venerdì 23 gennaio 2015

Quell’appetibile cibo chiamato Banca popolare.


Presentando in conferenza stampa il Decreto sulle Banche popolari, Renzi così si è espresso, testualmente: Abbiamo troppi banchieri ma facciamo poco credito, bisogna aprirsi ai mercati e all’innovazione. Il nostro sistema bancario è solido, sano e serio, ma deve cambiare.
Innanzitutto molti esperti si chiedono perché mai un Governo proceda su un tema tanto delicato con un Decreto, che, come si sa, riveste una tematica di urgenza. Quando, a più riprese, rimandi quello sul terrorismo.
Se si fosse voluto procedere su questa problematica, un Disegno di Legge sarebbe stato molto più consono.
A meno che sotto le sembianze dell’interventismo renziano non si nascondano ben altri motivi, molto meno nobili della conclamata intenzione di rimodernare l’Italia. I maligni … sostengono: svendere l’Italia.

I Paesi scandinavi e la stessa Germania sono ricchi d’istituti bancari con le caratteristiche delle nostre Banche popolari. La Merkel ha difeso a denti stretti la libertà operativa e statutaria di questa tipologia di banche, anche contro l’appetito della supervisione egemonica della Bce. E nessuno, là, si sogna di rendere per Decreto le principali banche di credito cooperativo in S.p.A.
Il fatto che queste nazioni non siano in recessione è, infatti, dovuto anche all’esistenza di queste banche radicate sul territorio, che per il loro sistema statutario di governance e di voto non possono essere scalate.
Credo che senza tali banche anche gli stati nordici sarebbero ora in recessione. Sono, infatti, quelle che hanno continuato a finanziare imprese e famiglie; al contrario delle grandi S.p.A., che, sotto la pressione degli azionisti, hanno ritenuto poco remunerativo operare nel concedere credito, attratte dalla redditività facile della speculazione finanziaria. Col bel risultato che molte hanno poi dovuto essere salvate da finanziamenti pubblici, nonostante le pesanti ricapitalizzazioni per le perdite subite; quando, come in America, non sono fallite.

Analizzando, tramite i bilanci pubblici, i risultati ottenuti dalle banche nazionali si evince che la motivazione addotta da Renzi sia proprio la classica foglia di fico, o il frutto di mala informazione.
Infatti, le banche tradizionali hanno sofferenze medie poco sotto il 10%, mentre le Popolari solo al 2,5%. La redditività è scarsa nelle prime e il triplo nelle seconde. Le prime praticano poco credito ad aziende e famiglie, le seconde le sostengono con il quintuplo dell’affidamento praticato dalle prime.
Le Popolari hanno mantenuto l’occupazione; le altre hanno ristrutturato e ridotto drasticamente il personale, creando pertanto disoccupazione.
Ciò, ovviamente, non considerando le grandezze reciproche. Perché, allora, le differenze in favore delle Popolari avrebbero coefficienti stratosferici rispetto ai grandi gruppi bancari nazionali.
Sicuramente a Renzi questi risultati debbono parere assai scarsi se vuole renderle come quelle che sul mercato fanno peggio.
Qualcuno dovrebbe chiarirgli che è il Mercato (risultati) che rende una banca migliore di un’altra in competitività, finanziamento e sicurezza finanziaria. Stando agli ultimi stress test della Bce, infatti, le Popolari hanno in percentuale dovuto rifinanziarsi assai meno delle S.p.A., perché la loro capitalizzazione e riserva erano, in ossequio ai dettami di Basilea, in percentuale assai vicine ai parametri richiesti.
Tutto ciò senza considerare la vicenda di Mps (Siena), che nonostante i forti finanziamenti pubblici avuti non è ancora riuscita a uniformarsi alle direttive di sicurezza della Bce.
In sostanza il sillogismo “grande banca, grande credito” nel sistema produttivo italiano non ha mai funzionato ed è una diceria metropolitana da sfatare.
Nell’era della globalizzazione va coniugato il principio – specie in Italia, dove il tessuto economico e industriale è basato sulle Pmi (piccole e medie imprese) – che il localismo bancario corrisponda a propri sistemi di economia locale (perché ciò è il necessario intreccio di sviluppo del territorio), idonei a reggere la sfida dell’economia globale.

Padoan, dal canto suo, afferma che vi è stata collaborazione con Bankitalia e che gli istituti interessati diventeranno più forti. Tanto forti, aggiungo, da essere facili future prede immediate del capitalismo d’assalto.
Come ha detto Renzi al Parlamento Ue alla chiusura del semestre italiano, molti vorrebbero avere il risparmio italiano. E un modo per averlo è impossessarsi delle Popolari.

Se le Popolari finora sono sfuggite a Opa, concordate o ostili, è dovuto al proprio statuto, che ha una peculiarità importante: ogni azionista ha a disposizione un voto, indipendentemente dalle azioni possedute.
Perciò: una testa un voto. Mentre per le altre banche: un voto per ogni azione.
Il nocciolo del Decreto, infatti, impone alle Popolari con utili superiori agli 8 mld – tra le quotate: Ubi, Banco Popolare, Bpm (Milano), Bper (Emilia romagna), Creval (Credito Valtellinese), Popolare di Sondrio; fuori mercato: Popolare di Vicenza, Veneto Banca e Popolare di Bari - di cambiare entro 18 mesi il proprio Statuto, rendendo le delibere approvabili con un voto per ogni azione posseduta.
Questo è l’unico cavallo di Troia possibile per impossessarsi delle Popolari. Perché proprio queste banche sono il serbatoio privilegiato del risparmio privato con circa il 60%.  Per cui, calcolando che in base a stime ufficiali questo si attesti su ben 9.000 mld di €, il conto è … subito fatto.

Uno tra i più importanti gruppi finanziari inglesi, al solo sentore della notizia, ha stanziato una somma da capogiro per acquisire un’importante Popolare italiana.
Non per nulla il mercato (Borsa) ha festeggiato sotto la pressione di ingenti acquisti di azioni, che attualmente sono sottoquotate rispetto al valore nominale per la crisi speculativa e depressiva dei mercati finanziari. Il valore azionario delle Popolari in pochi giorni è aumentato in media tra il 20% e il 30%.
Le Popolari, inoltre, detengono in portafoglio una buona quantità dei propri titoli, con l’intento di calmierare in questo modo le oscillazioni drastiche di mercato. Diventare azionista di riferimento di una Popolare significherà impossessarsi anche del potere di voto che questo tesoretto interno può portare, perciò con la possibilità di saltare a piè pari, nella governance, eventuali cartelli ostili.

Le Popolari nascono nella seconda metà del 1800, sul modello della Volksbank (letteralmente: banca del popolo) tedesca, su idee introdotte in Italia grazie agli studi di Luigi Lazzati.
Sono enti a carattere cooperativo solidale, dove l’unione del poco (risparmio) di tutti diventa utile, basilare e necessario allo sviluppo del territorio.
Nel dopoguerra sono le artefici del boom economico con i loro finanziamenti, tanto da poter essere considerate a ragione i pilastri della rinascita nazionale dalle macerie della guerra. Non a caso il Nord, dove le Popolari sono maggiormente presenti, è l’avanguardia e il traino dell’economia nazionale.
Anche con l’avvento della parificazione con le banche d’affari, le Popolari si sono contraddistinte per il presidio e il sostegno del territorio, continuando a fare credito alle Pmi e alle famiglie, nonostante la crisi. Oltre che, con le proprie Fondazioni, a sostenere e valorizzare il territorio con progetti e attività culturali. Cito, unicamente ad esempio, la biblioteca Luigi Credaro della Popolare di Sondrio.

Draghi ha lanciato il suo nuovo metodo di Quantitative easing sui Titoli sovrani, a 60 mld al mese per 18 mesi. A conti fatti ben 1.080 mld di €, perciò di monetarismo che prima o poi produrranno svalutazione strisciante, atta a sostituire l’attuale deflazione.
Le due manovre – Governo, Bce – sono, in effetti, tra loro slegate, ma in sostanza coniugate. Perché non a caso la pancia delle banche S.p.A. italiane è zeppa di Titoli sovrani, creando un connubio pernicioso che avvita ulteriormente, senza fine, la connessione tra Stato e banche, riassumibile in: io finanzio il tuo debito e tu garantisci il mio.
Il problema è che in questo modo il Debito sovrano continuerà a crescere e che il risparmio sarà usato per finanziare il debito e non lo sviluppo, perciò la crescita teorica del Pil e non quella reale.
Sicuramente, non a caso, in Germania si è levata la voce dell’influente consulente economico del governo Merkel – mentre la Premier fa buon viso e cattivo gioco – Hans-Werner Sinn, che ha definito illegale la manovra di Draghi.

A questo punto bisognerebbe chiedersi quale impatto abbiano avuto sull’economia e sulla crisi sia i vari decreti/riforme Renzi, sia i vari finanziamenti Bce alle banche, per le imprese, a tasso quasi nullo.
Considerati i risultati e le continue affermazioni che a breve inizierà la ripresa – da anni continuano a dirlo, ma mai arriva – viene il sospetto che nel settore banche vi sia già chi ha deciso chi sia il vincitore nella partita di mercato tra S.p.A. e Popolari.
Come? Semplice: togliendo dal campo di gioco il giocatore (squadra) migliore in prestazioni, efficienza e redditività, specie se la squadra avversa è già in passivo nel risultato.
Ad maiora!
 

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