martedì 27 dicembre 2016

Un governo di … gentiloni.



Venti punti di differenza tra i Sì e i No fanno il 50% in più. Perciò, come avevo previsto, Renzi ha preso atto della sonora batosta e ha lasciato (costretto dall’evidenza) il Governo.
Abbandonata l’abituale arroganza, nell’ammettere la sconfitta, ha piagnucolato come i bimbi cui è stato sottratto per castigo il giocattolo preferito. È già positivo che abbia ringraziato l’Agnese e non la Maria Elena.
A chi dice che è stato coerente con le sue dichiarazioni precedenti, vorrei semplicemente ricordare che alle esternazioni sul dimettersi aveva aggiunto, sempre, pure quella del suo ritiro dalla politica. Ciò non è avvenuto perché in vita sua ha fatto solo politica e di quella finora ha vissuto.
Per la verità non fu il solo a fare questa dichiarazione, ma pure altri del suo cerchio magico autoreferenziale. Vedi ad esempio la Boschi che, celando la bugia e le magagne giudiziarie familiari sotto la lunga chioma, ha proseguito la scalata sociale fino alla vicepresidenza del governo.
 
È nato, per gentile concessione del Presidente Mattarella, il Governo Gentiloni, che molti media hanno definito il governo copia e incolla.
Come si sa il suffisso “oni” è un degenerativo peggiorativo dell’articolo o sostantivo usato. Infatti, si può notare la grande … disponibilità e dedizione sociale al bene comune dei membri del “neonato” governo, nonostante l’eclatante bocciatura referendaria.
Più gentiloni di così … si muore.
Gentiloni non è Renzi. Ascoltando il suo discorso alla Camera, ho apprezzato la sua brevità, pacatezza e sobrietà dialettica, sinonimi di certa precarietà. Sicuramente è conscio, meglio di tutti, che il suo destino è strettamente legato alla resa dei conti in casa Pd.
Nella pratica: tirém a campà in attesa degli eventi.
 
Secondo Mattarella – ritengo – non si potevano sciogliere le Camere e andare a elezioni anticipate senza una Legge elettorale. Strano a dirsi, però, una legge elettorale esiste, perché la Corte costituzionale ha rettificato solo in parte la legge precedente; e l’attuale Italicum non viene analizzato sino al 24 Gennaio.
Se l’Italicum renziano pare non sia più attuabile in base al risultato referendario, varrebbe la pena chiedersi perché mai il Presidente lo firmò, rigettandolo nella pratica ora.
Ovviamente non sono Mattarella. Avrei però optato per una linea diversa, dando un mandato esplorativo a Bersani, l’unico che è stato votato come candidato premier dalla maggioranza relativa degli italiani. Fallendo lui si rimandava alle Camere Renzi; e se non otteneva il necessario voto di fiducia si scioglievano le Camere, lasciandolo in carica, come governo dimissionario, fino alle elezioni.
Mettere un nuovo premier e avere lo stesso governo è solo un’operazione di maquillage per gli illusi.
D’altronde Mattarella non è figlio elettivo di Renzi?
 
Il Governo italiano è un Governo parlamentare. Ciò significa che deve avere l’approvazione delle Camere.
Però, negli ultimi tempi, si è avuta una degenerazione procedurale, perché gli ultimi governi non sono stati governi parlamentari, ma solo governi del presidente, rettisi più o meno lungamente solo sui continui e ridondanti voti di fiducia.
Tutto ciò esplica chiaramente il fallimento della politica e l’usurpazione di regime democratico di molti poteri.
I partiti sono in crisi evidente: nascono, crescono, si ridimensionano, si dividono e muoiono con estrema facilità. Il loro destino è tanto effimero quanto precario, basandosi sulle promesse elettorali e sulle aspettative che possono ingenerare nell’elettore. Costui, sentendosi poi tradito nelle promesse e nei fatti, sposta repentinamente il suo voto su altri, castigando l’affabulatore e sperando in un altro … affabulatore.
 
Partiti in crisi equivale a politica in crisi.
Cosa manca? Semplice: un disegno democratico sociale e soprattutto economico, perciò industriale. Con l’avvento dell’Ue, infatti, si è smantellato gradualmente tutto ciò che c’era, demandando gradualmente tutto alla lontana e distaccata centralità della Commissione europea. Cedendo sovranità si è ridotta in modo automatico pure la libertà.
Dal progetto economico industriale si è travisato nel progetto finanziario, come se l’economia potesse reggersi solo sul terziario.
Al cittadino è stato in pratica cambiato lo status esistenziale: da persona a numero.
Inevitabile che pure l’uomo politico attuale nasca privo e carente (incapace) di progettualità, che d'altronde non più gli compete, essendo demandata questa a una centralità fredda e lontana, esclusivamente finanziaria e poco umana.
Renzi è stato – e forse lo sarà ancora per un po’ – l’alfiere esecutore di questa progettualità, che sorge dall’Ue e dalla Bce.  Capace di fare il leone col proprio popolo e il coniglio con i poteri forti e decisionali attuali.
 
Da simbiologo ho sempre accostato Renzi – sintomatica l’assonanza dei nomi - a Cola di Rienzo (Rienzi alla romana: Nicola di Lorenzo Gabrini, 1313-1354), il tribuno romano capace di incantare il popolo con i suoi discorsi, salvo poi essere vittima fatale delle sue mancate promesse. Fu, infatti, linciato dalla folla.
Tuttavia non possiede la dialettica di Cola di Rienzo, ma esplica solo l’arroganza e la protervia, sinonimi della sua iattanza del potere. Dove la dialettica politica si tramuta in ciarleria, spesso denigratoria.
Entrambi nell’intento riformatori. Talora e spesso, come accade, pro domo mea.
Per Renzi, ad esempio, l’Italicum era la miglior legge elettorale di questo mondo, perciò intoccabile. Poi, poiché i sondaggi cominciavano a dare M5S come prima forza politica del paese, ha aperto alla possibilità di cambiare. Perché è ovvio: è perfetta se mi favorisce, è pessima se dà il potere ad altri.
Ora, pare puntare sul Mattarellum che con una grande ammucchiata di sx potrebbe reggere lo scontro con le altre forze politiche. Con quale risultato non si sa; ovviamente a scapito di quella subitanea governabilità che prima, con l’Italicum, tanto declamava necessaria.
La Storia, a molti, non ha mai insegnato nulla.
 
Nei paesi occidentali vige una regola non scritta: il politico che perde si ritira dalla politica. Lo abbiamo visto anche recentemente, anche se la sconfitta era decretata solo da una manciata di voti.
In Italia, ovviamente, no. Renzi lo ha tanto proclamato che alla fine se l’è pure … scordato, nonostante l’enorme divario del voto referendario.
Dopo aver fatto la riforma in Parlamento il suo governo doveva starsene fuori della competizione, rimanendo neutrale quale istituzione di tutti. È, invece, avvenuto il contrario, col demonizzare addirittura la parte avversa e pagandone poi lo scotto.
Trarne le conseguenze avrebbe dovuto essere inevitabile. Ovviamente non per Renzi e i renziani, che intendono ripartire da quel misero 40% di consensi ottenuti, ignorando che questo consenso è il frutto di una convergenza trasversale.
Tutti salgono sul carro del vincitore; poi scendono velocemente quando diventa un perdente sconfitto.
 
Il problema non è solo ai vertici, ma pure altrove, vedi Roma e Milano su tutte.
I politici chiamati al lavoro non dico risultino poi collusi con qualche mala faccenda, ma sono inefficaci nell’operare a determinati livelli.
Per lo più sono le giovani leve che si fanno avanti con disincantato perbenismo, sicuramente con tanto entusiasmo, ma pure con altrettanta incapacità, sia dovuta all’inesperienza, sia al progettare con precisione e lungimiranza il lavoro a cui il popolo li ha chiamati.
Per Renzi vale lo stesso discorso, perché da lui e dai suoi non ho mai sentito definire nel dettaglio i progetti a cui si accingevano. Risultato: han fatto i firma carte dei progetti altrui.
 
I giovani, per il cui futuro Renzi si “dannava”, sono stati i primi a votargli contro. Ciò significa che il futuro renziano non è quello a cui i giovani oggi aspirano.
Questo fatto è sintomatico di quanto sia grande la scollatura percettiva della politica verso la società reale.
Il cittadino e il giovane in particolare oggi chiedono Lavoro, non il posto fisso. Chiedono una vita decorosa e non infinita precarietà sulla loro pelle: quella dei voucher.
Con la precarietà una nazione agonizza, non vive.
 
È perciò chiaro che l’Italia con Renzi abbia “perso” tre anni.
Analizzando il lavoro del suo governo è evidente che l’Esecutivo ha remato dalla parte opposta delle aspettative popolari: la riforma costituzionale è stata “annientata” dal referendum, il Jobs act rischia con l’eventuale prossimo referendum di fare la stessa fine, la Legge elettorale è tutta da riscrivere, il Decreto sulle Popolari in S.p.A. parrebbe addirittura anticostituzionale. Su ciò si attende
Che resta?
Sicuramente le macerie del terremoto e le troppe tende ancora attive.
Un po’ poco per un governo che con la rottamazione voleva innovare la nazione, rottamando invece solamente sé stesso.
Una breve annotazione va riservata pure alla minoranza del Pd. Quella minoranza che era prima la maggioranza e che insipientemente e con somma ignavia ha consegnato il partito a Renzi, abdicando per la propria incapacità operativa.
Incapacità maggiormente evidente nell’esplicare la propria opposizione interna, ossequiente nei molteplici voti di fiducia.
Il solo D’Alema si è erto a custode della sua indipendenza politica, mettendoci faccia e dedizione.
Ne consegue che il Pd sia un partito allo sbando e destinato allo sbaraglio, se con Renzi ancora segretario, alle prossime politiche.
Se così avverrà è ovvio che il Popolo sovrano avrà rottamato definitivamente il … rottamatore.
E, forse con esso, sconfesserà pure le alte cariche istituzionali che ciò han permesso e voluto, unitamente a quella, lontana e centrale, della Commissione europea.
 
 

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