(Questa è la copia del breve commento lasciato sul blog di un amico. Considerato che il contenuto può essere di interesse generale l’ho riportato pure qua. Per brevità si rimanda al link seguente per la conoscenza della tematica che l’ha generato. Il popolo della rete e le sue etichettature)
Comunicazione e dialogo nel rispetto reciproco.
Parto del presupposto che per dialogare bisogna essere almeno in due e per costruire anche.
Difatti non si costruisce mai per sé stessi, ma per vivere insieme agli altri. Diversamente il mondo non esisterebbe neppure.
Il mondo è l’insieme di singolarità e la società l’insieme di persone.
Il contrasto che tu manifesti forse si basa su un vizio di fondo: queste persone che si fronteggiano su sponde opposte vogliono veramente dialogare? Oppure vogliono imporre il loro solo modo di vedere asserragliate nel loro integralismo o fondamentalismo ideologico?
Perché, se così è, allora ognuna vive nel suo mondo da bolla di sapone, da dove si può vedere da un solo punto particolare di osservazione, ma non dialogare. Si fa del semplice qualunquismo.
E non si va dove si vuole, ma dove il vento dell’esteriorità ti porta.
E se la bolla scoppia si cade malamente a terra.
Negli anni mi è capitato talora di essere oggetto di attacco, da chi non voleva dialogare. Però il fatto stesso che mi si attaccasse era implicito che senza dialogo si volesse fare la guerra.
E per fare la guerra bisogna sempre essere almeno in due.
Come si risolve l’inghippo? Semplicemente scendendo nell’arena e non rispondendo con l’insulto, ma con il ragionamento che, basandosi sul “dire” altrui, lo demolisce nel suo evolversi discorsivo. Si dimostra alla controparte che o ha torto, oppure che bisogna trovare insieme un modus vivendi, perciò un punto d’incontro per dialogare.
E per dialogare si accetta di analizzare un costruire insieme.
E se l’altro non accetta è ovvio che batta in … ritirata.
La Rete è globalizzata; ma non per questo personalizzata. L’individuo, infatti, è come se vivesse in una bolla di sapone: una delle tante indipendenti che formano un Social network. E, strano a dirsi, i più noti, come Facebook, sono dei contenitori trasparenti dove l’individuo, di norma, si mette in mostra, proprio, talora, come la peripatetica nelle vetrinette della Frauenstrasse di Amburgo.
Si mette in mostra perché vuole apparire. È tutto da dimostrare che l’apparire combaci con l’essere.
E spesso, come la peripatetica di Amburgo, mostra di sé stesso o la necessità del bisogno, oppure la degradazione dell’essere persona.
Come è pure da dimostrare che il suo apparire non abbia o un fine politico, oppure generalmente sociale; ma, allora, si è lì per comunicare e dialogare.
Si commercializza la persona e la si ritiene un oggetto che si può vendere; e come si vende l’esteriorità di sé stesso (perché nessuno accetterebbe d’essere uno schiavo), si vende anche ciò che si ritiene l’altro possa essere: un imbecille o nella fede o nel razionalismo agnostico.
La Rete, per costoro, non diventa più un mezzo di comunicazione, perciò di collaborazione, ma semplicemente un pleonastico modo di essere: l’apparire per … esistere. Si costruisce un costume che avvalora o deprezza: una maschera fittizia.
Ciò lo si può recepire anche nei commenti che si possono leggere sui vari blog ai vari post, assai stringati o sbrigativi; mai, se non in pochi casi, profondi o aggiuntivi.
Si rinuncia in pratica a comunicare, limitandosi all’osservare, all’assentire o al denegare: ci si schiera.
Chi declama senza discutere è sicuro del proprio modo di essere? Oppure con il conclamare ciò che ritiene la propria verità non accetta di discuterne perché non ha la base per supportare il proprio credere?
E il cristiano, nel professare il proprio integralismo o fondamentalismo basato su dei cliché preconcetti, nel non accettare di discutere dimostra che il suo credere è “fittizio”, anche se la sua importanza sociale, nella comunità o nella chiesa, può essere elevata. Non è su base solida.
Perché l’amare, per un cristiano, è basilare; senza di che il procedere diventa un fatto puramente egoistico di comodo.
E l’amare è il mettersi, se vi è necessità, a disposizione di chiunque, anche di chi non condivide e ci contrasta (Lc. 6,27) in qualsiasi campo.
La Rete è anticlericale? Come in ogni società, virtuale o reale, vi sono idioti, saggi, acculturati o … “accolturati” (coltivati).
E questi ultimi sono proprio quelli che non accettano di discutere perché la loro ideologia, se mai ce l’hanno cosciente, è basata sul materialismo, perciò su quell’utilitarismo individualista egocentrico che pone la preminenza e la centralità del proprio “Io” esistente sull’Io essente altrui.
È un “Io arcaico” che difficilmente può aprirsi a divenire “Io maturo”.
Proprio uno di quei “processi limbici” dell’amigdala, che alcune frange dello scientismo materialista innalza, impropriamente, quale libertà progressista da conquistare e recepire.
La dicotomia credente/agnostico non esclude il confronto e il vivere civile nell’essere società; anzi: lo impone.
Ciò non significa anteporre il proprio credere all’altrui, ma il rispecchiare nell’altro la necessità del vivere pacificamente insieme nel rispetto reciproco.
Perché se non vi è rispetto non vi è parità sociale, ma solo la iattanza dell’essere secondo la legge della giungla, sia che si conclami una razionalità, sia che si avvalori la propria fede.
Ed allora la socialità che si intende proporre (imporre) è una di quelle cause che arrecano poi danni a tutta la società, virtuale o reale che sia, facendo di tutta l’erba un fascio.
Un semplice qualunquismo generalizzato che esclude il dialogo già nella sua genesi.
Grazie dell’ospitalità.
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