domenica 18 gennaio 2015

Je ne suis pas Charlie!



ovvero:
 
La degenerazione sociale della laicità e della religione.

Le scritte Je suis Charlie si sono sprecate in questi giorni,  succedutisi ai tragici fatti di Parigi.
Tuttavia, al di là dello sdegno e della solidarietà – di norma di convenienza politica (capi di Stato) e umorale  (massa popolare) – val la pena chiedersi perché non solo ciò accada, ma, soprattutto, perché la “società” occidentale produca questi frutti.
I “terroristi” non venivano, infatti, da stati esteri a vocazione islamica, ma erano per lo più “figli” francesi, da più generazioni, di quella laicità francese nazionale che trae le sue prime origini dalla stessa Rivoluzione francese: liberté, egalité, fraternité.
 
Sarebbe interessante chiedersi perché mai la Francia, dopo la grandeur di de  Gaulle, abbia inteso riprendere una nuova via espansionistica sia in Africa centrale (Mitterand), generando lo “sconosciuto” alla Corte dell’Aja massacro dei Tutsi, sia sulla costa nordafricana (Sarkosy), attaccando, ancor prima di un manovrato e politico mandato Onu e Nato, la Libia di Gheddafi.
Come sarebbe interessante chiedersi perché mai oggi si setacci in Francia a tappeto la periferia parigina, dopo aver allevato, ospitato e protetto per decenni molti esponenti del terrorismo internazionale. Valga per tutti citare Battisti, fatto poi espatriare altrove quando non era più possibile trattenerlo legalmente senza doverlo consegnare alle autorità italiane.
 
La Francia è un  caleidoscopio illogico della laicità.
Tant’è che alla fine non trova di meglio che l’arrestare  un comico, accusandolo di fomentare la xenofobia.  Che poi, a ben guardare, è ciò che da anni Charlie Hebdo fa con la sua satira caustica e irreverente, per non dire spesso oltraggiosa verso le idee religiose e politiche altrui. Basti citare l’iconoclasta e sodomitica vignetta sulla Trinità di tempo fa.
Ma, se per catalogare e liquidare Charlie Hebdo vale già di per sé la sua ideologia politica - che a mio parere lo rende un giornale decadente, degno solo della concezione sociale che persegue –, ben più ampio e articolato dev’essere l’analisi sulla laicità francese, incapace di comprendere e risolvere le problematiche interne esplose poco tempo fa con la rivolta delle banlieu, da considerarsi un solo gradino più alto delle bidonville terzomondiste. E ciò sia con governi di dx che di sx. Banlieue che sono a predominanza islamica.
 
In sostanza la Laicità consiste in uno stato aconfessionale, dove la religione e i valori vengono demandati come optional al singolo cittadino. Lo stato si assume il ruolo di consentire la libertà di opinione, di stampa, di formazione (crescita/istruzione) sociale (scolastica) del cittadino, di direttiva strutturale dell’organizzazione e dell’amministrazione della nazione. Poi, quasi l’anarchia assoluta di valori, proprio perché ciò che è sacro per qualcuno può essere abbietto e decadente per altri. La libertà individuale sopra tutto. Pure, per sommo eccesso, quella di fare terrorismo e di uccidere.
In teoria razze e religioni dovrebbero vivere in perfetta armonia sotto l’egida della garanzia istituzionale e della tolleranza sociale, anche se ciò è utopistico e non avviene.
 
Forse non è un puro caso se Parigi veniva considerato già tempo fa l’icona della libertà sessuale con i suoi locali a luci rosse, se la letteratura vi ambientava storie di trasgressione sessuale, se pure un puttaniere può assurgere alle massime cariche dello stato, se agli avversari politici veniva tranquillamente recisa la testa dopo un processo sommario di sola appartenenza ad una determinata classe sociale o politica, se la libertà nazionale portava poi a guerre d’espansione imperiale e coloniale, se con la scusa della democrazia da esportare si va a guerreggiare, bombardare, occupare ed ammazzare anche fuori dei propri confini.
Tutto ciò è il fallimento della laicità!
 
La religione, dal canto suo, va distinta sommariamente in 2 categorie, che non sfuggono però a medesime problematiche sociali di tolleranza e coesistenza pacifica: monoteista e politeista.
La monoteista più che credere in una sola divinità (Dio) dà all’Essente la peculiarità di personalità: mentre la politeista va considerata come una semplice ideazione umana (monoteismo esclusivo) o una diversa concezione/forma di Dio (monoteismo inclusivo).
Valga per esemplificazione la concezione cristiana. Infatti, mentre nella politeista vi è l’uomo che si fa dio, con il cristianesimo avanza la concezione del Dio che si fa Uomo, anche se poi questo divenire/diveniente ha nella sua origine l’illogicità escatologica. Praticamente sono entrambe lo stesso procedimento  atto a esaltare la grandezza e la supremazia dell’uomo su tutto il resto del creato: l’uomo è il centro del mondo, perciò pure di Dio che si fa tale.
Ora, lasciando perdere le antiche o minori, ormai solo appartenenti alla storia e alla letteratura monoteista (atonismo, zoroastrismo, sikhismo, bahaismo), va sottolineato che le tre principali religioni monoteiste (ebraismo, cristianesimo, islamismo) hanno caratteristiche belligene per 2 motivi:
 
      a)      il primo è che la loro apparizione ha portato con sé guerre di occupazione e di sopraffazione;
b)      il secondo è che si ritengono le uniche depositarie della peculiarità del vero Dio, perciò portatrici della  Verità.
 

Ognuna di queste accampa il diritto di unicità primaria, perciò d’essere l’unica depositaria della Verità: la supremazia sulle altre. Come lo stesso cattolicesimo la avanza verso il protestantesimo e l’ortodossismo (letteralmente: corretta opinione).
Tutte reclamano l’unicità della propria origine, facendola discendere dal patriarca Abramo.
L’essere belligene, allora, dove sta? Proprio nel fatto di conclamare la propria supremazia nell’unicità. Ciò include il proselitismo e l’espansionismo territoriale, che poi comprende pure l’immanenza della struttura sociale e quindi anche politica.
 
Le religioni sono astrazioni. E le astrazioni non dovrebbero, in quanto tali, essere belligene. Ciò che le rende tali e l’interpretazione singola che i vari individui (fedeli) danno alla stessa religione, asserviti al totem personale.
In base a ciò non credo che ora sia in atto una guerra di religione, ma solo esasperazioni di gruppi o singoli che esaltano il proprio credere in modo inclusivo. Perché una delle prerogative delle religioni è proprio quella di essere interpretata da ognuno in modo individuale, generando, di conseguenza, non l’unicità di Dio, ma la molteplicità di un  singolo Dio.
Non per nulla, nell’Islam, si considera(va) che il paradiso sta sulla punta delle nostre spade.
 
Molto interessante è stato il discorso che il presidente egiziano Abd al-Fattah al-Sisi  ha fatto giorni fa davanti a dotti e iman islamici al Cairo. Quando, sostanzialmente, ha affermato che nella religione vi deve essere qualcosa di aberrante e da modificare se 1,5 mld di musulmani per vivere devono  concepire di uccidere i rimanenti 7 mld di abitanti del globo.
Perché proprio in questo pensiero sta il problema sociale e politico di coesistenza e tolleranza dei nostri tempi, che, in ultima analisi consiste nella degenerazione sociale della laicità e della religione.
Perché, se non si capisce ciò, è ovvio che l’esaltazione e la difesa della libertà assoluta di satira sia assimilabile, ma non giustificabile, allo stesso terrorismo omicida; e che, prima o poi, possa portare anche ad una  vera e propria guerra di religione. Perché non è la singola religione che può creare una guerra, ma il fanatismo religioso che pretende d’essere la verità assoluta nel nome di Dio.
Quanti, tra i musulmani, sono in grado di comprare e leggere Charlie Hebdo, perciò di indignarsi per le vignette? Ne consegue che le feroci manifestazioni di massa nei paesi islamici siano manovrate, manipolate e aizzate da alcuni fanatici iman fondamentalisti. Non per nulla avvengono al venerdì, giorno islamico di preghiera.
Spesso, pure la satira sarcastica, è una similare e contrapposta forma di fanatismo laicista.

Ecco perché, nel mio piccolo, affermo: Je ne suis pas Charlie!
Non voglio riconoscermi in questa decadente laicità fine a sé stessa, priva dei valori di tolleranza, rispetto e coesistenza pacifica.
Est modus in rebus.
 

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