venerdì 25 dicembre 2009

Natale 2009

Colui che viene dopo di me, è superiore a me, perché era prima di me.

Forse qualcuno potrebbe scambiare questa frase non per una citazione natalizia.

In realtà fa parte del Vangelo di oggi; e è tratta dal Prologo di Giovanni[1].


È il terzo Natale che ci troviamo e da allora siamo diventati una compagnia molto più vasta: ora siamo una numerosa Comunità telematica che vuol essere sempre Popolo.

Meglio ancora sarebbe se tutti ci sentissimo Popolo di Dio in cammino.


Molti mi han chiesto che tematica avrei trattato quest’anno e … questa, ora, è la mia risposta:

È Natale!

Un Natale di speranza che porta con sé la gioia per un futuro … migliore che spetta a noi costruire giorno dopo giorno.

Un Natale forse più sereno nelle prospettive prossime, anche se ancora assai nebulose e incerte per molti: per chi il lavoro lo perderà, per chi l’ha già perso e ora non ce l’ha, per chi si trova nella necessità, o nel dolore, o nel lutto, o nelle avversità di una vita giornaliera che impone, a tutti, una grande sociale solidarietà. E anche per tutti quelli che hanno timore del futuro perché sono incapaci di vedere il fondo a questa lunga recessione.


La solidarietà per il cristiano non dovrebbe esistere: dovrebbe identificarsi con la Carità.

Quella carità silenziosa, fattiva, operosa e fraterna che si basa sul comprendere il diritto altrui a vivere nel decoro e nell’uguaglianza dell’indipendenza economica.

Quella carità che impone di far fruttificare i talenti, che abbiamo ricevuto alla nascita, anche per chi questi non li ha e si trova nella necistà.

Quella carità che nella famiglia, ma pure nella società, antepone il diritto altrui al proprio nella donazione unilaterale convinta.

Quella carità che nell’amore trova lo slancio personale per condividere con altri la vita o alcune porzioni d’essa.

Quella carità che ha bisogno di una cultura non improvvisata, basata saldamente sulla roccia di principi e valori universali e non solo personali.

Quella carità che, nel nostro primo Natale[2], basai sugli uomini di buona volontà.

Giorni fa, girovagando in altura tra l’alta neve, Leone si imbatté in un solo Uomo in tutto il giorno: un uomo nudo.

Mi fermai accanto e gli feci un attimo compagnia. L’uomo era … nudo, ma mi … riscaldava. Io ero vestito, ma non sapevo … riscaldarlo.

Strano destino di uomini. E nel silenzio assoluto ci scambiammo alcune … parole.”.[3]

E, strano a dirsi, quell’uomo nudo stava “nascendo”: nudo nella nascita come nella morte; nudo come tutti noi, davanti a lui, anche se vestiti.

Nudo e solo!

Perché l’Avvento è ormai, pure religiosamente, una tradizione pleonastica in un mondo che ha fretta di inseguire la vacuità dell’edonismo egocentrico.

Perché da soli si nasce e da soli si muore, anche se qualcuno ci è accanto; qualcuno che però non nasce o muore con noi.

Però si nasce per qualcuno; e talora pure si muore.

Si nasce se accolti nell’amore, desiderati e accettati anche se casuali. Si muore per l’indifferenza, vinti dall’egoismo altrui.


Oggi è nato di nuovo!


E più che un annuncio è un grido gioioso di speranza. Un grido che deve essere percepito per non restare opera morta.

È nato per noi e per l’umanità, per dare speranza a tutti.

Nasce nella continuità, insieme e accanto ad ognuno di noi.

“… Ero nudo, e mi rivestiste; …”[4]; ma non di panni, anche se la pietà popolare gli mise intorno ai fianchi di cembro uno straccetto azzurro cobalto: azzurro intenso come la speranza della fede.

Ha bisogno, identificandosi in ogni altro essere umano, d’essere ricoperto dall’amore vicendevole che riscalda il cuore, in quell’essere prossimo[5] per gli altri che ci fa sentire popolo e società.

Ecco perché ci attende a braccia spalancate, bisognoso del nostro vero e grande amore.

Colui che viene dopo di me, è superiore a me, perché era prima di me.

Frase escatologica dal risvolto morale e religioso?

No! Unicamente frase sociale.

Perché se noi intendiamo il nostro prossimo (genitore, coniuge, figlio, parente, amico, concittadino …) come colui che viene dopo il nostro individualismo di persona, ma che è superiore a noi nel suo diritto paritario di esistere, perciò non può essere calpestato, allora è ovvio che debba essere considerato prima di noi.

E lo è il possibile nascituro, che l’uomo e la donna chiamano magari involontariamente alla vita; come lo è l’anziano che nel suo decadimento fisiologico ha bisogno, più che dell’assistenza, del calore dell’amore d’essere ancora considerato persona e non un peso e un costo, di cui disfarsene relegandolo nella solitudine di qualche ricovero.

Lo è l’operaio, che oggi il capitale considera solo un oggetto produttivo, macchina da cambiare e da buttare se non rende più, come … altrove si può realizzare.

Lo siamo tutti noi che lo Stato percepisce come tanti numeri e che molti politici manovrano per il loro unico tornaconto di carriera.

Noi tutti siamo nudi: nudi perché indifesi.

Nudi e indifesi, oggi, nel grembo materno, quando per egoismo si decide di non procreare, perché il piacere è svincolato dall’affetto.

Nudi e indifesi nella necessità, quando la gente ci passa accanto senza curarsi del nostro impellente bisogno.

Nudi e indifesi quando la famiglia abbandona l’anziano al suo … destino.

Nudi e indifesi quando la famiglia, solo di nome, si spacca perché basata unicamente sull’egoismo istintuale del piacere sessuale.

Nudi e indifesi quando il capitale d’assalto e selvaggio ci toglie il lavoro per essere unicamente schiavo del business.

Nudi e indifesi quando la martellante pubblicità ci toglie, con prodotti inutili, il magro reddito che percepiamo.

Nudi e indifesi quando la politica dei mestieranti e dei carrieristi ci attrae con promesse che non verranno mai mantenute.

Nudi e indifesi quando ci lasciamo abbindolare dal populismo e dal qualunquismo “fascistoide” di qualche profeta di sventura, che si erge a paladino della libertà.

Nudi e indifesi quando la cultura calpesta il diritto, il principio e il valore in cui crediamo.

Nudi e indifesi quando l’oligarchia politica e del becero integralismo intellettualoide ci vuole togliere pure la … fede.

L’Uomo non è ancora nato. È nudo, è indifeso e spalanca le sue braccia per essere accolto; ma l’indifferenza sociale lo abbandona a sé stesso, perché il sacrificio per l’altro viene percepito come disvalore e debolezza.


Un giorno mi fecero questa domanda: Le tre parole che oggi giorno sono molto importanti.

Risposi: Io sono il Dio mio, e non esiste altro Dio fuori di me!

È una triste considerazione purtroppo attuale.

È Natale!

E noi abbiamo bisogno di rinascere come Popolo e non come semplice ghettizzante comunità, perché l’interesse nostro non può sopra valicare quello altrui.

Dobbiamo rinascere recuperando quella cultura e quei valori che, più che cristiani, sono garanzia di un sistema sociale, basato sulla pace, sull’uguaglianza e sulla fraternità.

E siamo nati perché Ci fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era (quello di tutti noi)![6]

Il Natale è un bene da condividere e una gioia da comunicare agli altri.

Guai se lo rinchiudiamo nel nostro puro egoismo consumistico del dare e ricevere regali in base a una convenienza sociale.

Perché la Carità/Amore impone il dono unilaterale dello slancio interiore: un dare volontario che non ha bisogno del ricevere, ma che nel contraccambio affettivo e sociale crea quella grande ricchezza che genera la certezza non di essere coppia e comunità, bensì famiglia e popolo.

E allora non saremo soli e nudi, ma vestiti di quella grande ricchezza interiore che ci fa sentire persona e non oggetto dell’interesse o del desiderio estemporaneo altrui.

E pure quell’uomo solo e nudo, che giace tenace tra il gelo dell’indifferenza generale, non avrà allargato le sue braccia, inutilmente, per essere accolto e amato da noi.

Perché senza amore/accettazione non vi è la Vita; e se non nasce la vita non vi sarà più neppure la morte.

Vi sarà solo la casualità soggetta alla contingenza dell’estemporaneità dell’egoismo umano, schiavizzato come oggetto del capitalismo globalizzato selvaggio.


A tutti voi vada il mio sentito


Felice Natale 2009!



[1] - Gv 1,15

[2] - Natale 2007

[4] - Mt 25,36

[5] - proximus: che ci sta vicino, perciò accanto.

domenica 13 dicembre 2009

Le tre gravi e imponenti crisi infinite: la crisi politica.

La crisi politica.

Gli uomini fanno la politica; ma se questi perdono l’orizzonte del loro procedere la politica va in crisi.

L’orizzonte non è il fine perseguibile, ma il progetto in cui crede la società. E il credere è ciò che dà convinzione e produce l’energia per raggiungere l’obbiettivo.

L’orizzonte deve essere definito e sempre perfezionato; perché è il naturale sviluppo culturale della volontà umana di migliorare e aggiornare il proprio sistema sociale di convivenza nella pace, nell’uguaglianza nella diversità e nella laboriosità, fondato sul progresso del dare a tutti una decorosa possibilità di vita.

La globalizzazione ha prodotto l’annullamento virtuale dei confini nazionali e le grandi potenze, U.S.A. in primis, hanno pensato bene di esportare il loro modello sociale anche altrove, specie là dove l’interesse proprio le portava.

Prima la Russia ed ora la Nato si sono infognati in Afganistan, e altrove, con motivi politici non proprio comprensibili.

Non volendo chiudere le proprie frontiere si è pensato bene di cercare di controllare il territorio altrui. Ci si è dimenticati che non serve avere il controllo dei sassi, come nelle guerre dei secoli scorsi, bensì quello delle persone. E le persone non sono le stesse di quelle dei secoli scorsi, anche in un paese che può essere considerato tuttora terzomondista.

Controllare l’Afganistan, paese dalle centinaia di etnie, è un problema titanico e lo si può ottenere solo in un modo: distruggere materialmente l’avversario con armi tattiche. Però manca la volontà politica per via del consenso nazionale interno e internazionale in generale.

Portare centinaia di migliaia di uomini laggiù ha un costo talmente elevato (in morti e in denaro) che non servirà a molto; come non servirà a molto costruire e ammodernare un paese che vive culturalmente in un mondo arcaico, perché per attuare in modo proficuo un simile progetto politico e culturale ci vogliono più generazioni e non alcuni anni solo.

Lo si potrà ammodernare, esteticamente, nelle città principali, ma non in periferia dove la “ribellione” cova il dissenso sulla volontà di vivere secondo leggi antiche, anche se per noi retrograde, basate su dei postulati religiosi islamici e su delle tradizioni tribali.

La geografia morfologica afgana è tale che ogni etnia è disgiunta dalle altre per naturali ostacoli territoriali, che sono resi spesso, specie in inverno, quasi insuperabili confini per la comunicazione e la cultura, isolando, di fatto, una tribù dall’altra.

L’islamismo non è un mondo omogeneo, come il cristianesimo, e la sua galassia ingloba migliaia di universi diversi, talora anche contrapposti.

Perché il problema non è tanto la religione stessa, bensì l’uso che i potentati vogliono farne di questa. Basta guardare all’Iran.

E, di norma, più la cultura sarà carente e superata da eventi internazionali, più l’integralismo e il fondamentalismo faranno presa nelle enclavi tradizionaliste, formattando quel becero odio e quell’innata indipendenza alle idee altrui (esterne) che esulano dal costruire un ordine mondiale, per rintanarsi nell’anarchismo tribale.

Se ne deduce che l’Afganistan sarà per gli occidentali un fallimento costosissimo e … annunciato, se si continuerà su questa falsariga.

Obama, nel suo innato populismo culturale, ha pure molti spunti positivi. Il problema suo è però quello di coniugare l’idea con l’esigenza, il pragmatismo con l’uguaglianza, l’economia con il bilancio, il progetto interessante con l’opportunità e, non ultima, l’esperienza sua con la diplomazia internazionale.

Insomma: un bel guazzabuglio intellettuale.

Perché chi motiva la guerra, facendo ricorso dialettico e giustificativo ad esperienze dei secoli scorsi, nate sulla base di ideologie totalitarie e completamente diverse, ammette solo d’essere incapace di concepire il tempo in cui siamo.

E finora non si sono visti dei risultati pratici se non di apparente maquillage ideologico. Al contrario ha innescato un’escalation militare preoccupante che coinvolge pure i principali paesi Nato.

Ciò, se mi è concesso, non è indice di lungimiranza, né di sano pragmatismo; bensì di confusione interna progettuale che è soggetta a spinte corporative e a tentativi poco convinti di risolvere a monte il problema.

I grandi cambiamenti epocali hanno bisogno di tempo e si evolvono per un progetto che, intuito da pochi, viene, poi, fatto comprendere e percepire a tutti.

Le idee per un nuovo mondo ci sono, ma hanno bisogno d’essere comprese dai politici per essere realizzate; ma se il politico è datato e ancorato al suo solo modo operativo di vedere è ovvio che, tale politico, sia di impedimento all’evolversi della società.

E, purtroppo, buona parte della classe politica (e religiosa) attuale non è molto adatta a comprendere ed a condurre un cambiamento epocale che coinvolga, soprattutto, dei principi e dei valori perfezionati, in un mondo dove l’etica ha perso il suo ruolo di guida intellettuale, soppiantata dall’economia e dalla finanza globalizzata preferibilmente selvaggia.

L’economia e la finanza sono necessarie all’evolversi del progresso umano; diventano un ingombro e un grande ostacolo quando la loro importanza assurge a valore quasi assoluto, vincolando il business del capitale, perciò il guadagno, a priorità incondizionata di sviluppo, specie se fondato sul debito.

Ciò comporta la preminenza dell’economia sulla persona. In pratica si asservisce l’uomo/persona ad oggetto del soggetto economia/finanza: il contingente sottoposto all’astratto.

I vertici religiosi e Obama si affidano a concetti idealistici che sono per lo più innegabilmente veri, perciò condivisibili. Tuttavia questi sono svincolati da quel sano pragmatismo operativo a cui, per non essere inutili, dovrebbero essere sempre affiancati.

Il Papa è la personificazione dell’idealismo. Ciò nonostante il suo essere “servito” lo pone in contrasto con l’essere “servitore”, creando di fatto quella disuguaglianza sociale e ecclesiale in grado di produrre il culto personalistico.

E analogo concetto vale per il vertice politico che si dichiara sempre garante e in difesa dei principi costituzionali, anche se questi principi, degenerando dal servizio al cittadino alla sua schiavizzazione, dovrebbero essere corretti e riformulati prontamente.

Ne consegue che il rapporto tra il vertice e la base si sgretoli, che la Chiesa perda in credibilità e in fedeli, che la religione new age assuma connotati di personalismo individualistico basato sulla propria sola coscienza (modo e interesse di vedere), che il Popolo di Dio si trasformi in comunità ghettizzante, che il populismo e il qualunquismo prendano continuamente piede tra gli sfiduciati e i delusi, che i Poteri dello Stato si scontrino tra loro cercando di assumere quei controlli che la stessa Costituzione, che vogliono a parole difendere, non concede loro affidandoli ad altri.

In Italia stiamo da tempo assistendo ad uno scontro pernicioso tra Magistratura ed Esecutivo, dove la prima, anziché essere l’interprete della Legge, si arroga il diritto di “fare” la legge, esautorando il Legislativo sia con deduzioni ideologiche di costituzionalità più o meno reali, sia ponendo anzitempo dei veti pesanti all’incedere del Parlamento.

La res publica diventa res privata corporativa, atta non solo a mantenere, ma anche ad ampliare il proprio ambito di competenza del potere, sostituendo il potere sovrano che vede il Popolo prim’attore con l’esprimere nel voto la propria insindacabile volontà.

Il concetto di Popolo tende ad essere soppiantato da quello di Comunità. Una comunità che si differenzia dal popolo perché ristretta e arroccata su propri interessi e idee che si scontrano con quelli di altre comunità.

Tutto ciò è l’incipit dicotomico non di una carenza culturale dell’idea democratica, bensì della fine della democrazia; per il semplice fatto che il concetto di maggioranza non è più subordinato al volere democratico del 50%+1 dei voti espressi, ma, unicamente, al proprio interesse di parte e quindi di comunità.

La comunità diventa più importante del popolo; perciò si astrae dal sentirsi popolo per far valere sulla maggioranza il proprio interesse. E, in questa (comunità), il personalismo assume quei connotati individualistici che rendono l’individuo egocentrico alla realtà, tanto nella società che nella Chiesa.

È il vizio e la tara dell’ideologia personalista, sia questa di matrice religiosa o agnostica o materialista.

Di norma si procede per autoreferenzialità, dove il soggetto interessato e in causa dichiara solennemente, davanti alla società la propria “verità” a valore assoluto.

I vari Presidenti declamano il loro valore e il loro giusto incedere traendo forza dal potere che detengono, i soggetti corporativi (industriali, politici e finanziari) la loro pretesa che precede nella società l’esigenza degli altri, e i vertici religiosi, infine, declamano il loro intendere quale verità trascendente loro affidata.

Questa autoreferenzialità, tuttavia, è assai relativistica; e diventa la “verità” altrui grazie al culto personalistico che fa del soggetto, posto al vertice del potere politico o religioso, un simbolo fenomenologico (il Totem) che trae la verità unicamente dal proprio relativismo contingente.

Siamo nella fenomenologia relativistica che, specie in campo religioso, intende, in questo modo assurdo, contrastare proprio il relativismo dilagante!

Ecco perché vi sono le diverse “verità” comunitarie che nascondono, tutte, l’interesse settoriale di chi le declama o le rappresenta.

Ciò porta alla semplice conclusione che il comune cittadino perderà del tutto la fiducia nel vertice piramidale, soverchiato dal populismo qualunquista che lo inebetisce.

Oggi si è prodotto il bipolarismo, credendo che fosse la risoluzione dei problemi dell’impalcatura vecchiotta della nostra Costituzione. Si è pure puntato sul bipartitismo e in parte si son ridotte le forze minori che creavano il cespuglio anarcoide parlamentare e governativo. Un bipartitismo, tuttavia, che ha assunto, in sostanza, più l’entità di un cartello elettorale invece di un vero e proprio partito.

Veltroni ha sbagliato tattica (e comprensione democratica) dando forza ad un piccolo partito qualunquista che, in questo modo, ha avuto la possibilità, grazie all’alleanza, di assurgere ad importanza numerica, attingendo tra gli scontenti e gli sfiduciati della sinistra.

Il bipolarismo, in verità, è collaudato in Italia dall’ultima guerra mondiale, anche se solo dagli anni ’90 in poi ha prodotto un vero bipolarismo che ha concesso l’alternanza tra maggioranza e opposizione. Le elezioni politiche avvenute da quel periodo in avanti hanno, infatti, finora sempre prodotto un’alternanza di governo.

Il bipolarismo maggioritario è ciò che attualmente garantisce una stabilità governativa, se visto come vero bipolarismo e non come cartello elettorale di comodo. Quello, per intenderci, attuato dai due tentativi fallimentari di Prodi.

Non è il miglior sistema democratico assoluto; ma lo è, attualmente, per poter ammodernare e risolvere a grande maggioranza (e non risicata) in modo veloce i problemi della nostra società.

Forse sarebbe migliore un bipolarismo secco, ma la storia non si fa con i se e con i ma.

Vi è poi il Centro, che latra come il cane che nella notte ha paura e riesce a reggere grazie a continue manovre, peraltro mal riuscite, che dovrebbero produrre un nuovo maquillage e una nuova strategia; ma, con le vecchie modalità, uomini e sistemi è difficile “credere” nel nuovo. Basti pensare alla politica dei due forni.

È, infatti, un agglomerato informe e disomogeneo, dove gli addetti (politici e parlamentari) vanno e vengono a loro piacimento, cercando di creare nuovi cespugli, di ricollocarsi nei campi limitrofi, di stringere oggi alleanze per stracciarle facilmente domani.

Il Centro può essere una grande alternativa e speranza futura, però non questo centro che sa unicamente di “centrino” e che si accontenta di un consenso elettorale da prefisso telefonico proveniente da settori nostalgici della vecchia area DC.

Per creare un Centro vero servono nuove idee, nuovi uomini e nuove strategie.

Serve, innanzitutto, un Uomo vero in grado di recepire le istanze della società, di farsi carico dei problemi, di mettersi al servizio di quell’utilità generale, il tanto declamato Bene comune, che oggi è personificato solo nell’interesse di alcuni.

Le idee ci sono; ma per “questi” esponenti politici, dediti da sempre alla carriera personale, sono non solo incomprensibili, ma, soprattutto, per loro emarginanti.

Il Politico si confronta con tutti e da tutti cerca di recepire l’istanza sociale. Molti degli attuali, invece, professano pubblicamente e con fierezza (sic!) la loro avversione (in alcuni casi l’odio) per altri, chiudendo anzitempo non solo la porta al colloquio, ma pure a quel confronto democratico in grado di perfezionare l’idea di tutti.

E quando uno afferma fieramente “Io con quello non parlo e non ho nulla a che fare” declama solo la propria inciviltà sociale, specie se si erge a paladino di valori cristiani o democratici.

La Sx si è frantumata per lo scadente risultato elettorale e, prima ancora, per il fallimento governativo che le ha tolto il consenso generale. La Dx si è invece ricompattata e amalgamata grazie a questo.

I problemi non sono comunque risolti e i malumori, tanto a sx quanto a dx, come al centro, sono continui, creando attriti e distinguo che esemplificano perfettamente la disconoscenza del concetto democratico e del ruolo sociale che compete alla maggioranza e all’opposizione, sia nella nazione che nel partito.

Si frantuma la società e la comunità in sponde contrapposte, dove ci si combatte senza creare ponti.

Siamo scampati alla depressione, ma i problemi che hanno creato la recessione sono ancora tutti sul tappeto.

Tremonti non è un mio idolo; ma all’uomo riconosco la ferrea volontà di procedere con attenzione e con rigore. Bravo!

Dubai e Grecia sono il campanello d’allarme dello spendere/scialacquare che assurge alla falsa nomea dell’investire nello sviluppo. Poi chi verrà? Facile prevederlo se la recessione continuerà a colpire forte e non vi sarà una rapida (improbabile) ripresa: Spagna, Portogallo, Irlanda …

Il vero sviluppo si basa sul risparmio! E quando si sentono ministri che propugnano spese aggiuntive, declamandosi economisti per il pezzo di carta avuto, allora viene da chiedersi cosa questi ci stiano a fare in un Consiglio dei Ministri.

La democrazia è l’accettare la decisione assunta collegialmente dall’organo esecutivo, sia che abbia deciso all’unanimità, sia che abbia deciso a maggioranza relativa.

La civiltà democratica impone il rispetto delle regole. E queste stabiliscono che tutti debbono portare il loro modo di vedere, ma poi l’accettare ciò che si è stabilito.

Esattamente l’opposto di quanto ora avviene, sia nel Governo, sia nel Parlamento, sia nella nazione.

martedì 8 dicembre 2009

Il ruggito del vecchio Leone.

Sesac, oggi, venne a farmi visita e mi consegnò questo racconto che, dopo aver ascoltato pure a voce, pubblico assai volentieri.

Sam Cardell

Tratto da “i Dialoghi” di Sesac

Il ruggito del vecchio Leone.

Io, Sesac, nei giorni scorsi mi recai in altura per rendere visita al Leone per gli immancabili e abituali auguri.

Come ogni anno, e in anticipo sul Natale, ci si raduna sempre per passare amabilmente alcune ore insieme e per bere del Vin brulé, gustando, tra un sorso e l’altro, dei dolci caserecci accoppiati a del torrone, delle caldarroste, della frutta sotto spirito, dei Marron glacé e del Grecale, o, per chi ama la sostanza corposa, del Barbera, del Barolo o del soffice Chianti o il delicato vino del Reno.

Leone ci aveva dato appuntamento non in una delle sue abituali dimore, ma su in Federìa, dove la natura e l’uomo convivono senza contaminarsi. Un suo caro amico aveva messo a disposizione una bella e grande baita ristrutturata a confortevole dimora.

Salendo verso l’alto passo, che consente di superare lo spartiacque mediterraneo, fui ostacolato dai soliti imbranati vacanzieri dediti a … montare le catene e diligentemente muniti, tra le mani, di guida pratica per l’uso. Chi in apposita piazzuola (rarissimi), chi in mezzo alla strada ghiacciata completamente bianca, chi per traverso, chi addirittura in curva e … bocciati da chi, scendendo, non poteva fare altro, considerato il ghiaccio, che finirgli … addosso.

Perciò arrivai tardi; ma dove la strada cessa trovai la motoslitta ad attendermi e il potentissimo Terra, del Leone, che lasciava sonnecchiare, agli algidi raggi del sole, i suoi 250 cavalli e oltre. Vi era pure Kurt che mi aveva preceduto di poco.

Vi salimmo; e, in poco tempo, inerpicandoci sul ripido manto nevoso, giungemmo a destinazione tra un paesaggio da fiaba, condotti dal valente autista.

La baita si trovava in un ampio spiazzo erboso ricoperto da 1 m abbondante di neve, attorniata da abeti rossi carichi e luccicanti di neve. Il sole illuminava i batuffoli bianchi sui rami, facendoli riverberare alla vista dell’incantato osservatore.

Tutto intorno vi era un silenzio ovattato, rotto solo, ogni tanto, dal fruscio della neve farinosa che, smossa da una brezza leggera, scendeva svolazzante tra i rami e, risplendendo come tanti piccoli diamanti colpiti dalla luce, illuminava la penombra dell’abetaia.

Più giù, a valle, la cembraia secolare mostrava tutto il suo fulgore con gli alti fusti dai corti e tozzi rami, attorniata, poco più in alto, dai superbi larici che in parte mostravano ancora l’ocra brillante dei caduchi aghi.

La neve, sotto i nostri piedi, produceva una gioiosa modulare musica, che ad ogni passo variava la sua ridondanza come la Sesta di Beethoven.

Leone era impegnato ai fornelli, intento a preparare 5 litri di Vin brulé, per la numerosa compagnia, con del Barbera doc, miele, mele varie (Golden delicious, Renette e Stark), cognac e zucchero, secondo i crismi di una ricetta che una provetta cuoca, di un facoltoso casato di Hannover, gli aveva confidato quando si trovò, un giorno, ospite lassù.

Come al solito era in buona e nutrita compagnia.

Appariva provato. E pensai alle fatiche del gravoso impegno che lo aveva occupato per mesi.

Il viso era particolarmente arrossato e le labbra leggermente rigonfie, come se il gelo e una lunga esposizione all’accecante riverbero della neve li avessero bruciati.

Indossava una camicia scozzese con, sul taschino sx, la Croce di S. Giorgio e un pratico pantalone di pile.

Le tazze, preventivamente riscaldate, furono, infine, riempite con il nettare sapientemente reso analcolico; e tra il festante chiacchiericcio degli astanti iniziò la tradizionale festa annuale.

Billy, ovviamente, ebbe la sua bella appropriata razione di pasticcini e cioccolatini, considerato che le nostre bevande erano a lui poco gradite.

Mentre Kurt e Leone, tra l’attenzione generale, s’erano addentrati a discutere sulle varie piattaforme di trading, Hans notò in un angolo dei Trab e si alzò per andarli a visionare. Incuriosito lo segui, poco attratto dalla discussione e data la mia proverbiale ignoranza in campo finanziario.

Hans era il presidente di un’importante associazione alpina internazionale. Alto, ben messo, dall’aspetto e dai modi nobiliari, di notevole cultura e sempre estremamente disponibile e cortese con tutti.

I Trab erano da scialpinismo, lunghi circa 1,70 m ed apparivano flessibili e leggerissimi. Hans mi spiegò che gli parevano in fibra di carbonio con lamine al titanio. Erano, mi disse, attrezzi altamente professionali, datati sì, ma tutt’ora perfettamente attuali.

Dopo lunga osservazione ed analisi dei preziosi attrezzi approfittò della fine della discussione per chiedere a Leone se fossero suoi.

Da esperto qual’era, oltre che da provetto sciatore, non vedeva nella compagnia di chi altri potessero essere.

Leone confermò; e disse che li aveva appena usati il giorno prima, dopo anni, per una “piccola” uscita. Ma sottolineò l’aggettivo con tale enfasi che a tutti noi venne il … languirono per la ghiotta … occasione.

Perciò, Leone, dopo aver fatto spazio, davanti a sé, sulla grande tavola, vi collocò Clio e, con il prezioso aiuto telematico cominciò a raccontare e a … illustrare.

Voi tutti già sapete che dal giorno dell’incidente subito me n’ero sempre stato quieto per ovvie ragioni.

Sognavo, comunque, di poter affrontare ancora facili percorsi d’altura nella natura incontaminata.

Venendo quassù per alcuni giorni li presi con me, se non altro come … compagnia.

Ieri mattina guardai fuori e il paesaggio mi … ispirò. Decisi di fare una piacevole escursione in compagnia di Billy.

Preparai lo zaino, misi gli sci con le pelli di foca ai piedi e cominciai con fatica a … salire, tra gli sfavillanti abeti rossi addobbati a … Natale.

Gli anni passano per tutti e mi parve d’essere un neonato che muove indeciso i primi passi.

Era tempo che non lo facevo. E il freddo intenso (-14°) mi sollecitava a procedere deciso, con il fido Billy che guaiva sprofondando nella neve. Dopo un po’ imparò a camminare sul binario che lasciavo dietro di me.

Cominciai a riprendere confidenza con gli sci. Il passo spinto si fece sciolto, gli sci cominciarono a scorrere con maggiore velocità, la fatica iniziale si attenuò e l’essere in temperatura mi rese indifferente al freddo polare.

Conoscevo perfettamente l’ambiente e decisi di puntare verso il colle, dopo aver superato le baite alte. Guardai l’Essembach che mi segnalò d’aver superato i 2.500 m e che la temperatura era scesa ancora. Eppure non mi sembrava affatto.

Lo superai di slancio, sfilai le pelli di foca, avvolsi l’intirizzito Billy nella sua copertina di pile e lo misi nello zaino al coperto con la testolina fuori rivolta all’indietro; indi puntai in basso, deciso, verso gli impianti di risalita giù verso Trep...

Giunsi velocemente, tagliando di traverso, nei pressi dell’artistico crocefisso ligneo che spuntava tra l’alta neve. Era di cembro e la fede antica lo aveva piazzato lì un paio di secoli prima.

Mi fermai accanto e gli feci un attimo compagnia. L’uomo era … nudo, ma mi … riscaldava. Io ero vestito, ma non sapevo … riscaldarlo.

Strano destino di uomini. E nel silenzio assoluto ci scambiammo alcune … parole.

Gli impianti erano ancora lontani, ma non erano la mia meta.

Centinaia di metri più in basso, quasi celata nelle anse di un canalone, una bianca chiesetta mi ammiccava da lontano.

Il cielo era, ora, di uno splendido cobalto, striato a tratti da nubi.

Decisi di puntare di nuovo in alto su verso il Trela, superare il Lago Nero, attraversare la valle, scavalcare la cresta dell’Alpisella e puntare verso il Ferro.

Ci pensai un attimo, non essendo con gli sci una libellula come il Beppe, ma calcolai che avevo tempo e forze sufficienti per farlo.

Ero in vetta!

L’Essembach sentenziò: 3.033 m e -25°.

Billy, stralunato, accettò di buon grado del cioccolato e dei biscotti mentre si sgranchiva le gambette. Bevve pure, fatto insolito, del tiepido tè al latte zuccherato.

Erano le 16 e non avevo molto tempo a disposizione, nonostante da lassù il sole apparisse ancora alto.

Ingerii del destrosio e mi preparai per la discesa. Dovevo fare, data l’alta neve, molta attenzione.

Mi concessi ancora un lungo attimo di osservazione e salutai tutte le vette circostanti fino al Picco dell’Imperatore.

Billy giaceva già, felice, nello zaino e guardava estasiato pure lui.

Ritrovai un mondo conosciuto e vero; un modo senza … parole!

Dove le parole sono superflue ed emerge solo il valore dell’uomo e della natura: di chi sa fare e di chi, o cosa, è!

E non di chi vuol solo apparire.

Costui, infatti, qua non si … vede, perché, proprio quassù, non saprebbe mai … arrivare.

Dentro di me sentii un potente ruggito, quello della soddisfazione interiore.

E il mio ruggito scivolò veloce fino a quell’uomo … solo e nudo, che stava oltre la valle e in basso, tra l’alta e gelida neve.

Era l’unico che avevo incontrato lassù e con cui avevo, nel silenzio assoluto, scambiato alcune parole.

Grazie anche e soprattutto a Te, Uomo del cielo, che hai creato questa bellezza per concedermi l’immenso e unico privilegio di poterla, oggi, … osservare.

Non era più tempo d’indugiare oltre.

Cominciai a scendere finché sentii, felice, il Gallo … cantare.

Non so se ero provato, ma soddisfatto sì.

… e il sole s’era già spento all’orizzonte quando varcai la soglia di questa accogliente baita..

Clio si fermò pure lei perché, ormai, aveva finito di mostrare le foto.

E, per alcuni istanti, pure noi, estasiati, rimirammo quelle splendide immagini che Clio, diligentemente, ci aveva fatto gustare.

Anche noi, seppure spiritualmente, abbiamo fatto lo stesso … percorso col Leone.

Sesac

domenica 8 novembre 2009

Le tre gravi e imponenti crisi infinite: la crisi finanziaria.

La crisi finanziaria.

La crisi finanziaria ha creato con effetto domino la crisi economica, indi la recessione e infine la crisi reale che colpisce tutti, specie i meno abbienti.

Non condivido l’ottimismo di molti che dicono che è ormai superata e alle spalle, anche se, si aggiunge, la ripresa sarà incerta, lunga e difficoltosa.

I Governi hanno provveduto con tempestività, anche se ritardata nella preveggenza, a tamponare i buchi (perdite) che la speculazione globalizzata aveva innescato, salvando innanzitutto le grandi aziende finanziarie e, sopratutto, le banche. Basti ricordare che solo negli U.S.A. ne sono fallite ben 100 in circa un anno e, in questi giorni, un’altra molto importante (V a livello mondiale): la Citigroup.

In Europa le cose sono andate un po’ meglio per il sostegno che la BCE e i vari governi hanno messo in campo.

In Italia meglio ancora; anche perché il sistema nostro vede largamente prevalere le banche commerciali su quelle di affari.

Ciò nonostante si può tranquillamente affermare che anche le nostre banche sono ancora più fumo che arrosto: un fumo che sa assai di bruciaticcio.

Le principali, specie quelle esposte con crediti quasi inesigibili (a breve) con l’Est, sono corse a prenotare i Tremonti bonds, salvo poi ultimamente rinunciarci perché la capitalizzazione del portafoglio borsistico ha avuto un’impennata al rialzo, che consente loro di procedere, per ora, con mezzi propri e di posporre la ricapitalizzazione.

Perciò i problemi non sono risolti, ma solo accantonati; e se, come pare, i mercati finanziari avranno quasi esaurito la spinta rialzista, c’è da giurarci che tra poco il problema le investa di nuovo se la speculazione punterà, di nuovo, decisa al ribasso.

I Tassi sono scesi e permangono ai minimi storici, mentre i Future sulle materie prime, specie sul petrolio, hanno rialzato prepotentemente la testa.

Non per questo le banche hanno prontamente ridotto i loro tassi, lucrandoci assai tra tassi dare ed avere e in modo particolare con le PMI che non hanno un grande potere contrattuale. Hanno penalizzato la spina dorsale e produttiva del Paese, riversando su queste il costo dei loro errori finanziari e industriali. Hanno riservato un occhio di riguardo alle grandi aziende, dove per lo più sono creditrici e pure azioniste, perché la loro caduta sarebbe stata inevitabilmente la propria.

Ciò avviene per un semplice motivo: gli aiuti avuti sono stati da molti riservati a una nuova speculazione sui Derivati, creando di nuovo una spirale che, se non verrà bloccata, porterà a conseguenze recessive peggiori di quelle dello scorso anno e dell’inizio di questo.

Basti ricordare, in proposito, il monito di Obama, di poco tempo fa, al sistema finanziario americano, che ha usufruito più di tutti del sostegno statale, e tornato ai vecchi vizi e … rischi.

I crediti in sofferenza e inesigibili sono stati solo congelati, perciò sterilizzati in frezeer in attesa di tempi migliori. Ciò ha permesso non solo di salvaguardare le società finanziarie, ma pure tutte quelle aziende che avevano investito poco avvedutamente oltre le loro effettive possibilità commerciali e industriali.

I Tremonti bonds sono in scadenza nel 2013; e se per allora non saranno resi, diventeranno pesanti da gestire nei costi che arrecheranno: non saranno più tanto economici, ma una palla al piede.

Alcune grosse aziende hanno proceduto ad emettere loro propri bonds, indebitandosi direttamente sul mercato finanziario ad un lustro, eventualmente rinnovabile.

Questo scenario inquietante non può lasciare il cittadino comune in assoluta tranquillità, considerato pure che ormai la CIG ha quasi esaurito il suo corso ordinario e che bisognerà fare ricorso a quello straordinario per proteggere il lavoratore. Ciò significa che il Debito pubblico volerà ancora più in alto anche nel prossimo anno.

E che il lavoratore, nonostante la grave recessione in atto, sia stato “invogliato” da incentivi di rottamazione a indebitarsi ulteriormente, quando tali risorse sarebbero state più utili a proteggerlo socialmente, è un fatto grave che le lobby finanziarie industriali, specie di un’azienda che commissiona tutto all’estero e che assembla solo (in parte) in Italia, hanno sulla loro coscienza, se mai ce l’abbiano.

Tutto ciò in base alla regola del business che il mercato, perciò il consumismo modaiolo, va sempre sostenuto e invogliato.

E se da un lato questo arreca vantaggi perché permette alle aziende in crisi di resistere sul mercato e rialzarsi, dall’altra bisogna concepire che non si può più continuare ad assommare debiti per favorire la produzione e il commercio all’infinito.

Bisogna avere uno sviluppo e un tenore di vita compatibile, anche a costo di abbassare i consumi e di affrontare sacrifici.

Le aziende finanziarie, oltre ad usare la leva sul mercato del credito, avrebbero anche la possibilità di promuovere un aumento di capitale sociale per dotarsi di mezzi propri.

Ciò, tuttavia, non avviene per una logica ragione finanziaria: stante le carenti quotazioni azionarie attuali l’aumento di capitale non sarebbe conveniente per gli azionisti nel rapporto onerosità, rischio, reddito.

Basti pensare al riguardo che molte aziende non sono neppure in grado di distribuire il dividendo sugli utili, considerato che se non sono in perdita hanno, comunque, immenso bisogno di liquidità.

Un aumento di capitale in tali condizioni rischierebbe di cadere nel vuoto del disinteresse generale. E dove è stato fatto l’azionista o ha rinunciato, oppure ha provveduto a vendere quasi subito parte del proprio pacchetto azionario per recuperare capitale, affossando di conseguenza il valore azionario del titolo.

Tutto ciò pone in evidenza la tendenza moderna a considerare il capitale (perciò l’interesse individuale) maggiormente importante della persona e della collettività.

Si rinuncia, in pratica, ad essere popolo e nazione, perdendo il senso di appartenenza e di provenienza.

Il benessere e l’interesse proprio immediato prevale sull’interesse generale e delle generazioni future.

La plusvalenza dell’investimento esige tempi stretti e veloci, anziché tempi lunghi.

Ne consegue che il capitale non è più destinato all’investimento vero, ma solo alla speculazione che è in grado di produrre risultati in tempi rapidi; ma, pure, perdite ingenti che possono innescare crisi recessive imponenti.

Per convincersi di ciò basta osservare l’andamento delle borse occidentali che sono solite invertire il proprio ciclo intraday sulla base dell’apertura di Wall Street.

Perciò si procede non basandosi sui fondamentali, bensì sull’emotività giornaliera.

Il capitale non è più un bene materiale necessario allo sviluppo, ma un mezzo artificioso di creare ricchezza virtuale.

Il mercato americano è ciò che volenti o nolenti condiziona il mercato globalizzato.

La stessa Cina, pur con il suo Pil positivo a due cifre, ha come maggiore cliente proprio gli U.S.A. Non solo: il suo risparmio è stato attratto dal sistema finanziario degli States per la rendita maggiore che poteva offrire; e, strano a dirsi, è stato “bruciato” nel consumismo.

Il $ ha perso terreno rispetto all’, ma tra poco potrebbe tornare a invertire la propria marcia. Basti pensare all’andamento altalenante del suo corso in questo ultimo anno.

L’aumento delle materie prime, causato più dalla speculazione sui Future che sul reale aumento del prezzo dovuto a un lieve aumento dei consumi, porterà con sé una ripresa progressiva dell’inflazione e perciò pure dei tassi. I quali moltiplicheranno i costi finanziari arrecando ulteriore inflazione.

La recessione porta, alla fine, sempre con sé il saldo del conto finale e non sarà indolore.

Non sono tra coloro[1] che intendono strutturalmente necessaria la speculazione, giustificandola a indispensabile calmiere del mercato.

Lo affermo convinto, come lo ho sempre sostenuto, pure ad alto livello, anche ultimamente.

La speculazione non è un investimento, ma solo una ricerca esasperata di un forte e facile guadagno. E molti prodotti oggi sul mercato, specie i Derivati (tutti), non aggiungono nulla all’utilità finanziaria e commerciale del rapporto economico globalizzato.

Sono prodotti che se va bene producono aleatori guadagni; e se va male pongono problemi a tutta la società internazionale. Sono patate bollenti che gli spericolati sociali si scambiano velocemente tra loro, nella convinzione che alla fine ci sarà il pollo a cui rimane in mano, che si scotterà e … perirà.

Ma spesso, come le grandi recessioni insegnano, a perderci sono poi tutti, anche se chi ha sempre la peggio è l’indifeso.

Speculare non è esattamente il sinonimo di investire.

E chi investe crede in qualcosa e persegue nel tempo il suo obbiettivo.

Chi specula ha una mentalità asociale basata sul proprio egocentrico individualismo: intende solo il suo interesse a scapito degli altri.

È difficile difendere la tesi che la trattazione di oltre 1,5 mld di barili di petrolio al giorno è calmierante al suo prezzo, quando alla società internazionale servono solo 85 ml al giorno. Esattamente: circa 1/20 di ciò che viene trattato.

Solo un pazzo acquisterebbe un prodotto che non sarebbe assolutamente in grado di smerciare, perciò di poter monetizzare rientrando dall’investimento. E se si moltiplica tale cifra per 365 g all’anno si ottiene una cifra … astronomica.

Ciò, tuttavia, è consentito non nel mercato reale, ma solo in quello virtuale.

Si scambia la realtà per la virtualità: l’esistente per l’immaginario.

Perché se la speculazione avesse la sua reale utilità finanziaria, così come viene praticata oggi, allora sarebbe utile moltiplicarla all’ennesima potenza.

La stessa cosa avviene nel mercato mobiliare tradizionale quando viene consentita la vendita allo scoperto, oppure quando si concede la leva sulla speculazione a percentuali impensabili: 1 a 700, con punte che possono arrivare anche a 1 a 5.000.

In questo modo si disincentiva non solo l’investimento di chi realmente ha a disposizione il capitale reale, ma si arreca danno allo stesso “valore reale trattato, perché questo non si basa più sui fondamentali, ma solo sulla quantità della domanda e dell’offerta tanto a salire quanto a scendere (spinta rialzista o ribassista). Il “bene di per sé stesso in pratica potrebbe anche non esistere, come in tanti casi avviene.

Il risparmio reale diventa strutturalmente ininfluente, soppiantato dall’aleatorio indebitamento virtuale.

Vi è, pertanto, la necessità che gli Stati (alcuni dei quali, come l’Italia) propongano questa linea di fermezza e si accordino per stabilire non una lex operativa, ma uno ius regolativo.

Diversamente, senza una direttiva condivisa, il mercato finanziario andrà sempre alla deriva, creando ciclicamente i suoi guasti.

Quest’anno il Pil di molte nazioni è sceso a livelli preoccupanti: il -6% all’incirca nei maggiori paesi occidentali.

La disoccupazione ora sta mostrando i suoi valori reali e non è detto che abbia raggiunto il suo apice del 10% circa, giacché molte aziende non reggono più il mercato e sono costrette o a chiudere o a fallire.

La ripresa sarà molto lenta e ci vorranno anni prima che il Pil attuale perso sia recuperato. Similmente il sistema produttivo ha bisogno di una profonda ristrutturazione e ridimensionamento.

Infatti, come sono inconcepibili 1,5 mld di barili di petrolio, è ovvio che non si potrà continuare all’infinito a produrre beni (auto e altro) che il mercato non potrà assolutamente assorbire, neppure con incentivazioni infinite.

La recessione, anche per chi meno l’ha subita, porterà inevitabilmente con sé un cambiamento nella società. Impone un ridimensionamento e non una continua infinita espansione.

Questa è la sfida che ci attende; da risolvere e vincere se tra poco non si vorrà cadere ancor più di prima.

E la prima sfida è quella di stabilire uno Ius condiviso in grado non di impedire, ma di regolarizzare[2] un mercato senza regole e freni inibitori.




[1] - A. Alesina, F. Giavazzi – La crisi. 2008

[2] - Dare delle regole operative e non nel senso di impedire.