Oggi, venne in visita da me Sesac; e mi consegnò
questo racconto che pubblico, come sempre, assai volentieri.
Tratta,
come consuetudine, della vita degli animali della foresta e dei fatti di un
tempo che fu.
Ogni
accostamento a fatti realmente avvenuti è puramente casuale.
Sam Cardell
Tratto da “i Dialoghi” di Sesac
La tentazione storica e speculativa.
Leone
non era al meglio da diverso tempo. Un continuo e diffuso tremore gli scuoteva
il corpo.
Perciò, dopo aver
rigovernato il pranzo, si sentì afflosciare: un pesante torpore lo colse, come
se non dormisse da molti giorni, e le forze svanivano.
Decise pertanto di
piantare il chiodo ai suoi impegni giornalieri e di coricarsi. Si addormentò
quasi all’istante; mentre Billyno, che
bramava andare assieme nell’orto, lo osservava sconsolato e deluso dalla sua
poltrona, sgranando desolato gli occhioni neri.
Leone
difficilmente sognava. Perlopiù, dormendo, il suo cervello lavorava preparando
relazioni o discorsi che gli sarebbero poi serviti più avanti, oppure
elaborando concezioni filosofiche, sociologiche o economiche.
Questa volta,
invece, ebbe un sogno, che tuttavia non lo turbò per niente, lasciandolo
indifferente.
La visione lo
proiettò a nove lustri addietro: si rivide giovane nella sua casa attuale, mentre
una donna gli faceva una visita inaspettata. La donna era Mary Grace.
Pure costei
appariva giovane. Con sé aveva una culla con una bambina di pochi mesi e un
uomo che la accompagnava, giovane pure lui. Leone non indagò su chi fosse
costui, perché proprio non gli interessava affatto appurarlo: consorte, parente
o semplice amico.
La donna gli
mostrò la bimba, appoggiando la culla sulla tavola, facendogli un discorso
pieno di sottintesi. In pratica che sua figlia, cui aveva dato il nome di
Alejandra, se le cose in precedenza fossero andate a lei diversamente, avrebbe
potuto avere come padre Leone.
Leone ebbe la
sensazione che costei gli sollecitasse in modo sottinteso un contributo. Al che
gli rispose, licenziandola subito: No tengo dinero.
Me despido.
Il sogno, su
questa sua affermazione, svanì.
Negli anni ’70,
Leone, dopo aver frequentato il Decio Celeri in quel di Lovere, era andato
nella città del Taurus per proseguire gli studi presso il Taurus Institute of Technology.
Là, lavorando e
studiando simultaneamente – infatti non erano anni di vacche grasse per lui –
conobbe per le sue mansioni di lavoro una splendida e intelligente rossina,
segretaria alla Osram. Tra i due sbocciò subito una particolare e reciproca simpatia
affettiva; perciò cominciarono a frequentarsi, e con l’andar del tempo a
programmare seriamente il loro futuro, appena Leone avesse completato l’università.
Dopo oltre un paio
d’anni di studi, però, Leone, nonostante l’ancor giovane età per quel ruolo, fu
chiamato (quasi obbligato per scelta) a ricoprire un incarico dirigenziale
presso il SIC (strategic investigation centre), venendo dirottato subito
all’Accademia, dove in breve completò gli studi, intraprendendone pure altri.
Data la
delicatezza del ruolo e il rischio che ciò comportava, Leone, dopo aver
soppesato per bene i pro e i contro, addivenne in cuor suo alla conclusione che
per il momento era meglio rinunciare a metter su famiglia. Ne parlò con l’amata
rossina e si stabilì che ci si sarebbe pensato più avanti a impegno concluso,
sciogliendo così la relazione con molto rincrescimento.
E fu proprio in
quel periodo che gli giunse una missiva di un’ex compagna di classe, che gli
voleva parlare.
Accettò, fissando
l’appuntamento al suo primo periodico rientro al borgo natio, cioè per l’Immacolata.
Mary Grace, da
tutti e in famiglia chiamata semplicemente Grace, era una ragazza normale,
ultima d’una numerosa nidiata: non molto alta, non bella ma comunque gradevole,
mora, capelli lisci e ondulati, mingherlina col naso aquilino, ginocchia sghimbesciate,
tristerella e di rado sorridente, moderatamente intelligente. Sapeva, volendo,
essere simpatica con chi entrava in sintonia. Era del segno della Vergine, nata
subito dopo la Natività di Maria.
Era, al Decio
Celeri, compagna di classe di Leone. Tra i due, nel tempo, era sorta una certa
simpatia: quell’infatuazione affettiva propria dei giovani della loro età.
Grace, secondo le
teorie di Leone, che già allora in materia non era un micco, era una che aveva
degli evidenti complessi, dovuti alla sua situazione familiare. Era, infatti,
orfana di madre da diversi anni.
La sua fobia più
evidente era il terrore per gli animali morti, specie se appartenenti a quella
specie di molluschi marini cefalopodi come le seppie. Temeva il laboratorio di
biologia; tanto che Leone, un giorno, per farle superare l’impatto la
costrinse di forza a stargli accanto mentre ne dissezionava una. Cosa che,
almeno per quello, gli tolse il complesso.
Il padre era un
tipo scorbutico e già anziano: alto, longilineo, stempiato, sciancato,
asciutto, tetro e scontroso di carattere.
Leone lo aveva
visto una volta, facendo una fugace visita a Grace con altri compagni di classe
dopo una gita in montagna. Nonostante il saluto rivoltogli dalla compagnia,
costui se ne stette accigliato sulla sua sdraio senza proferire parola, mentre
questi sorbivano il tè che Grace aveva offerto loro.
Era un collega di
mastro Geppetto; ma, a differenza di questi, si era industrializzato, sfornando
ben sei pinocchi e, alla fine, pure due pinocchiette. Nulla di strano, perciò,
se la moglie se n’era andata … a miglior vita.
Sicché, oltre a
lavorare il legno, doveva essere particolarmente portato a ciurlare … col
manico.
La famiglia
apparteneva al clan dei mariuoli,
che traeva, secondo la nomea popolare, la propria origine dalla deportazione di
quei condannati spagnoli ai lavori forzati, confinati secoli prima in
Valcamonica a lavorare nelle fucine di ferro, numerose nella valle, specie a
Bienno e dintorni.
Abitavano nel
centro storico di Esine, borgo sgarrupato a quel tempo, dove pure il sole
faticava a entrarci d’estate. Pareva un accumulo disordinato di masi, addossati
l’un l’altro e serviti da strette viuzze, spesso sormontate da bui archi e
porticati, sotto i quali apparivano ancora alcune concimaie.
I locali
chiamavano in dialetto camuno il borgo Éden, anche se l’accostamento a quello
della Genesi era una spropositata diaclasi linguistica.
Leone, col frutto
del suo lavoro, prima aveva aiutato la propria famiglia e poi s’era comprato in
primavera una bella e potente auto: una Ford Mexico Ghia 1.750 blu con doppio
carburatore, tetto in vinile, naso di Knudsen, consolle in radica, fornita di
tutti quei confort che allora erano disponibili per una vettura di rango.
Perciò, un sabato,
con quella si recò all’appuntamento, imboccando a fatica, intorno alle quattordici,
a dx la viuzza che precedeva la piazza del paese, passandoci a stento.
Grace lo stava già
aspettando, bardata e agghindata di tutto punto. E mentre lui con diverse
manovre girava l’auto in uno spiazzo angusto, lei scese e salì in auto.
Su richiesta di
Leone, Grace manifestò il desiderio di risalire la valle. Leone, puntò quindi
verso il Tonale, dove avrebbero preso un caffè prima di rientrare.
Mentre guidava
Leone osservava Grace e si chiedeva il cui prodest, subodorando una sorpresa.
S’era messa un
elegante tailleur nero con sotto una fine camicetta bianca in pizzo, sbottonata
in alto in modo di esaltare con l’apparente scollatura il piccolo seno. Con capelli
appena fatti e con vezzosi riccioli finali che lambivano il collo e le spalle. Profumata,
ben truccata e con aspetto sorridente e giulivo, proprio di chi intende
ottenere qualcosa. Si comportava e parlava come se fossero una coppia da tempo
affiatata. Mai a Leone era capitato di vederla così.
Cominciò a dire
che in casa aveva un grosso problema: il padre s’era accasato da poco con
un’insegnante in pensione conosciuta a un soggiorno marino; donna che,
ovviamente, intendeva comandarla a tutto spiano. Perciò, pure lei, voleva
accasarsi velocemente, perché tra loro non vi era feeling, ma solo astio
reciproco. Disse pure ch’era disposta a lasciare il borgo anche per una grande
città, dove avrebbe potuto continuare gli studi universitari in economia o
intraprenderne altri, visto che la scelta fatta non la soddisfaceva.
Dal discorso fatto
e dalle allusioni Leone capì in fretta che il candidato era lui, ma finse di
non capire più di tanto. Tuttavia si domandava dove mai fosse finito il
rapporto di Grace col suo moroso storico, figlio d’una tabaccaia vedova.
Leone, molto
esperto di psicologia già al liceo, era stato spesso il confidente, il
confessore e il consigliere di varie ragazze della sua classe, che s’erano
rivolte a lui per superare certe loro problematiche giovanili, sia sentimentali
che familiari. Ovviamente nella massima discrezione.
Forte di quel
ruolo che Grace conosceva, ma di cui non s’era mai avvalsa, Leone decise di
rivestire ancora quei panni, ignorando, di fatto, l’esplicita richiesta che
costei gli avanzava.
Leone, infatti,
spesso evitava l’ostacolo che gli si parava davanti, in pratica
disconoscendolo. Era come se non capisse, ma in realtà andava oltre per vedere
come e per quanto, ancora, il soggetto si sarebbe spinto.
Consigliò,
pertanto, a Grace pazienza nei rapporti familiari, che forse si sarebbero
appianati. Inoltre che a intraprendere la vita coniugale così d’acchito poteva
essere un surrogato momentaneo, magari capace di generare in seguito
problematiche maggiori.
La giornata era
piovosa, ma fuori la temperatura era prossima allo zero.
Grace disse di sentire
caldo in auto. Perciò si tolse la giacca del tailleur, sistemandola sul sedile
posteriore, continuando con fervore a sostenere la propria idea.
La camicetta
trasparente di pizzo le fasciava bene il corpo, esaltandone le forme e valorizzando
le braccia e tutta la pelle. Sotto, infatti, portava il solo reggiseno.
Giunti nei pressi
di Edolo, a Leone parve che cominciasse a innervosirsi, considerato che il suo
progetto non faceva molti passi avanti. Leone, infatti, la scrutava
attentamente solo con la coda dell’occhio senza che costei se n’avvedesse, tenendo
gli occhi ben fissi sulla strada.
Decise perciò di
procedere in altro modo, temendo che un discorso palese fosse rifiutato e
desiderando che la guardasse bene mentre gli parlava.
Perciò chiese a
Leone se intendesse guidare tutto il pomeriggio e se non fosse il caso di
fermarsi un po’ a riposare. Leone rispose che gli pareva che la meta fosse il
Tonale per un caffè. Comunque, se lo gradiva, non aveva nulla in contrario a
fermarsi.
Là dove il
torrente Rabbia confluisce nell’Oglio, le piene alluvionali avevano depositato
molta ghiaia, che l’Anas provvedeva sistematicamente a usare come sbarramento
per proteggere la strada, creando anche un ampio spiazzo da poter usare come
parcheggio. Proprio là Leone accostò, posizionandosi discosto dalla strada e con
il muso dell’auto rivolto verso la foce del Rabbia.
Fuori faceva
freddo; ne conseguì che senza la ventilazione del moto i vetri termici
dell’auto in breve si appannassero, oscurandosi come se vi fossero state messe
delle tendine.
Grace continuava
nella sua perorazione guardando bene in faccia Leone, che in cuor suo la
osservava divertito pur restando col viso imperturbabile, come se la cosa non
lo riguardasse.
Poi, quasi
stremata, si acquietò, guardando il fiume per alcuni istanti. Fu proprio allora
che Leone ebbe la certezza che avrebbe messo in atto il suo ultimo tentativo,
l’unico che le era rimasto. L’arma atomica di Eva: la seduzione.
Ruppe il silenzio
girandosi verso Leone, chiedendogli se l’auto aveva i sedili reclinabili. Cosa
non scontata per le auto, pure di classe superiore a quel tempo.
Leone affermò di
sì; e senza aspettare la sua richiesta le disse che sul lato esterno del
sedile vi era una leva. Bastava tirarla leggermente verso l’alto e poi
inclinare il sedile nella posizione desiderata.
Grace armeggiò per
un po’, ma non vi riuscì, chiedendo, indi, aiuto a Leone. Lui allungò il
braccio dietro il sedile passeggero, onde evitare di doverle passare davanti e
sfiorarla. Tuttavia non ci riuscì perché la manovra era difficoltosa in quel
modo. Perciò, scese dall’auto, vi girò attorno, aprì la portiera del passeggero
e sbloccò la leva, ripetendo poi il percorso inverso per risalirci.
Grace distese il
sedile, vi si adagiò e stette in silenzio per un po’ con lo sguardo fisso al
soffitto dell’auto; mentre Leone, divertito e imperturbabile nello stesso
tempo, la scrutava.
Si girò infine
verso di lui, aprì ulteriormente la camicetta con movimento lento e con lo
sguardo e la mimica lo invitò a piegarsi su di lei per abbracciarla e baciarla.
Leone,
imperturbabile e in silenzio continuò a fissarla negli occhi, finché costei ebbe
un gesto di stizza. Si eresse di scatto e in modo concitato e rabbioso così lo
apostrofò: ¿Me has tomado quizás por una puta? ¿Pero tú, no te dejas nunca ir?
No! - rispose seccamente ma in modo
fermo Leone - Per il resto hai detto tutto tu, io
non ho detto nulla. Credo che tu ora voglia tornare a casa.
Grace non aggiunse
nulla, raddrizzò il sedile, abbottonò la camicetta, indi prese la giacca del
tailleur e se la mise.
Leone aspettò che
si fosse sistemata. Quindi accese il motore e partì per riportarla a casa.
Tre mesi dopo
Grace fu per una settimana in viaggio di nozze nel paese dove si producono i
Cucù. Ne approfittò per inviargli una cartolina al giorno. Non si sa se per
rivalsa, per dirgli addio o per fargli …
cucù.
Appena il sogno
svanì, Leone elaborò subito il fatto collegandolo al passato, dicendosi, mentre
dormiva: ma guarda cosa oggi vado a sognare. Devo proprio essere rimbischerito
con l’età.
Non aveva neppure
finito di dirselo che, continuando a dormire, sentì una voce familiare,
iniziando con questa un colloquio.
“ D: Ciao Leo. Dimmi, ti è garbato rivedere
Mary Grace?
L: Senti, Buon Dio, questo,
sicuramente, è stato un Tuo scherzo da … prete.
D: Ma no, Leo. È il maligno che ti tenta, proprio come un tempo
tentò il Mio fedele Giobbe.
L: Sicuramente accenni a Giob.
1,7-12.
Beh, sai che Ti dico? Che se le cose stanno così, scusami l’espressione,
Tu e il maligno siete come culo e camicia.
D: Dai, Leo, non essere così drastico. Dopotutto non abboccasti
anni fa e non ti sei scomposto pure ora.
L: In effetti sai benissimo che neppure Tu saresti in grado di
farmi fare ciò che non voglio.
D: Purtroppo lo so. Tu hai il vizio di leggere solo sul tuo
libro, perciò ti comporti di conseguenza e segui imperterrito la tua strada. Lo
dice sempre pure la Leonessa.
L: Senti chi parla. Tu, scusa, su quale libro leggi: sul mio,
sul Tuo o su quello di Pincopallino? Poi, in ciò, la Leonessa non fa testo.
Questo è poco ma sicuro.
D: Senti, vorrei parlare un po’ con te della tentazione. Credo
che tu sia qualificato a farlo, considerati i tuoi trascorsi in materia.
L: Beh, mi pare sia inesatto. Credo che più che essere tentato
io sia stato spettatore di ciò.
D: Non sempre Leo; almeno una volta sei stato coinvolto con
pulsioni incontrollate, anche se per pochi istanti. Sai, ti scrutavo da lassù
quando Nassi, ufficiale russo aggregata al tuo gruppo per l’occasione, ti si propose senza veli nella tua suite. Ti
ricordi di lei su nell’Essex, quando ti
disse “Je suis prête!”.
L: Certo che me la ricordo, e pure con piacere. Era una
splendida donna e amabile walchiria. Come lei ne ho viste poche in giro. Al suo
confronto Grace apparirebbe come uno sgorbio di natura.
Ma Tu, che fai lassù? Il guardone?
D: Vedo che mi hai … pagato.
Su, procediamo. Ora parlami della tentazione: quella di un tempo
e quella del sogno, perché mi paiono in connessione.
L: Certo che lo sono. Se non ci fosse stata la prima, la seconda
non sarebbe esistita.
Innanzitutto credo che la storia del maligno che tenta l’uomo
sia assai discutibile. Personalmente la lascio al Tuo tunghina bianca che lo
cita a ogni piè sospinto. Beato lui che ci crede.
Io ritengo che la tentazione sia lo stimolo e la reazione, nello
stesso tempo, che avviene nella testa dell’uomo. È generata da aspettative, da
problematiche e da progetti.
Prendiamo il caso di Grace.
Io da poco avevo lasciato la bella e amata rossina, costretto
dai possibili rischi che la mia nuova mansione comportava. Perché l’amore
implica anche l’evitare ad altri i propri rischi.
E che avviene? Che Grace, ignorando tutto ciò, ha un suo
progetto da realizzare, più o meno forzata dagli eventi. Perciò si guarda in
giro per trovare la scelta migliore. In ciò non trovo nulla di disdicevole; semmai
di discutibile.
Ti ricordi di quel tale, meticcio arabo, soprannominato Ar Mandù
la faina? Ebbene, quello adocchiava ragazze, come molti altri, magari anche
seriamente. Una di queste non lo degnava affatto, perché tutta intenta col
curato. Poi succede che resta incinta e allora che ti fa visto che il prete non
la può sposare? Fa dei sorrisini all’Ar Mandù e accetta il suo invito. Gli si
concede e dal petting si arriva al coito.
Quello si esalta e si sente un dongiovanni; ma pochi giorni dopo
la tipa gli comunica che è rimasta incinta. Dal curato? No di certo: da lui.
Risultato: matrimonio frettoloso e padre … putativo.
E questa sarebbe la tentazione storica che è diversa dalla
tentazione speculativa. Un po’ come avviene col venerdì storico e col venerdì
speculativo.
D: Credo di capire ciò che intendi dire: che, ad esempio, tu e Ar
Mandù abbiate avuto una tentazione storica, generata da una tentazione
speculativa.
L: Bravo! Hai capito benissimo.
Per essere più esplicito: se la mia esperienza con Grace è una
tentazione storica, il sogno che ho ora avuto è una tentazione speculativa.
Nella prima c’è l’evento storico, nella seconda il possibile
risultato, quindi il fine. In pratica il sogno mi fa vedere il possibile fine
all’esecuzione del primo: l’avere dei figli e una famiglia. Un’aspettativa
umana comprensibile.
D: Dalla quale, però, tu ti sei sempre astenuto, sposandoti
tardi.
L: Ti dirò, col senno di poi, che in effetti oggi il non avere
figli è una grazia di dio – concedimi l’espressione – con tutte le
problematiche oggi esistenti.
Non so se fu bene o male per me. Di certo fu che i fatti della
vita mi portarono a fare determinate scelte, di cui sono appagato. Magari
sarebbe stato molto meglio se mi fossi sposato presto, ma con i se e con i ma
non si fa la storia.
D: Già. Infatti la possibilità è un’eventualità e non una
realtà. L’atto speculativo non sempre dà i risultati voluti, anche se ci si
mette tutto l’impegno possibile. Troppe varianti interagiscono poi. Non c’è
forse il proverbio che tra il dire (progettare) e il fare (realizzare) c’è di
mezzo il mare?
L: Infatti è così.
La sessualità può essere una delle tentazioni, ma ogni cosa
nella vita può essere considerata tentazione. Diventa tale quando non si fa analisi speculativa.
Ti faccio un esempio: vedo una fetta di salame e la bocca mi
crea acquolina. Subisco la tentazione se la mangio, soddisfacendo le
aspettative della bocca. Ci resisto se faccio analisi speculativa e se
considero che non tutto ciò che è gradito alla bocca è benaccetto pure allo
stomaco.
Subisco la tentazione speculativa quando, ideato un progetto, lo
perseguo per il fine primario che mi sono proposto, pensando che ciò porti alla
realizzazione di me stesso.
D: Sai, Leo, non mi è troppo chiaro. Elucubra meglio.
L: Scusa, ma Tu stai ancora sul pinnacolo del tempio?
D: Perché mi fai questa domanda. Certo che no!
L: Per collegarmi alle Tue tentazioni: Mt. 4,1-11; Mc. 1,12-13; Lc. 4,1-13.
Tu, come le hai superate?
D: Mi pare semplice: facendo analisi speculativa, perciò
anteponendo il risultato reale all’aspettativa immediata prospettatami. In
questo siamo molto simili, Leo.
L: Bene. A questo punto torniamo all’esempio di Grace, facendo
analisi speculativa; perciò analizzando sia la tentazione storica sia la
tentazione speculativa.
Ipotizzando che fosse in buona fede il risultato dell’analisi è
questo: in primis Grace vuole iniziare un rapporto affettivo, nonostante che
tra noi non ci sia mai stato un candido bacio o un semplice abbraccio. In
secundis che nell’offrirsi vuole provare piacere e goderne. In terzis che per
superare le sue problematiche in famiglia vuole crearsene una propria.
D: Vero. Il ragionamento mi pare azzeccato. Procedi.
L: Ora, sempre analizzando il suo tentare ed esserne
simultaneamente tentata – perché è chiaro che la sua sia una premeditazione di
superare le tre problematiche in essere: primis, secundis, terzis – pur
considerando l’impellenza degli eventi (i problemi con la matrigna e anche con
il padre), è il quid delle scelte che può arrecare molta perplessità, forse troppa, anche se non conosco la
procedura che l’ha portata a formulare ciò.
In sostanza: questa era l’unica possibilità che aveva per
superare il problema? Perché, poi, tanta fretta? Qual era la causale del
puntare innanzitutto su me, visto che poi a breve si coniugò con un altro?
D: Beh, mi pare logico che i dubbi fossero palesi e molto
evidenti.
L: Dopo aver considerato l’analisi in buona fede, proviamo a
vedere quella dell’eventuale malafede.
Qua abbiamo un racconto sugli eventi del padre che non quadrano
molto, anche se possono essere stati reali.
Il padre, secondo me, era uno scorbutico. In pratica uno a cui è
meglio stargli alla larga. L’eventuale nuova moglie, specie se ex insegnante,
aveva sicuramente una pensione decorosa. Chi glielo faceva fare di sposarsi con
uno così, che tra l’altro non era un adone, per andare a vivere in una realtà
sgarrupata? O forse era una con poco cervello, morta di fame e ancora in
calore?
Altro quesito: vi era una motivazione celata da coprire dietro
la decisione di Grace, da imporgli tanta fretta? Alejandra?
D: Dimmi Leo: per uno come te, specie allora, sarebbe stato uno
scherzo appurare la verità. Lo hai mai fatto?
L: No, Buon Dio, e per un motivo molto preciso.
D: Cioè?
L: Mi pare semplice: le mie scelte erano molto diverse dalle
aspettative di Grace. Infatti, mentre mi parlava, io mi sentivo molto lontano
dal suo modo di essere, dal suo mondo e dai suoi problemi, totalmente
indifferente. Il mio non era un mondo migliore, uguale o peggiore del suo; era
solo un mondo estremamente diverso, non però contrapposto. Era semplicemente un
altro modo di vedere e di vivere la vita, sia nel costruirla sia nel
programmarla.
Riducendo tutto a un nocciolo: non si costruisce una famiglia in
quel modo, se non vuoi poi naufragare interiormente e subirne le conseguenze,
anche se ti va comunque da … culo.
D: Questo mi è sempre stato chiaro. Capisco che Grace, in quel
modo, si giocò tutte le sue già scarse possibilità d’avere successo con te.
Di sicuro tu non dai mai nulla per scontato, sia che lo veda sia
che ti sia detto. Analizzi sempre tutto.
L: Mi pare il minimo che uno possa fare. Ricordi ol Paulì?
Quand’ero giovincello e lo accompagnavo in montagna mi diceva spesso: “Ragazzo,
ascolta me: credi sempre a metà di quel che vedi e a nulla di quel che senti!”
D: Il vecchio Paulì era un saggio, questo è poco ma sicuro.
Ma come hai vissuto la tentazione?
L: Da spettatore, Buon Dio. Sicuramente né come attore, né come
comparsa.
Ora lasciami dormire. Ne ho bisogno.”
Dopo
molto Leone si svegliò. Erano già le diciassette.
Aprì
gli occhi e vide che vi era luce nella stanza; poi guardò oltre la porta e vide
altra luce venire dalla veranda. Pensò d’acchito che Madame si fosse alzata
prima di lui.
Infine
si rammentò che s’era coricato dopo pranzo, pertanto ch’era sera e non mattino.
Perciò si disse: Leo, sei proprio tutto fuso!
Si
alzò e Billyno gli corse incontro. Leone capì che voleva, perciò salì per un
po’ nell’orto con lui.
Sesac