Colui che viene dopo di me, è superiore a me, perché era prima di me.
Forse qualcuno potrebbe scambiare questa frase non per una citazione natalizia.
In realtà fa parte del Vangelo di oggi; e è tratta dal Prologo di Giovanni[1].
È il terzo Natale che ci troviamo e da allora siamo diventati una compagnia molto più vasta: ora siamo una numerosa Comunità telematica che vuol essere sempre Popolo.
Meglio ancora sarebbe se tutti ci sentissimo Popolo di Dio in cammino.
Molti mi han chiesto che tematica avrei trattato quest’anno e … questa, ora, è la mia risposta:
È Natale!
Un Natale di speranza che porta con sé la gioia per un futuro … migliore che spetta a noi costruire giorno dopo giorno.
Un Natale forse più sereno nelle prospettive prossime, anche se ancora assai nebulose e incerte per molti: per chi il lavoro lo perderà, per chi l’ha già perso e ora non ce l’ha, per chi si trova nella necessità, o nel dolore, o nel lutto, o nelle avversità di una vita giornaliera che impone, a tutti, una grande sociale solidarietà. E anche per tutti quelli che hanno timore del futuro perché sono incapaci di vedere il fondo a questa lunga recessione.
La solidarietà per il cristiano non dovrebbe esistere: dovrebbe identificarsi con la Carità.
Quella carità silenziosa, fattiva, operosa e fraterna che si basa sul comprendere il diritto altrui a vivere nel decoro e nell’uguaglianza dell’indipendenza economica.
Quella carità che impone di far fruttificare i talenti, che abbiamo ricevuto alla nascita, anche per chi questi non li ha e si trova nella necistà.
Quella carità che nella famiglia, ma pure nella società, antepone il diritto altrui al proprio nella donazione unilaterale convinta.
Quella carità che nell’amore trova lo slancio personale per condividere con altri la vita o alcune porzioni d’essa.
Quella carità che ha bisogno di una cultura non improvvisata, basata saldamente sulla roccia di principi e valori universali e non solo personali.
Quella carità che, nel nostro primo Natale[2], basai sugli uomini di buona volontà.
Giorni fa, girovagando in altura tra l’alta neve, Leone si imbatté in un solo Uomo in tutto il giorno: un uomo nudo.
“Mi fermai accanto e gli feci un attimo compagnia. L’uomo era … nudo, ma mi … riscaldava. Io ero vestito, ma non sapevo … riscaldarlo.
Strano destino di uomini. E nel silenzio assoluto ci scambiammo alcune … parole.”.[3]
Nudo e solo!
Perché l’Avvento è ormai, pure religiosamente, una tradizione pleonastica in un mondo che ha fretta di inseguire la vacuità dell’edonismo egocentrico.
Perché da soli si nasce e da soli si muore, anche se qualcuno ci è accanto; qualcuno che però non nasce o muore con noi.
Però si nasce per qualcuno; e talora pure si muore.
Si nasce se accolti nell’amore, desiderati e accettati anche se casuali. Si muore per l’indifferenza, vinti dall’egoismo altrui.
Oggi è nato di nuovo!
E più che un annuncio è un grido gioioso di speranza. Un grido che deve essere percepito per non restare opera morta.
È nato per noi e per l’umanità, per dare speranza a tutti.
Nasce nella continuità, insieme e accanto ad ognuno di noi.
“… Ero nudo, e mi rivestiste; …”[4]; ma non di panni, anche se la pietà popolare gli mise intorno ai fianchi di cembro uno straccetto azzurro cobalto: azzurro intenso come la speranza della fede.
Ha bisogno, identificandosi in ogni altro essere umano, d’essere ricoperto dall’amore vicendevole che riscalda il cuore, in quell’essere prossimo[5] per gli altri che ci fa sentire popolo e società.
Ecco perché ci attende a braccia spalancate, bisognoso del nostro vero e grande amore.
Colui che viene dopo di me, è superiore a me, perché era prima di me.
Frase escatologica dal risvolto morale e religioso?
No! Unicamente frase sociale.
Perché se noi intendiamo il nostro prossimo (genitore, coniuge, figlio, parente, amico, concittadino …) come colui che viene dopo il nostro individualismo di persona, ma che è superiore a noi nel suo diritto paritario di esistere, perciò non può essere calpestato, allora è ovvio che debba essere considerato prima di noi.
E lo è il possibile nascituro, che l’uomo e la donna chiamano magari involontariamente alla vita; come lo è l’anziano che nel suo decadimento fisiologico ha bisogno, più che dell’assistenza, del calore dell’amore d’essere ancora considerato persona e non un peso e un costo, di cui disfarsene relegandolo nella solitudine di qualche ricovero.
Lo è l’operaio, che oggi il capitale considera solo un oggetto produttivo, macchina da cambiare e da buttare se non rende più, come … altrove si può realizzare.
Lo siamo tutti noi che lo Stato percepisce come tanti numeri e che molti politici manovrano per il loro unico tornaconto di carriera.
Noi tutti siamo nudi: nudi perché indifesi.
Nudi e indifesi, oggi, nel grembo materno, quando per egoismo si decide di non procreare, perché il piacere è svincolato dall’affetto.
Nudi e indifesi nella necessità, quando la gente ci passa accanto senza curarsi del nostro impellente bisogno.
Nudi e indifesi quando la famiglia abbandona l’anziano al suo … destino.
Nudi e indifesi quando la famiglia, solo di nome, si spacca perché basata unicamente sull’egoismo istintuale del piacere sessuale.
Nudi e indifesi quando il capitale d’assalto e selvaggio ci toglie il lavoro per essere unicamente schiavo del business.
Nudi e indifesi quando la martellante pubblicità ci toglie, con prodotti inutili, il magro reddito che percepiamo.
Nudi e indifesi quando la politica dei mestieranti e dei carrieristi ci attrae con promesse che non verranno mai mantenute.
Nudi e indifesi quando ci lasciamo abbindolare dal populismo e dal qualunquismo “fascistoide” di qualche profeta di sventura, che si erge a paladino della libertà.
Nudi e indifesi quando la cultura calpesta il diritto, il principio e il valore in cui crediamo.
Nudi e indifesi quando l’oligarchia politica e del becero integralismo intellettualoide ci vuole togliere pure la … fede.
L’Uomo non è ancora nato. È nudo, è indifeso e spalanca le sue braccia per essere accolto; ma l’indifferenza sociale lo abbandona a sé stesso, perché il sacrificio per l’altro viene percepito come disvalore e debolezza.
Un giorno mi fecero questa domanda: Le tre parole che oggi giorno sono molto importanti.
Risposi: Io sono il Dio mio, e non esiste altro Dio fuori di me!
È una triste considerazione purtroppo attuale.
È Natale!
E noi abbiamo bisogno di rinascere come Popolo e non come semplice ghettizzante comunità, perché l’interesse nostro non può sopra valicare quello altrui.
Dobbiamo rinascere recuperando quella cultura e quei valori che, più che cristiani, sono garanzia di un sistema sociale, basato sulla pace, sull’uguaglianza e sulla fraternità.
E siamo nati perché “Ci fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era … (quello di tutti noi)!”[6]
Il Natale è un bene da condividere e una gioia da comunicare agli altri.
Guai se lo rinchiudiamo nel nostro puro egoismo consumistico del dare e ricevere regali in base a una convenienza sociale.
Perché la Carità/Amore impone il dono unilaterale dello slancio interiore: un dare volontario che non ha bisogno del ricevere, ma che nel contraccambio affettivo e sociale crea quella grande ricchezza che genera la certezza non di essere coppia e comunità, bensì famiglia e popolo.
E allora non saremo soli e nudi, ma vestiti di quella grande ricchezza interiore che ci fa sentire persona e non oggetto dell’interesse o del desiderio estemporaneo altrui.
E pure quell’uomo solo e nudo, che giace tenace tra il gelo dell’indifferenza generale, non avrà allargato le sue braccia, inutilmente, per essere accolto e amato da noi.
Perché senza amore/accettazione non vi è la Vita; e se non nasce la vita non vi sarà più neppure la morte.
Vi sarà solo la casualità soggetta alla contingenza dell’estemporaneità dell’egoismo umano, schiavizzato come oggetto del capitalismo globalizzato selvaggio.
A tutti voi vada il mio sentito
Felice Natale 2009!
[1] - Gv 1,15