.
C: Come sarebbe a dire?
L: Lei mi può insegnare che per compiere un peccato servono 3 condizioni: forma grave, piena avvertenza, deliberato consenso. Mancando una delle quali il peccato evapora da sé.
C: E allora?
L: Allora: la questione è semplice. L’azione è un fatto spesso soggettivo. Infatti la compie chi ha una determinata intenzione. E se per costui l’azione non è ritenuta peccato manca la prima condizione. Se non è cosciente (ritiene) della prima è ovvio che manca la seconda e di conseguenza pure la terza.
C: Su ciò non la posso contestare. Anche se Dio non è l’uomo e ciò può gridare al Suo cospetto.
L: Lei è sicuro che ci sia?
C: Non capisco. Chi?
L: Dio, ovviamente. Se ha fede “crede”. La fede, però, non è un accidente scientifico, né una prova tangibile. È solo un  accidente trascendente che però è in sé solo un fattore incoativo escatologico.
C: Vedo che lei conosce molto bene la filosofia, presumo pure la teologia e la morale cattolica.
L: Infatti ho al mio attivo 10 anni come conferenziere in tutto il Land, e talora pure fuori.
C: Quale onore ho oggi di confessare uno come lei.
L: Scusi: parla per sé oppure in pluralis maiestatis?
C: Lei mi colpisce e disorienta. Non capisco la frase.
L: Semplice. Parafraserò così: credo che la sua sia un’affermazione personale, anche se ora, come confessore, riveste un ruolo divino.
C: Ha ragione. Diciamo: entrambe le cose. Vorrei solo fare un’osservazione: lei sicuramente è una persona molta sicura di sé. Però in questo modo rischia d’essere il fariseo e non il pubblicano.
L: Sicuramente lei allude alla parabola di Lc 18, 9-14.
In merito a ciò pongo alla sua attenzione 2 fattori importanti: a) Sono quel che sono, perciò non perfetto. Ciò non significa che l’affermare ciò che in effetti si è sia peccato. b) Le parabole sono spesso distorsive. E Gesù poteva essere molto più chiaro e esplicito nel dire  (insegnare), senza celarsi dietro a parabole allusive col suo noto chi ha orecchi da intendere intenda. Ne consegue che la stessa cosa possa essere intesa ed interpretata in vari modi, talora pure eticamente e socialmente contrapposti.
Ora le dirò una cosa. Dovrei forse fare l’attore e dirle: Buon Dio, sono il più idiota di questo mondo, pecco 70 volte al giorno e non son degno di stare al Suo cospetto?
C: Perché mi dice “Buon Dio”? Io non sono Dio, ma solo un Suo ministro.
L: Ha perfettamente ragione. Però ora le faccio una domanda retorica: oltre che con lei, Suo ministro, non sto forse ora davanti al cospetto di Dio?
C: Sicuramente.
L: Bene. Lei è la Sua voce, le Sue orecchie e il Suo braccio destro assolutorio. Perciò, considerato tutto, ora dovrebbe spiegarmi i passaggi del fico maledetto citati in Mc 11, 12-14; 11, 20-21 e con poca differenza in Mt 21, 18-19. Perché è ovvio che il fico non ha alcuna colpa se uno vuol raccogliere frutti fuori stagione. Segue, infatti, solo la Sua legge, che Egli ha stabilito alla creazione.
Inoltre gradirei essere illuminato pure su Mc 5, 1-20. Perché a molti parrà un gran miracolo, ma per i mandriani dei porci fu solo un gran danno e disastro economico. E creare danno ad altri è per me un gran peccato.
C: Ciò che pare a prima vista ha in realtà un significato simbologico e traslato. Non deve essere letto letteralmente. Se uno ha fede in Gesù e in Dio, nulla gli è impossibile. Diversamente è condannato alla dannazione, perché la Salvezza viene solo dalla fede in Dio.
Comunque mi congratulo con lei per la grande conoscenza della Sacre Scritture. Le cita perfettamente con assoluta padronanza. Le dirò che prima di rispondere ho dovuto fare memoria di ciò. Se lei mi avesse fatto solo le citazioni, senza allegarci l’immagine del fico e dei porci, non avrei saputo rispondere.
L: Assai strano, considerando il pluralis maiestatis. Sarebbe come dire che chi ha scritto non sa poi leggere ciò che scrisse. Ciò è indice – mi permetta - di una monocultura da sacrestia.
Potrei essere d’accordo con lei se la teofania fosse rappresentata da un essere umano. Ma essendo rappresentata solo dal regno animale e vegetale, l’interpretazione mi pare fuori luogo e forzata assai. A meno che, sia venuto a salvare pure il regno animale e vegetale, che però non possono possedere il Libero Arbitrio.
C: Incolpa forse Dio d’essere un peccatore? Ciò sarebbe gravissimo! Mi risponda!
L: Io non incolpo nessuno. Semmai è chi scrisse, chi lo ispirò e chi dà di ciò un’interpretazione forzata che potrebbe portare a questa considerazione. Io cerco solo di capire ciò che Voi volete dire e avallare.
C: Lei mi spaventa. Pare che più che essere il confessore io sia il confessato. E con me Dio.
L: Le dirò che forse non ha tutti i torti. Nella mia vita, come simbiologo, ho spesso dovuto “confessare” alcuni di voi, specie se in crisi esistenziale e umana. Oltre che a cercare di ricostruirli psicologicamente, ritenendosi essi dei falliti.
C: La questione mi sfugge. Lei è forse un druido? Chi è e che fa il simbiologo?
L:  Le risponderò in modo scientifico e non col diritto canonico. Il simbiologo spesso confessa le persone, perché capisce anche quello che queste tacciono, non dicono o sottintendono. Comunque questo non è il luogo per un corso accelerato di simbiologia.
C: In sostanza che ha da confessare? Non mi dirà che non ha mai fatto peccati.
L: Credo che vi sia un malinteso di fondo nella sua religione, se afferma testualmente che il giusto (santo) pecca 7 volte al giorno. Bisognerebbe stabilire prima se uno sbaglio può essere un peccato, oppure quando si sovrappone ad esso. Diversamente i santi sarebbero tutti dei “fedeli” degenerati.
Credo fermamente che il peccato sia un atto volontario di compiere danni ad altri, perciò a Dio. Essendomi sempre astenuto da ciò, non credo di averne.
C: Non mi vorrà far credere d’essere immacolato e di non aver mai peccato. Non si è mai pentito d’aver fatto un atto che poi ritenne sbagliato?
L: Vede, forse lo Pneuma lo ha poco istruito e illuminato. Diversamente non parlerebbe così. Siamo alle tre condizioni canoniche iniziali perché il peccato sia tale. E non sottovaluti il valore istruttivo che lo sbaglio arreca all’uomo grazie all’esperienza che fornisce.
Procedendo nei ricordi passati potrei forse – e sottolineo il forse – riconoscere uno sbaglio. Non so se oggi accetterei di compiere un’azione simile, che in verità fu allora un vero è proprio atto di guerra.
C: Dica. Se solo ha dei dubbi in merito, solo il confessarlo le porterà l’assoluzione di Dio. Lui sa giudicare meglio dell’uomo. Sempre.
L: Vede, il fatto è che chi mi commissionò l’operazione, alle mie rimostranze sulla linearità d’una simile operazione, mi disse ben altro: ‘Dio sarà con te perché per questo ti ha scelto’.
C: Come sarebbe a dire?
L: Per capirmi lei deve ascoltarmi. Anche se credo fermamente che la storia iniziale la conosca quanto me.
C: Dove intende parare? Come potrei essere a conoscenza di una sua azione passata, forse peccaminosa?
L: In effetti, usando il pluralis maiestatis, lei dovrebbe saperlo benissimo; ma forse le sfugge il nesso.
C: Mi permetta di dirle che tutto ciò mi pare sibillino e quasi provocatorio, oltre che accusatorio. Forse ci conosciamo?
L: Vedrò di chiarirle le idee. Lei non è forse il Segretario di questo Land, fuori da questo confessionale?
Voi, tempo fa,  avevate il gran druido … - (omissis) - segregato e impelagato in una situazione scabrosa; e temevate che gli potessero estorcere qualcosa. Dopotutto non sapevate a che santo appellarvi, nonostante la vostra grande … fede. Sicché chiamaste … me.
C: Da ciò che mi ha appena detto ora ho capito. Tralasci il resto. Lei è il carismatico … - (omissis) -. Me lo poteva dire subito. Da una parte ho il piacere di rivederla, dall’altra ho l’imbarazzo di confessore nel sentire dubbi morali che mi coinvolgono. So, comunque, che lei agì senza colpo ferire. Di ciò deve essere cosciente anche lei. La Ragion di Stato, talora, impone considerazioni che possono apparire al profano  not politically correct.
Sono comunque convinto che il Buon Dio sarà felice di perdonarla per questo suo presunto peccato. Se lei lo desidera e manifesta pentimento.
L: Forse mi ha frainteso. E non mi dica che sono un profano.
l mio rincrescimento in materia non è quello del pentimento, ma solo quello di avervi dato … una mano. Considerato tutto mi sarebbe piaciuto lasciarvi nei vostri … guai, per vedere come ve la sareste cavata, sia con la vostra coscienza che con l’opinione pubblica.
C: Ciò che dice non è molto caritatevole ed è un peccato di presunzione. Dio ha i suoi progetti e fini che a noi possono sembrare sconosciuti, ma che tuttavia sono per il bene e la salvezza dell’umanità. Di ciò lei deve esserne cosciente.
L: Cosciente o no credo che lei ora debba confessare altri. Non posso trattenerla oltre ai suoi … doveri pastorali. La saluto.
C: Aspetti! Prima devo darle l’assoluzione.
L: Lei non può darmi l’assoluzione per il semplice fatto che in me non vi è pentimento. Al massimo solo rincrescimento. In compenso posso assolverla io, secondo il vostro Cod. iur. can., can. 960-63
Ego te absolvo a peccatis tuis in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen
 
Leone si alzò e usci.
Il confessore rimase interdetto; e alla formula dell’atto sacramentale, pronunciata da Leone, gli venne istintivo farsi il segno della croce da … bravo penitente.
Fuori la zia Tilde aveva atteso fremente e gioiosa la fine della confessione di Leone, convinta che le sue preghiere e sollecitazioni fossero servite per intenerire il cuore del Buon Dio.
Vedendolo uscire rilassato e sorridente pensò che si fosse convertito. Tuttavia, come sua abitudine di zitella conclamata, lo apostrofò così: Hai confessato tutto?
No! – rispose Leone, sorridendo divertito – Mi sono solo limitato a confessare lui ed ad assolverlo dei suoi peccati.
La zia Tilde pensò che scherzasse; e per le altre 2 settimane di girovagare tra arte, sacro e cultura se ne stette felice e contenta.
Vedendo però che non si comunicava, né che si faceva mai il segno della croce, gliene chiese ragione, ottenendo la divertita risposta di Leone: Sai, zia,  è la penitenza che devo fare per un certo periodo.
 
Dopo molti anni Leone decise di convolare a nozze con una devota, bella, formosa e bionda Leonessa etrusca.
Le nozze blindate si svolsero nella chiesetta del castello dei Conti Guidi, appollaiato in cima ad una collina sovrastante Florence.
Le presenziò il gran druido Lux, primate etrusco, concelebrando con altri druidi in una toccante cerimonia.
In quell’occasione Leone si comunicò, assumendo sia il pane che una sola goccia di vino. Era, infatti, astemio.
Presumibilmente  aveva concluso il lungo periodo … penitenziale, che a suo tempo non aveva del tutto convinto la Zia Tilde.
 
Sesac
 

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