mercoledì 3 marzo 2010

La compagnia del fil dè fèr.

Sesac, oggi, venne a farmi visita e mi consegnò questo racconto sulla sua ultima passeggiata in altura, certo che lo avrei pubblicato.

Tratta della vita degli animali della foresta e dei loro discorsi sugli avvenimenti attuali.

Sam Cardell

Tratto da “i Dialoghi” di Sesac

La compagnia del fil dè fèr.

Ovvero:

La lista del pà, salàm e … cudeghì.

Nella foresta vi era un po’ di movimento e alcuni animali rappresentativi erano in subbuglio.

Si avvicinava l’ora della nuova Dieta e perciò ci si divideva idealmente in due gruppi: chi non era interessato e chi voleva rappresentare, brigando assai.

I primi, oberati dalle mansioni giornaliere non pensavano affatto a ciò; ma i secondi, per cui il farne parte era anche un significativo modo di sbarcare il lunario, erano assai in tensione.

Io, Sesac, e quelli come me guardavamo distrattamente a tutto ciò, anche perché la questione non ci coinvolgeva affatto: eravamo lungi da sì pedestri occupazioni.

Per la verità non avrebbero dovuto essere pedestri, ma i vari esponenti le avevano fatte diventare tali.

Era una splendida giornata di sole e molti di noi decisero di lasciare la foresta per effettuare una scampagnata in altura.

In alto vi era ancora molta neve, ma sapevamo che la cascina era accogliente.

Perciò in diversi ci ritrovammo alla fine lassù, quasi richiamati dall’istinto della foresta.

Vi era Gini, solerte e fedele custode dei pascoli, che là proprio abitava; poi vi era Piro, sapiente, delicato e profondo cultore del sapere, che ogni fine settimana di norma vi si recava.

Vi era Calo, rude artigiano rubicondo, con tutta la dinastia familiare, che ruspante cacciatore di … penna era; vi era anche Buro, altro artigiano sordo come una campana e perciò quasi sempre estraneo al discorso, quasi ascetico nell’osservare la natura, come se stesse cogliendo dai colori di questa l’artistico incipit dell’iride per il lavoro del giorno dopo.

Poi vi era quasi la sanità al completo, con tanto di personale specializzato; con il Dottore in testa, ora un po’ … tutto con il capo tra le nuvole, essendosi imbattuto in una pollastra indios che gli aveva fatto scambiare una possibile figlia per abile e perfetta … moglie.

Non mancava neppure il corpo docente e la foresta tutta era ben rappresentata.

In alto trovai la compagnia del fil dè fèr, intenta a battere i boschi per snidare i cinghiali che rovinavano tutti i pascoli in alto e in basso.

Erano una trentina e muniti di archibugi, avvolti nelle loro tute mimetiche forse per farsi notare maggiormente tra il fogliame rossastro in putrefazione nel bosco.

Un incidente poteva sempre capitare ed era necessario premunirsi, anche perché alcuni di loro potevano facilmente, senza tuta, essere scambiati per selvaggi animali.

Appartenevano a mondi diversi e li univa solo il sanguinario desiderio di abbattere il cinghiale; null’altro li univa, né ideologicamente, né economicamente, né culturalmente.

E, appunto per questo, si erano dati questo nome.

Giunsi dopo mezzodì, dopo un’appagante camminata rilassante tra pascoli innevati e boschi spogli, solo qua e là punteggiati da macchie verde intenso per le rade aghifoglie.

Vi trovai anche il Leone nella numerosa e festante compagnia, accompagnato da Era, abile e provetto direttore, un tempo, di grandiosi lavori industriali e civili. Non aveva con sé la fedele Mada, perciò si concedeva qualche sfizio, sapendo che non gli avrebbe potuto dire “Taci, Era!”, alzando a mo’ di paletta di stop la candida e fragile manina.

Il fuoco scoppiettava nel camino e un tiepido benevolo calore accoglieva il viandante, quasi avvolgendolo e purgandolo dalla ventosa aura che sui crinali correva veloce a giocar con le leggiadre nubi.

Il sapore del faggio sul fuoco profumava la stanza, quasi disseccando la laringe e, perciò, invogliando gli astanti a sorbire il rosso nettare.

Gini, come al solito, era il più lesto di tutti e accompagnava ogni sorso con gorgheggi degni di un tenore da sotto … scala, alternandoli ad un vociare assordante e senza costrutto, spesso incitato da Era a produrre il suo dolce e appassionato lamento di un ipotetico canto.

Era, abile a conoscere la produttività, lo chiamava “giannizzero”, per il suo custodire cascina e poderi con singolare attaccamento, da decenni consolidato.

La compagnia si era accomodata intorno alla lunga tavola, illuminata dal nerboruto sole invernale che filtrava dalle civettuole inferriate elicoidali poste a sud.

Sgranocchiavano delle caldarroste preparate da un arrossato Calo; ma altri gustavano focacce, torrone e mandorle, ricoperte da fondente, che Leone aveva preparato.

Il tutto ben innaffiato da alcune varietà di rosso nettare proveniente dai vari Land della foresta.

La discussione, identificabile ad un grazioso gioco salottiero, ferveva sulla nuova Dieta, favorita da sapienti sorsi atti a sciogliere la favella.

Nel bel mezzo del discorso Piro si alzò, fece alcuni passi e dalla sua cartella trasse il Bugiardino, locale foglio dedito per lo più a “baruffe ciosote”.

Lo pose sulla tavola aperto proprio davanti a Leone, mostrandogli un articolo su alcuni candidati alla Dieta.

Piro aveva sulle labbra un sorriso mefistofelico, convinto che qualcosa sarebbe successo per la gioia e l’interesse degli astanti.

Gli disse: “Eccoti il tuo amico. A presidenza ottenuta ti richiamerà dall’ozio e ti insedierà in alta carica insieme a consorte, in modo che possiate essere utili alla foresta!”.

Leone guardò distrattamente e rise, non raccogliendo affatto; poi, disse: “I miei veri amici son tutti qua e non ne manca alcuno!”.

L’articolo occupava un’intera pagina, arricchito dalle foto di diversi galoppini.

Troneggiava su tutte quella di Orso, ispido e corpulento bestione, selvaggio in apparenza e in cultura.

Non aveva un aspetto da intellettuale, ma di prodigo calloso lavorator di … senno, anche se il lavorar reale non gli si addiceva proprio. Nella vita aveva preferito, infatti, rappresentare gli altrui interessi facendo anche i … propri.

Leone scorse velocemente le immagini, riconoscendo diversi animali.

Additò col dito agli amici la foto del Fante peregrino. Era costui un corposo animale dedito da alcuni decenni alla transumanza, la cui destinazione variava continuamente perché … l’erba del vicino è sempre la più buona. Era sempre in combutta con i corvi, forse perché la faccia da tunicato mancato non gli scarseggiava.

Poi pose il dito su quella del Porco, grezzo e corposo animale da cortile con la testa sempre nel truogolo come la cinta senese. Era talmente brutto e gonfio che se qualcosa lo avesse magari punto si sarebbe creata, come sottolineò Gini, una tale esplosione da radere al suolo tutta la contea. Pure lui era un transfuga continuo, dedito ad occupar poltrone pur di non lavorare; il suo motto era “Pà e salàm”. Difatti bastava che ci fosse da aprir bocca e ne uscivano demenzialità, lasciando posto a cibo e bevande di qualsiasi tipo. Era un perfetto compagnone da bettola, ricco di … segatura e mancante di … costrutto.

Spostò indi il dito su quella del serioso Gufo, barbagianni attempato che s’era annidato nella stanza di comando d’una tribale comunità valliva.

Poi passò alla Giraffa, giovane femminuccia intenta ad alzar troppo il collo per farsi notare, onde non rimaner politicamente … zitella.

In parte a lei vi era quella del Gattino, vispo animaletto ancora imberbe che intendeva mostrare le unghie da adulta tigre.

Ovviamente ve ne erano altri e Leone dedicò ad ognuno una pennellata di colore, anche se ciò sarebbe stato maggiormente consono, per professione, a Buro.

Poi, mentre ognuno aggiungeva la sua, si sorbì lentamente un goccio di Grecale, odorandolo prima assai mentre lo agitava a vortice nel calice.

Calo prese la parola e disse che era una lista di affamati.

Era aggiunse, col suo linguaggio colorito, che a lui parevano tanti renitenti alla leva.

Mentre il Dottore, toltosi momentaneamente dall’estasi sul fiume Paranà, sentenziò che, con tutto il rispetto, gli parevano tanti imbucati.

Piro, con molto humor, invitò gli astanti a portare rispetto a cotanti splendidi candidati che avrebbero occupato, senza dubbio alcuno, tutti gli scranni della Dieta.

Venne l’ora del tè e la compagnia lasciò i calici per le tazze calde e i biscotti.

Il sole penetrava ora di sbieco dalle finestre a sud e non illuminava più la tavola, quasi ad annunciar il giorno che trapassava.

Piro prese il Bugiardino e si dedicò ad alta voce alla lettura, illustrando poi a braccio il programma politico … inesistente.

Gini era ormai al top dell’ilarità e, pur non capendo nulla, ci metteva spesso del suo, vociando assai nell’eterolalia compulsiva, mentre Billy lo guardava interessato, ad orecchie ritte e zampa … puntata.

Poi Piro passò ai problemi economici enunciati, commentandoli e confrontandoli con il programma espresso.

Ed infine chiese maliziosamente a Leone: “Non ti pare che siano meritevoli della vittoria?”.

Leone finì lentamente di sorbirsi il tè al latte e poi cominciò:

Certamente! Se la vittoria è cieca.

Voi ora ditemi se una tale demenzialità val la pena di essere non solo commentata, ma pure presa in considerazione.

Certo è che oltre che nei circoli ‘zuccabanchi’ si farà propaganda nelle bettole, dove il Porco è forte a svuotar fiaschi e a divorar salami; ma in questo modo non si andrà lontani.

Vi è, indubbiamente, la fanteria brancaleone, ma non vi è cavalleria, neppure leggera. E quando bisogna fare molta strada i fanti non sono il massimo, specie se appesantiti nel loro incedere dai carriaggi … corpulenti. Se, poi, i fanti son pure raccogliticci mercenari di ventura, allora il risultato è scontato.

Non vi è neppure lo stratega e perciò si vivrà alla giornata, finché la sconfitta, inevitabile, arriverà. Parlare di disfatta sarebbe troppo, anche perché qua si è come nello sport: l’importante è partecipare e non … vincere.

Orso non è un generale, non è uno stratega, non è neppure un … ufficiale; è, solo, un sottufficiale in pensione che viene mandato alla ventura, quasi bruciato sull’altare della demagogia per toglierselo dai … piedi.

Non è, neppure, un abile sergente in grado di addestrare e selezionare la truppa: è quello che … è!

Vedete forze fresche oltre alla Giraffa e al Gattino? E, queste, son forse forze, oppure animali da cortile intenti a seguir la carovana?

Forse qualcuno ha scambiato la guerra con il circo, il consenso con l’aspirazione, l’ideale con la ragione, l’opportunità con la strategia politica.

Questa è la lista proprio dei cacciatori di cinghiali, quella del fil dè fèr, tenuta insieme solo dal filo di ferro, quello di vergella cruda e tutta arrugginita, che da un momento all’altro si spezzerà.

Peccato per loro che non tutti siano … pane e salame.”.

Gini, forse assopito dai vapori, era stato stranamente silenzioso.

Calo, vedendo il bicchiere vuoto prese del Bonarda e gliene versò fino al colmo.

Gini ne bevve un po’, si scrollò il torpore di dosso, si alzò tra tutti e fece un brindisi accompagnandolo con queste parole a mo’ di dedica: “Alla salute della lista del pà e salàm, perché noi non siamo cudeghì de paghèra!

Tacque, bevve e si sedette soddisfatto tra una risata generale.

Per il profano le parole, tradotte liberamente dal patois, corrispondono a questo significato:

alla lista del pane e salame, perché noi non siamo tanto fessi d’essere scambiati per le pigne degli abeti.

Sesac

Nessun commento: