domenica 13 dicembre 2009

Le tre gravi e imponenti crisi infinite: la crisi politica.

La crisi politica.

Gli uomini fanno la politica; ma se questi perdono l’orizzonte del loro procedere la politica va in crisi.

L’orizzonte non è il fine perseguibile, ma il progetto in cui crede la società. E il credere è ciò che dà convinzione e produce l’energia per raggiungere l’obbiettivo.

L’orizzonte deve essere definito e sempre perfezionato; perché è il naturale sviluppo culturale della volontà umana di migliorare e aggiornare il proprio sistema sociale di convivenza nella pace, nell’uguaglianza nella diversità e nella laboriosità, fondato sul progresso del dare a tutti una decorosa possibilità di vita.

La globalizzazione ha prodotto l’annullamento virtuale dei confini nazionali e le grandi potenze, U.S.A. in primis, hanno pensato bene di esportare il loro modello sociale anche altrove, specie là dove l’interesse proprio le portava.

Prima la Russia ed ora la Nato si sono infognati in Afganistan, e altrove, con motivi politici non proprio comprensibili.

Non volendo chiudere le proprie frontiere si è pensato bene di cercare di controllare il territorio altrui. Ci si è dimenticati che non serve avere il controllo dei sassi, come nelle guerre dei secoli scorsi, bensì quello delle persone. E le persone non sono le stesse di quelle dei secoli scorsi, anche in un paese che può essere considerato tuttora terzomondista.

Controllare l’Afganistan, paese dalle centinaia di etnie, è un problema titanico e lo si può ottenere solo in un modo: distruggere materialmente l’avversario con armi tattiche. Però manca la volontà politica per via del consenso nazionale interno e internazionale in generale.

Portare centinaia di migliaia di uomini laggiù ha un costo talmente elevato (in morti e in denaro) che non servirà a molto; come non servirà a molto costruire e ammodernare un paese che vive culturalmente in un mondo arcaico, perché per attuare in modo proficuo un simile progetto politico e culturale ci vogliono più generazioni e non alcuni anni solo.

Lo si potrà ammodernare, esteticamente, nelle città principali, ma non in periferia dove la “ribellione” cova il dissenso sulla volontà di vivere secondo leggi antiche, anche se per noi retrograde, basate su dei postulati religiosi islamici e su delle tradizioni tribali.

La geografia morfologica afgana è tale che ogni etnia è disgiunta dalle altre per naturali ostacoli territoriali, che sono resi spesso, specie in inverno, quasi insuperabili confini per la comunicazione e la cultura, isolando, di fatto, una tribù dall’altra.

L’islamismo non è un mondo omogeneo, come il cristianesimo, e la sua galassia ingloba migliaia di universi diversi, talora anche contrapposti.

Perché il problema non è tanto la religione stessa, bensì l’uso che i potentati vogliono farne di questa. Basta guardare all’Iran.

E, di norma, più la cultura sarà carente e superata da eventi internazionali, più l’integralismo e il fondamentalismo faranno presa nelle enclavi tradizionaliste, formattando quel becero odio e quell’innata indipendenza alle idee altrui (esterne) che esulano dal costruire un ordine mondiale, per rintanarsi nell’anarchismo tribale.

Se ne deduce che l’Afganistan sarà per gli occidentali un fallimento costosissimo e … annunciato, se si continuerà su questa falsariga.

Obama, nel suo innato populismo culturale, ha pure molti spunti positivi. Il problema suo è però quello di coniugare l’idea con l’esigenza, il pragmatismo con l’uguaglianza, l’economia con il bilancio, il progetto interessante con l’opportunità e, non ultima, l’esperienza sua con la diplomazia internazionale.

Insomma: un bel guazzabuglio intellettuale.

Perché chi motiva la guerra, facendo ricorso dialettico e giustificativo ad esperienze dei secoli scorsi, nate sulla base di ideologie totalitarie e completamente diverse, ammette solo d’essere incapace di concepire il tempo in cui siamo.

E finora non si sono visti dei risultati pratici se non di apparente maquillage ideologico. Al contrario ha innescato un’escalation militare preoccupante che coinvolge pure i principali paesi Nato.

Ciò, se mi è concesso, non è indice di lungimiranza, né di sano pragmatismo; bensì di confusione interna progettuale che è soggetta a spinte corporative e a tentativi poco convinti di risolvere a monte il problema.

I grandi cambiamenti epocali hanno bisogno di tempo e si evolvono per un progetto che, intuito da pochi, viene, poi, fatto comprendere e percepire a tutti.

Le idee per un nuovo mondo ci sono, ma hanno bisogno d’essere comprese dai politici per essere realizzate; ma se il politico è datato e ancorato al suo solo modo operativo di vedere è ovvio che, tale politico, sia di impedimento all’evolversi della società.

E, purtroppo, buona parte della classe politica (e religiosa) attuale non è molto adatta a comprendere ed a condurre un cambiamento epocale che coinvolga, soprattutto, dei principi e dei valori perfezionati, in un mondo dove l’etica ha perso il suo ruolo di guida intellettuale, soppiantata dall’economia e dalla finanza globalizzata preferibilmente selvaggia.

L’economia e la finanza sono necessarie all’evolversi del progresso umano; diventano un ingombro e un grande ostacolo quando la loro importanza assurge a valore quasi assoluto, vincolando il business del capitale, perciò il guadagno, a priorità incondizionata di sviluppo, specie se fondato sul debito.

Ciò comporta la preminenza dell’economia sulla persona. In pratica si asservisce l’uomo/persona ad oggetto del soggetto economia/finanza: il contingente sottoposto all’astratto.

I vertici religiosi e Obama si affidano a concetti idealistici che sono per lo più innegabilmente veri, perciò condivisibili. Tuttavia questi sono svincolati da quel sano pragmatismo operativo a cui, per non essere inutili, dovrebbero essere sempre affiancati.

Il Papa è la personificazione dell’idealismo. Ciò nonostante il suo essere “servito” lo pone in contrasto con l’essere “servitore”, creando di fatto quella disuguaglianza sociale e ecclesiale in grado di produrre il culto personalistico.

E analogo concetto vale per il vertice politico che si dichiara sempre garante e in difesa dei principi costituzionali, anche se questi principi, degenerando dal servizio al cittadino alla sua schiavizzazione, dovrebbero essere corretti e riformulati prontamente.

Ne consegue che il rapporto tra il vertice e la base si sgretoli, che la Chiesa perda in credibilità e in fedeli, che la religione new age assuma connotati di personalismo individualistico basato sulla propria sola coscienza (modo e interesse di vedere), che il Popolo di Dio si trasformi in comunità ghettizzante, che il populismo e il qualunquismo prendano continuamente piede tra gli sfiduciati e i delusi, che i Poteri dello Stato si scontrino tra loro cercando di assumere quei controlli che la stessa Costituzione, che vogliono a parole difendere, non concede loro affidandoli ad altri.

In Italia stiamo da tempo assistendo ad uno scontro pernicioso tra Magistratura ed Esecutivo, dove la prima, anziché essere l’interprete della Legge, si arroga il diritto di “fare” la legge, esautorando il Legislativo sia con deduzioni ideologiche di costituzionalità più o meno reali, sia ponendo anzitempo dei veti pesanti all’incedere del Parlamento.

La res publica diventa res privata corporativa, atta non solo a mantenere, ma anche ad ampliare il proprio ambito di competenza del potere, sostituendo il potere sovrano che vede il Popolo prim’attore con l’esprimere nel voto la propria insindacabile volontà.

Il concetto di Popolo tende ad essere soppiantato da quello di Comunità. Una comunità che si differenzia dal popolo perché ristretta e arroccata su propri interessi e idee che si scontrano con quelli di altre comunità.

Tutto ciò è l’incipit dicotomico non di una carenza culturale dell’idea democratica, bensì della fine della democrazia; per il semplice fatto che il concetto di maggioranza non è più subordinato al volere democratico del 50%+1 dei voti espressi, ma, unicamente, al proprio interesse di parte e quindi di comunità.

La comunità diventa più importante del popolo; perciò si astrae dal sentirsi popolo per far valere sulla maggioranza il proprio interesse. E, in questa (comunità), il personalismo assume quei connotati individualistici che rendono l’individuo egocentrico alla realtà, tanto nella società che nella Chiesa.

È il vizio e la tara dell’ideologia personalista, sia questa di matrice religiosa o agnostica o materialista.

Di norma si procede per autoreferenzialità, dove il soggetto interessato e in causa dichiara solennemente, davanti alla società la propria “verità” a valore assoluto.

I vari Presidenti declamano il loro valore e il loro giusto incedere traendo forza dal potere che detengono, i soggetti corporativi (industriali, politici e finanziari) la loro pretesa che precede nella società l’esigenza degli altri, e i vertici religiosi, infine, declamano il loro intendere quale verità trascendente loro affidata.

Questa autoreferenzialità, tuttavia, è assai relativistica; e diventa la “verità” altrui grazie al culto personalistico che fa del soggetto, posto al vertice del potere politico o religioso, un simbolo fenomenologico (il Totem) che trae la verità unicamente dal proprio relativismo contingente.

Siamo nella fenomenologia relativistica che, specie in campo religioso, intende, in questo modo assurdo, contrastare proprio il relativismo dilagante!

Ecco perché vi sono le diverse “verità” comunitarie che nascondono, tutte, l’interesse settoriale di chi le declama o le rappresenta.

Ciò porta alla semplice conclusione che il comune cittadino perderà del tutto la fiducia nel vertice piramidale, soverchiato dal populismo qualunquista che lo inebetisce.

Oggi si è prodotto il bipolarismo, credendo che fosse la risoluzione dei problemi dell’impalcatura vecchiotta della nostra Costituzione. Si è pure puntato sul bipartitismo e in parte si son ridotte le forze minori che creavano il cespuglio anarcoide parlamentare e governativo. Un bipartitismo, tuttavia, che ha assunto, in sostanza, più l’entità di un cartello elettorale invece di un vero e proprio partito.

Veltroni ha sbagliato tattica (e comprensione democratica) dando forza ad un piccolo partito qualunquista che, in questo modo, ha avuto la possibilità, grazie all’alleanza, di assurgere ad importanza numerica, attingendo tra gli scontenti e gli sfiduciati della sinistra.

Il bipolarismo, in verità, è collaudato in Italia dall’ultima guerra mondiale, anche se solo dagli anni ’90 in poi ha prodotto un vero bipolarismo che ha concesso l’alternanza tra maggioranza e opposizione. Le elezioni politiche avvenute da quel periodo in avanti hanno, infatti, finora sempre prodotto un’alternanza di governo.

Il bipolarismo maggioritario è ciò che attualmente garantisce una stabilità governativa, se visto come vero bipolarismo e non come cartello elettorale di comodo. Quello, per intenderci, attuato dai due tentativi fallimentari di Prodi.

Non è il miglior sistema democratico assoluto; ma lo è, attualmente, per poter ammodernare e risolvere a grande maggioranza (e non risicata) in modo veloce i problemi della nostra società.

Forse sarebbe migliore un bipolarismo secco, ma la storia non si fa con i se e con i ma.

Vi è poi il Centro, che latra come il cane che nella notte ha paura e riesce a reggere grazie a continue manovre, peraltro mal riuscite, che dovrebbero produrre un nuovo maquillage e una nuova strategia; ma, con le vecchie modalità, uomini e sistemi è difficile “credere” nel nuovo. Basti pensare alla politica dei due forni.

È, infatti, un agglomerato informe e disomogeneo, dove gli addetti (politici e parlamentari) vanno e vengono a loro piacimento, cercando di creare nuovi cespugli, di ricollocarsi nei campi limitrofi, di stringere oggi alleanze per stracciarle facilmente domani.

Il Centro può essere una grande alternativa e speranza futura, però non questo centro che sa unicamente di “centrino” e che si accontenta di un consenso elettorale da prefisso telefonico proveniente da settori nostalgici della vecchia area DC.

Per creare un Centro vero servono nuove idee, nuovi uomini e nuove strategie.

Serve, innanzitutto, un Uomo vero in grado di recepire le istanze della società, di farsi carico dei problemi, di mettersi al servizio di quell’utilità generale, il tanto declamato Bene comune, che oggi è personificato solo nell’interesse di alcuni.

Le idee ci sono; ma per “questi” esponenti politici, dediti da sempre alla carriera personale, sono non solo incomprensibili, ma, soprattutto, per loro emarginanti.

Il Politico si confronta con tutti e da tutti cerca di recepire l’istanza sociale. Molti degli attuali, invece, professano pubblicamente e con fierezza (sic!) la loro avversione (in alcuni casi l’odio) per altri, chiudendo anzitempo non solo la porta al colloquio, ma pure a quel confronto democratico in grado di perfezionare l’idea di tutti.

E quando uno afferma fieramente “Io con quello non parlo e non ho nulla a che fare” declama solo la propria inciviltà sociale, specie se si erge a paladino di valori cristiani o democratici.

La Sx si è frantumata per lo scadente risultato elettorale e, prima ancora, per il fallimento governativo che le ha tolto il consenso generale. La Dx si è invece ricompattata e amalgamata grazie a questo.

I problemi non sono comunque risolti e i malumori, tanto a sx quanto a dx, come al centro, sono continui, creando attriti e distinguo che esemplificano perfettamente la disconoscenza del concetto democratico e del ruolo sociale che compete alla maggioranza e all’opposizione, sia nella nazione che nel partito.

Si frantuma la società e la comunità in sponde contrapposte, dove ci si combatte senza creare ponti.

Siamo scampati alla depressione, ma i problemi che hanno creato la recessione sono ancora tutti sul tappeto.

Tremonti non è un mio idolo; ma all’uomo riconosco la ferrea volontà di procedere con attenzione e con rigore. Bravo!

Dubai e Grecia sono il campanello d’allarme dello spendere/scialacquare che assurge alla falsa nomea dell’investire nello sviluppo. Poi chi verrà? Facile prevederlo se la recessione continuerà a colpire forte e non vi sarà una rapida (improbabile) ripresa: Spagna, Portogallo, Irlanda …

Il vero sviluppo si basa sul risparmio! E quando si sentono ministri che propugnano spese aggiuntive, declamandosi economisti per il pezzo di carta avuto, allora viene da chiedersi cosa questi ci stiano a fare in un Consiglio dei Ministri.

La democrazia è l’accettare la decisione assunta collegialmente dall’organo esecutivo, sia che abbia deciso all’unanimità, sia che abbia deciso a maggioranza relativa.

La civiltà democratica impone il rispetto delle regole. E queste stabiliscono che tutti debbono portare il loro modo di vedere, ma poi l’accettare ciò che si è stabilito.

Esattamente l’opposto di quanto ora avviene, sia nel Governo, sia nel Parlamento, sia nella nazione.

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