lunedì 15 marzo 2010

I problemi strutturali irrisolti.

La Grecia ha posto un grave problema di stabilità e unità monetaria in seno all’Ue, ma questo problema coinvolge anche altri paesi. Sono problemi che debbono essere risolti il più velocemente possibile.

Prima della Grecia gli stessi problemi erano stati evidenziati anche da molte società finanziarie e industriali, al di qua e al di là dell’oceano. Per cui i vari governi le hanno prontamente soccorse.

Ciò significa che il problema non è di un singolo stato o di una sola società, bensì strutturale.

Questo problema si chiama con un solo nome: Debito!

L’eziologia può essere utile a comprendere come il problema si sia prima formato e poi incancrenito; lo è un po’ meno nella risoluzione dello stesso per un semplice motivo: eliminare (ridurre drasticamente) il debito significa austerità, tasse, probabile stagnazione e insoddisfazione sociale. Insomma, far fare a tutta la società un notevole passo indietro nel benessere individuale e nel reddito percepito.

La Sx, italiana e non, ora non ha alcuna idea alternativa al capitalismo, specie a questo capitalismo. È in profonda crisi ideologica e preda della demagogia dialettica.

Perciò non trova nulla di meglio che cavalcare con slogan il malcontento della piazza, specie di quella che si è sempre basata sulle promesse politiche dell’assistenzialismo dovuto e del diritto impropriamente acquisito.

E per non affrontare il problema, non avendone né la capacità, né le idee, si “creano” artificiosamente altre problematiche minori, spacciandole per basilari e ammantandole quali difese della libertà.

Se ipotizziamo un Pil a 100 e una perdita avuta di circa il 6%, scendiamo a 94. Se, ipoteticamente, nei prossimi anni procedessimo con un incremento dell’1% (molto improbabile), per tornare a 100 impiegheremmo oltre 6 anni. Se poi si calcolasse la possibile inflazione dovuta al surriscaldamento delle materie prime, o di rifugio, ulteriori anni in più.

Le grandi recessioni hanno sempre portato con sé disoccupazione e inflazione. Ne consegue che il tenore di vita di tutti noi non potrà far altro che scendere.

Si è proceduto a sostenere i consumi per rilanciare l’economia con degli incentivi, specie per la pressione delle multinazionali manifatturiere. Il problema non è stato risolto: si è bruciato risparmio, si è creato indebitamento e si è spostato il problema solo più avanti.

Ora la CIG, nel settore, imperversa ed è impensabile procedere all’infinito con gli incentivi e con la stessa, anche perché servirebbero a poco. Difatti i vari governi stanno ricercando altre vie percorribili non avendo questi labili correttivi risolto il problema.

Molte società stanno immettendo, o hanno già immesso, sul mercato ingenti quantitativi di bonds, ampliando ancora il proprio debito; ma se questa immensa massa di risparmio non servirà alla ristrutturazione e al rafforzamento patrimoniale, dilaterà ulteriormente il problema tra non molto.

La stessa cosa han fatto i governi e le banche centrali, Bce e Fed in testa, nel tentativo di fermare la caduta.

La stessa Cina, pur con il suo Pil a due cifre, si sta scontrando con gli stessi problemi per due motivi.

Il primo è che molti capitali, che hanno favorito il suo rally industriale espansivo, provengono dal mondo occidentale, attratti a suo tempo dai costi produttivi bassi e dal ferreo controllo, sulle maestranze (prive dei basilari diritti umani), imposto da una società a radice massimalista, anche se ormai impostata verso un liberismo commerciale. Tali capitali non è certo che rimangano a lungo sul territorio, volatili come sono alla ricerca del profitto migliore al minor costo.

Il secondo è che la ricchezza prodotta e accantonata, come risparmio, è stata attratta dalla possibilità di redditi superiori, perciò ha emigrato verso paesi, States in testa, dove la speculazione poteva produrli e i tassi reddituali sul capitale impegnato erano migliori.

Tutto ciò rende chiaro che ciò che oggi è reale domani sia ipotetico. E non è detto che il risparmio investito altrove debba necessariamente rientrare.

La POBC[1], infatti, ha già alzato l’obbligo di riserva di 50 punti ed ora si appresta ad alzare anche i tassi per frenare l’investimento facile, impaurita anche dal surriscaldamento del costo delle materie prime e dalla crisi commerciale che ha drasticamente ridotto lo sbocco ai mercati occidentali.

Le varie aziende, sfruttando l’onda espansiva e il conseguente profitto di bilancio, si sono indebitate ed espanse oltre il dovuto e la crisi dei mercati occidentali ora riduce drasticamente gli utili e gli ordinativi, dilatando di conseguenza i costi.

Il problema Grecia si basa essenzialmente su due fattori di debito: il Debito pubblico e il Disavanzo commerciale.

È inevitabile che il secondo dilati anche il primo.

La Grecia, in media, ha mensilmente uno sbilancio commerciale pari a circa 3 mld di €; perciò oltre 30 mld abbondanti annui. Tutto ciò a fronte di un Pil che si assesta sui 250 mld di €.

Ciò significa un debito aggiuntivo del 14% circa annuo che, inevitabilmente, si ripercuote sul Debito pubblico.

Ecco perché per tamponare l’emergenza deve essere soccorsa prontamente con almeno 25 mld di € cash per non fare default.

Che ciò avvenga direttamente tramite la Bce o l’Ue, in modalità da definire, non ha molta importanza.

Questi nudi e preoccupanti dati hanno un significato sociale rilevante: si spende molto di più di quanto si è in grado di produrre, sia nel privato che nel pubblico.

Oppure, diversamente: si è investito male e si sono dilapidate risorse.

Il problema reale non è quello di finanziare il debito greco, ma quello di ridurlo drasticamente riducendone i consumi.

Il governo ci ha provato per ora blandamente e i moti di piazza sono subito comparsi nella loro virulenza, favoriti dall’opposizione che prontamente li cavalca come sempre avviene. Ci si può immaginare cosa potrebbe accadere se il problema si tentasse di risolverlo drasticamente.

Eppure prima o poi ci si dovrà arrivare se non si vorrà affogare: tanto in Grecia come altrove.

La Grecia, purtroppo, non è l’unica indiziata; e non a caso è uno dei paesi P.I.I.G.S.[2]

Portogallo e Spagna non stanno molto meglio e neppure l’Italia, con il suo imponente Debito pubblico che si avvia verso i 2.000 mld di € (quasi il doppio del Pil annuale), può cullarsi in sonni tranquilli.

Ridurre le importazioni non soggette alla trasformazione, perciò all’esportazione, significa ridurre il tenore di vita. E ridurre il tenore di vita significa tornare indietro nel tempo, magari pure di decenni.

Ciò, ovviamente, non è gradito alle masse e specialmente alle nuove generazioni che non sanno com’eravamo.

La società basata sull’edonismo consumistico ci ha portato a questo inevitabile traguardo negativo.

Tornare sui nostri passi, abbandonando la via errata dello spreco e dell’opulenza apparente, porta non solo con sé la necistà di ridurre il proprio tenore di vita raggiunto, ma pure il rinunciare in parte a quelle sicurezze sociali che da quasi tutti vengono concepite come principi irrinunciabili: sicurezza del posto di lavoro, assistenza sanitaria e sociale totale, pensioni, comodità della vita, libertà di movimento, svago, tempo libero ...

Siamo nel tempo del personalismo, perciò del personalismo relativistico che vede ogni singolo individuo come prioritario agli altri: l’egocentrismo individualistico.

Ne consegue che ognuno di noi vuole addossare agli altri la responsabilità e i costi dell’inevitabile ridimensionamento sociale.

Ci si riunisce in lobby comunitarie in politica, nelle piazze e pure … nella Chiesa: si è perso il concetto democratico di Popolo e Nazione. E, prima ancora, quello di Famiglia.

Si è persa, sulla scia del comodo edonismo, pure religioso, la cultura dell’essere cittadino e samaritano nello stesso tempo, base imprescindibile per essere Popolo e Chiesa simultaneamente.

Gli esperti di Europa e America stanno cercando di trovare una via comune per ridurre, se non annullare, tutti i titoli tossici che hanno creato la bolla speculativa e la recessione stessa.

Si parte da concetti culturali e economici diversi e l’accordo non è facile da trovare su ciò che bisognerà eliminare e ciò che si potrà ulteriormente incrementare e valorizzare. Forse ci vorrà del tempo, anche se, non avendone molto, ciò può essere deleterio.

Hedge funds, specie gli off shore, e buona parte dei Derivati sono incriminati, soprattutto i CDS; ma si cerca anche di regolamentare in modo diverso e vincolante l’MTA, con i CFD, i Futures, il Forex e altri strumenti rischiosi finanziari.

Ciò, ovviamente, non è molto gradito specie a tutte quelle società internazionali e finanziarie che di questi hanno fatto un vero cult, basandoli spesso su delle leve esorbitanti in grado di raggiungere anche il 5000:1 e talora, specie per gli off shore dove non ci sono regole precise, anche con rapporti di molto superiori.

La Leva è uno dei problemi principali di questo nostro secolo, usufruendone privati, società e stati.

La moneta virtuale ha sostituito quella materiale; e in questo modo il credito è diventato un semplice fatto contabile da registrare nelle attività e nelle passività. Si è perso il concetto del debito materiale stesso, proiettandolo non nel presente, ma nel futuro in base, spesso, a previsioni assai relativistiche.

E bene fa la Chiesa a richiamare il concetto etico del debito alla realtà, non fidandolo troppo su delle proiezioni e previsioni semplicistiche.

Alcune grandi aziende finanziarie quotate hanno una capitalizzazione borsistica nettamente inferiore al debito stesso; e questo, spesso, raggiunge un rapporto di centinaia di volte superiore.

Spulciando alcuni bilanci, mi sono imbattuto in una grande società italiana, leader nel campo assicurativo e finanziario, che ha raggiunto l’invidiabile rapporto di 250:1.

Se si considera poi che il capitale effettivo reale sia spesso di almeno un decimo della capitalizzazione azionaria, allora il conto è subito fatto.

La crisi in essere ridurrà inevitabilmente gli utili e perciò le stesse aziende dovranno ridimensionare i loro assets, o immettere capitale fresco per compensare lo sbilancio monetario, tenendo ben presente che le sofferenze sono destinate a crescere ulteriormente per la crisi recessiva.

Finora si è optato al congelamento delle stesse, ma ciò non risolve il problema strutturale di fondo: o recuperare o perdere.

Nel MTA gli enti di controllo e supervisione hanno proibito lo Short Selling e imposto la liquidazione immediata cash.

Tuttavia questa consuetudine, tra i grandi investitori, continua ad essere praticata e la regola raggirata con il marchingegno contabile del prestito titoli o con compiacenti fidi aggiuntivi Intraday e Overnight, che spesso funzionano reciprocamente.

Questi escamotage creano turbolenza ai mercati stessi, li destabilizzano con imponenti masse monetarie virtuali e sviliscono il vero investimento.

Sono destabilizzanti e nella loro precarietà sostanziale arrecano fluttuazioni spesso accentuate, in rialzo o in ribasso, al di là di ogni parametro fondato sui fondamentali.

Il bene mobiliare non ha più un valore reale stabilito, ma questo viene fissato unicamente dalla quantità della domanda o dell’offerta, di norma speculativa.

In questi ultimi decenni molte società hanno instaurato il vezzo di effettuare la compravendita di azioni proprie, procedimento che è un vero e proprio insider trading, specie se i titoli usati sono a massa elevata.

Alcune società detengono in portafoglio svariati milioni di azioni proprie (le minori; miglia di mln le maggiori) e con queste, operando nel MTA, fanno il bello e il cattivo tempo a spese del vero risparmiatore: gonfiano e sgonfiano il titolo a loro piacimento, lucrando sulla pelle degli stessi veri azionisti.

Una tale ingente massa di azioni serve anche al controllo societario, restringendo la cerchia dirigenziale ai soliti noti, guarda caso beneficiari, spesso, dei vituperati superbonus.

Nei giorni scorsi si sono resi noti gli emolumenti di due supermanager di una stessa azienda e, facendo i debiti conti, il loro corrispettivo era di gran lunga superiore a quello di tutte le maestranze dello stabilimento che vorrebbero chiudere.

Affrontare tutti questi problemi non è facile, anche se gli esperti da tempo hanno già indicato chiaramente i correttivi.

L’ostacolo maggiore sta nella connessione tra affari e politica, perciò in quei fronti lobbistici in grado di subordinare le scelte e, con il possesso dei media, condizionare il voto delle masse.

E ciò su entrambi i fronti: sia nella maggioranza, sia nell’opposizione.

All’inizio della grave crisi finanziaria attuale, parlai privatamente a lungo della problematica con un noto onorevole.

Costui, al mio invito a rendere pubblica la grave situazione che coinvolgeva la società tutta, non solo nel presente, ma pure nel futuro, così mi rispose testualmente: “Chi si prende questa grave responsabilità? Io no di certo; anche perché tutti i miei colleghi glissano elegantemente il problema.”.

E se il politico non vuol spiegare al popolo i gravi problemi che lo vedono protagonista e vittima, allora chi ha la voce per farlo?

Ammiro, perciò, Giulio Tremonti come Uomo, che ha lasciato i suoi affari (e guadagni) per dedicarsi a tempo pieno alla nazione.

E, cosa non sottovalutabile, è uno dei pochi che, oltre a resistere alla dietrologia dello scialacquio pubblico, continua a mettere tutti in guardia, seppure quasi inascoltato, sulla grave crisi che ci attanaglia, tanto in Italia quanto nei consessi internazionali.



[1] - Banca centrale cinese.

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