Oggi, venne in visita da me Sesac; e mi consegnò questo racconto che pubblico, come sempre, assai volentieri.
Tratta, come consuetudine, della vita degli animali della foresta e dei fatti di un tempo che fu.
Sam Cardell
Tratto da “i
Dialoghi” di Sesac
Gli adulteri nel tempio.
Leone
da alcuni giorni non era al meglio.
Le vibrazioni interne che
squassavano periodicamente il suo fisico si stavano ripetendo. Ciò gli
disturbava pure il sonno, tuttavia non gli toglieva il buonumore. Era sempre
positivo.
Come spesso succedeva nei periodi
difficili, decise di salire sullo Sparavento.
Era domenica, la domenica della Trinità. Il tempo era buono e la temperatura
ideale per un’escursione in tarda mattinata.
Billyno intuì tutto e cominciò a
sgambettare ansioso in casa, volendo essere a tutti i costi della partita
…
Gini non era in cascina e neppure Bruno e la mandria. Sicché Leone comprese che
doveva già essere a pascolare in quota. Sicuramente a mezza costa, perché in
alto il pascolo sarebbe stato ancora inesistente. Infatti, non c’era neppure il
vecchio trattore. Perciò gli lasciò in casa le vettovaglie che gli era solito
portare, compreso il fustino di pregiato Chianti, di cui Gini era … ghiotto.
Bipperino affrontò deciso la salita e,
poco dopo, scaricò nella piazzola Leone e Billyno. Lui, infatti, amava solo
andare sulle carrarecce e non oltre.
Leone prese la racchetta, regolò
la telescopia per la salita, calzò lo zainetto e si avviò con Billyno sul sentiero
che dal colletto porta prima a un roccolo e poi, per pascoli, su verso i Marsì.
Si avviò lento perché voleva
raggiungere a tutti i costi la cima. In questo modo intendeva entrare in
temperatura senza affaticare muscoli e polmoni. Billyno capì l’antifona al
primo richiamo e si adeguò prontamente. Dopotutto erano mesi che non facevano
un’escursione.
A poco meno di metà salita
scorsero, stravaccata a ruminare, la mandria di Gini su a mezza costa. Dopo alcuni minuti individuarono pure lui con
Bruno.
Li raggiunsero e si fermarono per
i saluti. Gini si apprestava ad avviare il trattore per scendere. Lo trovarono
in buona forma nonostante l’età avanzata.
Ripartirono; e dopo un dolce, pur
se impegnativo declivio, raggiunsero il sentiero pianeggiante che porta alla
pozza d’abbeveraggio e all’isolato boschetto sommitale adiacente. Indi
attaccarono lentamente l’impegnativo tratto finale che porta alla cima, tra
sempre più radi ranuncoli in fiore, alcune orchis mascula e un isolato
esemplare di genziana kochiana acaulis.
Sbucarono infine, non senza
fatica, in vetta, dove ad attenderli v’era la tozza bianca croce sommitale.
Leone la raggiunse e,
salutandola, l’accarezzò con affetto, come una di famiglia.
Dentro di sé sentì allora una
voce e la riconobbe familiare.
“D:
Benvenuto e bravo Leo! Sei tenace nonostante gli acciacchi. Mi
complimento con te.
L: Grazie, Buon Dio. I complimenti delle persone competenti,
sai, fanno maggiormente piacere. Anche se, come ben sai, non aggiungono e non
tolgono nulla a ciò che, in effetti, sono. Sono stremato e ho raggiunto ‘sta
vetta solo con le unghie.
Ti ringrazio, comunque, per avermi concesso di giungere
nuovamente quassù.
Ti faccio pure gli auguri per la Tua festa. Sai, ora qua siamo
in tre: Tu, io e Billyno. Non è una Trinità perfetta, ma … possiamo accontentarci.
D: Grazie di cuore per gli Auguri! Ma, dimmi Leo; che hai
combinato ieri sera nel tempio alla prefestiva? È giunto un “divertente” clamore fino al mio
cospetto.
L: Sai, dovresti rettificare la domanda. Dovresti chiedermi: che
han combinato i due adulteri, zotici villani? Perché proprio di ciò si tratta.
Ora, se permetti però, siedo al mio solito posto. Tiro il fiato,
mi rifocillo un po’, e intanto faccio mente ai fatti di cui mi chiedi; poi …
ricominciamo. Ti va?
D: Ok, caro Leo. Davanti a noi ci sta solo tutta l’eternità. Fai
con comodo e calma.
L: Strano, però, che Tu non mi chieda che guazzabuglio teologico
ha fatto ieri sera il Tuo druido burino sulla Trinità. Sai, ha affermato che
1+1+1 non fanno 3, ma uno. Perché la logica della Trinità non è questa, ma ben
altra. Sicuramente alludeva alla matematica; però s’è poi scordato di dire qual
è nella realtà la logica Tua. Così ho scoperto che non sei più Uno e Trino, ma
solo Uno.
D: Sempre critico sei, vedo. Su, non essere troppo meticoloso.
Non tutti possono essere al tuo livello.
L: Già, Buon Dio. Lasciami ora ironicamente malignare un po’ su
di Te così: il fatto è che Tu o non li hai voluti creare al mio livello, oppure
non Ti riusciva di farne altri come me. Forse è stato un caso il mio; o Ti si
sarà rotto lo stampo?
Ecco perché quando m’incavolo di brutto con i miei simili dico
spesso: perché mai mi avrà messo in mezzo a tanti deficienti?
Ora mi faccio lo spuntino! ”
Leone si sedette perciò alcuni
metri a sud al suo solito posto. E, facendolo, notò che, a ridosso della roccia
su cui si appoggiava sempre, era stata costruita una piccola grotta con dentro
la statuina della Vergine, un distintivo del C.A.I, un santino della vergine,
un lume e un piccolo arbusto di pianta grassa in materiale plastico. La
osservò, divertito dalla … novità.
Aprì lo zainetto, tolse le
brioche, la frutta secca, la ciotola per Billyno e fecero entrambi colazione,
anche se ormai il sole volgeva verso il mezzodì.
Laggiù nella valle, il borgo, a
capo lago, si crogiolava al sole mille metri più in basso. Mostrando, fiero al
viandante, la sua pieve settecentesca in tardo barocco, posta sopra una rupe.
Notandola, Leone cominciò a
rimediare i fatti del giorno prima.
Leone non era solito recarsi
presto nel tempio. Tuttavia, avendo nulla da fare, la sera prima vi era giunto,
passeggiando, oltre 15’ prima dell’inizio della celebrazione.
Entratovi s’era seduto al solito
posto, circa a mezza navata; notando, assisi nella prima panca, la coppia che
denominava “sacristi”, nota e conclamata
coppia di adulteri
da anni. Tanto che al sorgere del fatto il druido precedente, il bel René, li
aveva invitati per ragioni morali e di opportunità religiosa a non salire
pubblicamente nel presbiterio.
Poi, quando fu sostituito dal
druido burino, costui li “rigenerò” nella riabilitazione, forte del fatto che Tunghina bianca voleva essere misericordioso verso
i peccatori, secondo il detto che Dio ama tutti i suoi figli e che va a cercare
la pecorella smarrita. In questo caso … due! Doveva cercare pure poco, avendoli
sempre in casa tra i piedi.
La coppia - come li denominava
Leone - era composta da Palla di biliardo e da Patata bollente.
Palla era un tipo obbrobrioso
nell’aspetto, zotico assai, totalmente calvo e con gli occhi stralunati,
psicotico e rivoltante nei rapporti sociali per degli abituali scatti irosi.
Non per nulla tutte le femmine con cui aveva cercato di approcciare lo avevano
subito scansato.
Leone lo aveva soprannominato
così sia per il cranio disadorno, sia perché in effetti era un povero … palla.
Da ragazzo s’era messo in testa
di fare da grande il druido. Perciò il prode Carlo lo aveva spedito in
seminario, dove però era rimasto solo un paio di giorni perché era figlio di …
papà. Là, infatti, non lo riverivano come facevano i suoi genitori, che lo
avevano come unico rampollo e lo tenevano come il pulcino nella bambagia.
Patata, invece, era giunta nel
borgo da un paese limitrofo, dopo essersi … mal coniugata con uno, pure lui di
altrove, di oltre un decennio più di lei. Magra inchiodata, era un’oca
civettuola affamata (arrapata) che pensava di averla solo lei, intenta ad
occhieggiare ovunque il galletto disponibile e … appetitoso. Pure Leone era
stato fatto oggetto in passato dei suoi sguardi ammiccanti; cosa, ovviamente,
che fece sempre finta di ignorare (vedere).
Il marito era un tipo
all’apparenza misogino, piccolo, magro e dalle gambe notevolmente arcuate
(sghembe), poco socievole con tutti. Forse, insinuava Leone, era pure quasi
impotente.
Sora Terry, vispa monaca che vedeva
lontano, un giorno disse dei due all’amica Mary:
Che vuoi, Mary, lui vale poco e lei vale ancora di meno.
Non si può pretendere di più.
Dopo anni che la coppia abitava
nel borgo, Palla e Patata cominciarono a simpatizzare, nonostante Palla fosse
di oltre un decennio più giovane di lei. Tanto per passare con noncuranza da un
opposto all’altro.
Patata ci seppe fare a tal punto,
in pochissimo tempo, da salutare sui due piedi, un giorno, il marito; per
trasferirsi seduta stante, armi e bagagli, da Palla, iniziando così la loro
vita in comune da … adulteri.
Sicché avvenne, che a forza di
mangiare “uccelli”, di cui era sicuramente
ghiotta, cominciò a cambiare fisico e peso. Tanto che Leone, da simbiologo,
annotava nelle sue analisi la variazione del bacino e del petto, segni
inequivocabili di una certa … alimentazione particolare, che prima non aveva
potuto avere dal misogino.
I due, culturalmente inesistenti,
nonostante tutto se la credevano e sicuramente pensavano in cuor loro d’essere
degli ottimi credenti. Non per nulla erano sempre ai primi posti nel tempio,
per essere di fulgido esempio a tutti i fedeli. Si credevano, nella pratica
comportamentale, i “padroni” del tempio.
Avevano il vezzo di parlottare
spesso tra loro, con l’aggiunta di sorrisini compiacenti anche durante le
funzioni religiose.
Il vecchio falegname spesso
prendeva posto accanto a Leone. Avendo la moglie ammalata, Leone gli chiedeva
sotto voce come andasse. Allo stesso modo lui chiedeva di Madame. In tutto si
scambiavano si e no una decina di parole.
Già in altre occasioni Palla
s’era girato a redarguire con modi poco garbati il falegname, perché – diceva –
il druido burino non voleva che si parlasse. Ovviamente dimenticava sempre il
suo parlottare con l’amante.
Leone, che non amava i due pesi e
le due misure, gli aveva già risposto un paio di volte a muso duro, perché il
tipo vedeva la pagliuzza nell’occhio altrui e non la trave nel proprio.
Tuttavia Leone, essendo magnanimo, s’era sempre limitato a delle battute.
Billyno e Leone finirono la loro
colazione, sorbendo, ciascuno, un bicchiere d’acqua.
A lungo, durante lo spuntino,
avevano rimirato i tre laghi stendersi sotto di loro, la piana in parte
offuscata dall’umidità della calura, il verde smeraldo del lago che,
nell’occasione, riverberava i pascoli e i boschi dei monti sovrastanti, la
lontana muraglia, là oltre la piana, degli Appennini, delle Cozie e delle
Marittime, che però si distinguevano quasi a fatica, miscelandosi con lontane
muraglie di nubi, avamposti di una nuova forte perturbazione.
Billyno si accucciò contro Leone,
onde ripararsi dagli spifferi ventosi che giungevano dal basso e che, come
sempre, investivano la cima, portando seco lo scampanellio delle “cioche” (campanacci) delle mandrie al pascolo.
Sentendosi recuperato nelle
forze, Leone riprese il suo dialogo.
“L: Ci sei ancora, lassù sul Tuo trono nell’alto dei cieli, Uno e
Trino?
D: Certo, Leo. L’universo ed Io siamo infiniti; tuttavia non
avrei altro posto … disponibile. L’infinito è in realtà finito, come Io sono
infinito, ma nello stesso tempo finito.
L: Questi sillogismi mi paiono troppo tomistici, perciò
scolastici. Forse dovresti aggiornarTi un po’ nella conoscenza filosofica
attuale.
Scusa: che volevi sapere prima?
D: Che tu mi aggiornassi sui fatti di ieri sera nel tempio.
L: Sai, a pensarci bene credo che Tu Ti sia perso una scena
madre.
Prima, però, per farti capire bene, vorrei descriverti la scena
per bene, senza di che non capiresti molto, se non il solo superficiale.
D: Bene, Leo. Ti ascolterò con piacere.
L: Ok!
Giunsi nel tempio con notevole anticipo rispetto al solito e mi
sedetti al solito posto. Nella panca, davanti a me, vi era la vedova di quello
scrittore e poeta tosco che richiamasti a te anni fa. Più avanti i due zotici
villani; o, se preferisci, i due adulteri. Scegli Tu la terminologia che
ritieni più appropriata. E guarda che l’ho detto con rispetto e non in modo
dispregiativo.
D: Lo so, Leo. Dopotutto è la realtà loro, che volontariamente
hanno costruito e che liberamente continuano a perseguire.
L: Bene! Or devi sapere che i due, come loro solito, hanno
parlottato spesso tra loro.
Ad un tratto, dalla parte inferiore del tempio, arriva una
signora, che avendo visto la vedova intende salutarla. Le si mette accanto in
piedi e per oltre un paio di minuti si scambiano i convenevoli, che tutti i
fedeli già giunti nella pieve possono facilmente ascoltare. Poi costei torna al
suo posto.
Ovviamente, trattandosi di persone di “rango” altolocato -
secondo i due zotici villani - questi se ne guardano bene dal girarsi per
redarguire le due “nobili” madame parlottanti.
Poco prima che inizi la funzione religiosa arriva pure il
vecchio falegname, che prende posto accanto a me. Io gli chiedo della moglie.
Mi risponde che sta benino e mi chiede di Madame. In tutto ci scambiamo una
decina di parole, articoli e congiunzioni comprese, sottovoce.
Palla si gira indietro, verso di noi, in malo modo, redarguendo
con le solite storie il falegname con quei suoi modi di cafone patentato, da
padrone del tempio.
Lo invito a non rompere, a stare zitto e a rigirarsi.
Ovviamente persiste; ed allora, visto che con le frasi educate
non intende, uso il suo stesso linguaggio: Non rompere le balle - (sinonimo dialettale bergamasco
dal doppio senso: bugie, testicoli) -,
che hai già rotto abbastanza. Girati e stai zitto!
D: Ahahhhaaaahhh! Suvvia Leo, mi meraviglio di te. Usare una
tale terminologia plebea nel tempio! Mi fai proprio divertire. Sai, solo un
tipo che se ne frega delle apparenze e delle convenienze, come te, può farlo.
L: Sapevo che la cosa ti avrebbe divertito. Infatti pure
all’inizio manifestati ciò, dicendomi: È giunto un “divertente” clamore fino al mio cospetto.
La querelle, però non si ferma lì. Aspetta il seguito, Buon Dio.
Il tipo, però, persiste, roteando gli occhi come un esagitato
psicotico, dicendo che poi il druido burino si arrabbia e che siamo nel tempio.
Gli ribatto che il tempio lo hanno costruito i paesani e non il
druido. Non è opera sua. Perciò proseguo: Ti ho già detto che è ora di smettere di rompere le balle. È ora
di finirla con ‘sta storia. Girati e sta zitto!
E dicendo ciò alzo la voce. Il tipo si placa scornato e si gira.
A questo punto, però, Patata si gira inviperita a difesa
dell’amante, dicendo che non è giusto e che si deve aver rispetto degli altri.
Sbava addirittura, sibilando come una vipera a cui gli si è accoppato il
maschio.
La cosa non m’impressiona. E siccome so come accoppare le vipere
velenose, ripeto a lei la stessa frase:
Smettetela di
rompere le balle che le avete già rotte da tempo abbastanza. Se hai rispetto
degli altri sta zitta, girati e non rompere più le balle! Non hai capito? Te lo
ripeto a voce ancora più alta: non rompere più le balle! Se vuoi te lo grido
pure in modo che non solo nella pieve, ma pure fuori intendano tutti ciò che ti
dico: non rompete più le balle!
Ovviamene modulando sempre di più alto il mio tono vocale.
A ‘sto punto la vipera s’acqueta, tace e si gira.
Nel frattempo il Tuo druido burino aveva percepito il clamore in
sacrestia e, bardato già dei paramenti sacri, aveva socchiuso la porta della
sacrestia, giusto in tempo per assistere alla parte finale.
A dire il vero, pur notando con la coda dell’occhio il
socchiudersi dell’uscio, ero troppo intento a fissare la vipera negli occhi con
autorità e decisione; mentre nei suoi leggevo solo paura e soggezione.
Sicché, avendo finito con i due adulteri, giro gli occhi verso
l’uscio e lo vedo guardarmi con quel suo torvo sguardo minaccioso che talora
usa pure durante le celebrazioni, per incutere tremore e reverenza ai fedeli
che sbagliano qualcosa.
Costui, pur non conoscendo la successione dei fatti, mi guarda
fisso senza proferir parola in modo malevolo e reprimente, per incutermi
soggezione.
Ma, Buon Dio, essendo solo il druido un pollo ruspante, gli
pianto i miei occhi deciso nei suoi e a voce imperiosa gli dico: E tu che vuoi?
Il pollo non regge lo sguardo mio, distoglie i suoi dai miei,
scuote il capo, si gira, chiude la porta e … poco dopo si reca all’altare per
iniziare la celebrazione liturgica. Come se nulla fosse successo.
D: Sai, Leo, mi meravigli sempre. Non sei nuovo a zittire e a
intimorire i druidi, grandi o piccoli, che osino mettertisi contro.
Ricordi quando, durante un convegno scientifico, annullasti tra
le risate generali quel mio gran druido purpureo con: Eminenza, faccia il
bravo ragazzo educato. Altrimenti va a finire che qui la degrado subito a
chierichetto, seduta stante. Sai, per il suo
amor proprio Io so che per lui fu un colpo mortale. Arrossì a tal punto che
quasi gli venne un infarto dalla bile che sprigionasti in lui.
Oppure, quando durante quella conferenza sulla tematica del
sacramento della penitenza, riuscisti teologicamente a dividere decine di miei
druidi un contro l’altro, con il risultato che più della metà si schierarono
con te? Che dicesti al monsignore capofila della cordata avversa a te?
L: Certo che me lo ricordo, anche se son trascorsi decenni.
Lo apostrofai così: Ora, lei che è tanto tronfio di Spirito Santo, crede forse che
lo Spirito abbia illuminato solo lei e i suoi pochi seguaci di questa
discussione e che abbia azzerato la capacità conoscitiva di quelli che si sono
schierati con me? Mi spieghi ora bene se costoro sono consacrati, oppure se
sono dannati, eretici o apostati.
D: Leo, tolleranza e misericordia! Sono tutti figli miei.
L: Lasciami, Buon Dio, essere scanzonato. Perciò Ti dirò: guarda
da che pulpito viene la predica. Tu, fosti misericordioso e tollerante coi
mercanti nel cortile del tempio –
Mt 21,12; Mc 11,15; Lc 19,45-46; Gv 2,14-16 -, quando li fustigasti e rovesciasti i loro
banchetti?
E sempre nel cortile del tempio, all’adultera, non dicesti
forse: Neppure
io ti condanno: va, e d’ora in poi non peccare più. (Gv 8,11)
Sai, io sono tollerante con tutti, adulteri compresi. E non m’impiccio
dei fatti loro, anche se li vedo.
Non mi preme affatto tirare la prima pietra, ma neppure l’ultima.
Ma, se qualcuno la tira a me, gliene rimando 100 di fila finché non li ho
seppelliti del tutto.
Ora passi che il Buon Pastore lasci le 99 e va a cercare quella
smarrita. Perciò anche le … due.
Però, qua, sono cattolici o luterani? Conosci la massima di
Lutero? Pecca fortiter, sed
credē fortius; che trae i
presupposti nientemeno che da Agostino: pecca
fortiter, sed ama fortius.
E gli adulteri in questione che fanno secondo Te? Peccano più
che possono e amano un tantino di più. Per cui poi vengono perdonati …
continuamente.
Vedi, qua forse vi è una contraddizione di fondo, perché, visto
che perseguono da anni imperterriti, il loro amare corrisponde solo al
“ciulare”. Sicché ti pregano e poi ciulano nell’adulterio … all’infinito.
Perciò cerca pure le pecorelle smarrite da mane a sera.
D: Leo, ma che linguaggio volgare mi usi oggi?
L: Volgare non direi, anche se colorito. Serve a esplicare molto
realisticamente il concetto. Non credo che Tu Ti possa scandalizzare per un
colloquio molto franco e diretto.
D: Sai, ho capito benissimo il tuo concetto. Però ora tira le
conclusioni.
L: Buon Dio, queste sono abbastanza semplici. Nella Tua
preveggenza dovresti già saperle.
Se gli adulteri mi attaccano ancora li seppellisco sotto le loro
macerie. Se il druido burino mi capita a tiro con certe balzane idee, Te lo
civilizzo battezzandotelo, cresimandotelo e istruendotelo a dovere.
Ti dirò: hai mai sentito la preghierina bambinesca di Tunghina
bianca per il Giubileo della Misericordia. Qua la leggono dopo ogni
celebrazione festiva.
Io non la dico mai, perché mi pare infantile. Sarà pure vero che
non entrerò nel Tuo Regno se non diventerò come un bambino, ma lascia che Ti
dica che preferisco restare adulto.
Ebbene, la preghiera è infantile, ma non per questo banale.
Dovevi sentire come la recitava bene ieri sera Patata bollente,
al passaggio che dice che insegnasti all’adultera a non porre la felicità in
una persona.
Dici che ha capito ciò che leggeva?
D: Considerata la sua vita e le sue azioni, credo proprio di no.
L: Bene, Buon Dio. Vedi, alla fin fine Ti posso contestare, ma
poi ci troviamo sempre sulla stessa linea filosofica e teologica.
Ora Ti saluto e scendo. Ormai il mezzodì è già passato. Buona
giornata!
D: Buona giornata pure a te, Leo. Mi raccomando: tolleranza e
misericordia. Oltre che ad istruire gli ignoranti.”
Leone raccolse lo zainetto e s’incamminò.
Billyno, sentendo profumo di …
polenta, saettò rapido da Bipperino.
La breve escursione gli aveva
messo addosso una fame da … lupi.
Sesac
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