ovvero:
La degenerazione sociale della laicità e
della religione.
Le
scritte Je suis Charlie si sono sprecate in
questi giorni, succedutisi ai tragici
fatti di Parigi.
Tuttavia,
al di là dello sdegno e della solidarietà – di norma di convenienza politica
(capi di Stato) e umorale (massa
popolare) – val la pena chiedersi perché non solo ciò accada, ma, soprattutto,
perché la “società” occidentale produca
questi frutti.
I “terroristi”
non venivano, infatti, da stati esteri a vocazione islamica, ma erano per lo
più “figli” francesi, da più
generazioni, di quella laicità francese nazionale
che trae le sue prime origini dalla stessa Rivoluzione francese: liberté, egalité,
fraternité.
Sarebbe
interessante chiedersi perché mai la Francia, dopo la grandeur di
de Gaulle, abbia inteso riprendere una nuova via espansionistica sia in
Africa centrale (Mitterand), generando lo “sconosciuto” alla Corte dell’Aja massacro dei
Tutsi, sia sulla costa nordafricana (Sarkosy), attaccando, ancor prima di un manovrato e politico mandato Onu
e Nato, la Libia di Gheddafi.
Come
sarebbe interessante chiedersi perché mai oggi si setacci in Francia a tappeto
la periferia parigina, dopo aver allevato, ospitato e protetto per decenni
molti esponenti del terrorismo internazionale. Valga per tutti citare Battisti, fatto poi
espatriare altrove quando non era più possibile trattenerlo legalmente senza
doverlo consegnare alle autorità italiane.
La
Francia è un caleidoscopio illogico
della laicità.
Tant’è
che alla fine non trova di meglio che l’arrestare un comico, accusandolo di fomentare la
xenofobia. Che poi, a ben guardare, è
ciò che da anni Charlie Hebdo fa con la sua satira caustica e irreverente, per non dire spesso
oltraggiosa verso le idee religiose e politiche altrui. Basti citare
l’iconoclasta e sodomitica vignetta sulla Trinità di tempo fa.
Ma, se
per catalogare e liquidare Charlie Hebdo vale già di per sé la sua ideologia
politica - che a mio parere lo rende un giornale decadente, degno solo della
concezione sociale che persegue –, ben più ampio e articolato dev’essere
l’analisi sulla laicità francese, incapace di comprendere e risolvere le
problematiche interne esplose poco tempo fa con la rivolta delle banlieu, da considerarsi un
solo gradino più alto delle bidonville terzomondiste. E ciò sia con governi di
dx che di sx. Banlieue che sono a predominanza islamica.
In
sostanza la Laicità consiste in uno stato aconfessionale, dove la religione e i
valori vengono demandati come optional al singolo cittadino. Lo stato si assume
il ruolo di consentire la libertà di opinione, di stampa, di formazione
(crescita/istruzione) sociale (scolastica) del cittadino, di direttiva
strutturale dell’organizzazione e dell’amministrazione della nazione. Poi,
quasi l’anarchia assoluta di valori, proprio perché ciò che è sacro per
qualcuno può essere abbietto e decadente per altri. La libertà individuale
sopra tutto. Pure, per sommo eccesso, quella di fare terrorismo e di uccidere.
In
teoria razze e religioni dovrebbero vivere in perfetta armonia sotto l’egida
della garanzia istituzionale e della tolleranza sociale, anche se ciò è
utopistico e non avviene.
Forse
non è un puro caso se Parigi veniva considerato già tempo fa l’icona della
libertà sessuale con i suoi locali a luci rosse, se la letteratura vi
ambientava storie di trasgressione sessuale, se pure un puttaniere può
assurgere alle massime cariche dello stato, se agli avversari politici veniva
tranquillamente recisa la testa dopo un processo sommario di sola appartenenza
ad una determinata classe sociale o politica, se la libertà nazionale portava
poi a guerre d’espansione imperiale e coloniale, se con la scusa della
democrazia da esportare si va a guerreggiare, bombardare, occupare ed ammazzare
anche fuori dei propri confini.
Tutto
ciò è il fallimento della laicità!
La religione, dal canto suo, va distinta sommariamente in 2 categorie, che non
sfuggono però a medesime problematiche sociali di tolleranza e coesistenza
pacifica: monoteista e politeista.
La
monoteista più che credere in una sola divinità (Dio) dà all’Essente la
peculiarità di personalità: mentre la politeista va considerata come una semplice ideazione
umana (monoteismo esclusivo) o una diversa
concezione/forma di Dio (monoteismo inclusivo).
Valga
per esemplificazione la concezione cristiana. Infatti, mentre nella politeista
vi è l’uomo che si fa dio, con il cristianesimo avanza la concezione del Dio
che si fa Uomo, anche se poi questo divenire/diveniente ha nella sua origine
l’illogicità escatologica. Praticamente sono entrambe lo stesso
procedimento atto a esaltare la
grandezza e la supremazia dell’uomo su tutto il resto del creato: l’uomo è il
centro del mondo, perciò pure di Dio che si fa tale.
Ora,
lasciando perdere le antiche o minori, ormai solo appartenenti alla storia e
alla letteratura monoteista (atonismo, zoroastrismo, sikhismo, bahaismo), va sottolineato che le tre principali religioni monoteiste (ebraismo, cristianesimo, islamismo) hanno
caratteristiche belligene per 2 motivi:
a)
il primo è che la loro apparizione ha portato con sé guerre di
occupazione e di sopraffazione;
b)
il secondo è che si ritengono le uniche depositarie della
peculiarità del vero Dio, perciò portatrici della Verità.
Ognuna
di queste accampa il diritto di unicità primaria, perciò d’essere l’unica depositaria
della Verità: la supremazia sulle altre. Come lo stesso cattolicesimo la avanza
verso il protestantesimo e l’ortodossismo (letteralmente: corretta opinione).
Tutte reclamano l’unicità della propria origine, facendola discendere dal patriarca Abramo.
Tutte reclamano l’unicità della propria origine, facendola discendere dal patriarca Abramo.
L’essere
belligene, allora, dove sta? Proprio nel fatto di conclamare la propria
supremazia nell’unicità. Ciò include il proselitismo e l’espansionismo
territoriale, che poi comprende pure l’immanenza della struttura sociale e
quindi anche politica.
Le
religioni sono astrazioni. E le astrazioni non dovrebbero, in quanto tali,
essere belligene. Ciò che le rende tali e l’interpretazione singola che i vari
individui (fedeli) danno alla stessa religione, asserviti al totem personale.
In base
a ciò non credo che ora sia in atto una guerra di religione, ma solo
esasperazioni di gruppi o singoli che esaltano il proprio credere in modo
inclusivo. Perché una delle prerogative delle religioni è proprio quella di
essere interpretata da ognuno in modo individuale, generando, di conseguenza,
non l’unicità di Dio, ma la molteplicità di un
singolo Dio.
Non per
nulla, nell’Islam, si considera(va) che il paradiso sta sulla punta delle nostre spade.
Molto
interessante è stato il discorso che il presidente egiziano Abd al-Fattah
al-Sisi ha fatto giorni fa davanti a dotti e iman
islamici al Cairo. Quando, sostanzialmente, ha affermato che nella religione vi
deve essere qualcosa di aberrante e da modificare se 1,5 mld di musulmani per
vivere devono concepire di uccidere i
rimanenti 7 mld di abitanti del globo.
Perché
proprio in questo pensiero sta il problema sociale e politico di coesistenza e
tolleranza dei nostri tempi, che, in ultima analisi consiste nella degenerazione sociale della laicità e della religione.
Perché,
se non si capisce ciò, è ovvio che l’esaltazione e la difesa della libertà
assoluta di satira sia assimilabile, ma non giustificabile, allo stesso
terrorismo omicida; e che, prima o poi, possa portare anche ad una vera e propria guerra di religione. Perché
non è la singola religione che può creare una guerra, ma il fanatismo religioso
che pretende d’essere la verità assoluta nel nome di Dio.
Quanti, tra
i musulmani, sono in grado di comprare e leggere Charlie Hebdo, perciò di
indignarsi per le vignette? Ne consegue che le feroci manifestazioni di massa
nei paesi islamici siano manovrate, manipolate e aizzate da alcuni fanatici
iman fondamentalisti. Non per nulla avvengono al venerdì, giorno islamico di
preghiera.
Spesso,
pure la satira sarcastica, è una similare e contrapposta forma di fanatismo
laicista.
Ecco perché, nel mio piccolo, affermo: Je ne suis pas Charlie!
Ecco perché, nel mio piccolo, affermo: Je ne suis pas Charlie!
Non
voglio riconoscermi in questa decadente laicità fine a sé stessa, priva dei
valori di tolleranza, rispetto e coesistenza pacifica.
Est
modus in rebus.
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