Venti punti di differenza tra i Sì e i No fanno il 50% in più. Perciò, come avevo previsto, Renzi ha preso atto della sonora batosta e ha lasciato (costretto dall’evidenza) il Governo.
Abbandonata
l’abituale arroganza, nell’ammettere la sconfitta, ha piagnucolato come i bimbi
cui è stato sottratto per castigo il giocattolo preferito. È già positivo che
abbia ringraziato l’Agnese e non la Maria Elena.
A chi
dice che è stato coerente con le sue dichiarazioni precedenti, vorrei semplicemente
ricordare che alle esternazioni sul dimettersi aveva aggiunto, sempre, pure
quella del suo ritiro dalla politica. Ciò non è avvenuto perché in vita sua ha
fatto solo politica e di quella finora ha vissuto.
Per la
verità non fu il solo a fare questa dichiarazione, ma pure altri del suo
cerchio magico autoreferenziale. Vedi ad esempio la Boschi che, celando la
bugia e le magagne giudiziarie familiari sotto la lunga chioma, ha proseguito
la scalata sociale fino alla vicepresidenza del governo.
È nato,
per gentile concessione del Presidente Mattarella, il Governo Gentiloni, che molti media hanno definito il governo copia e
incolla.
Come si
sa il suffisso “oni” è un degenerativo peggiorativo dell’articolo o sostantivo
usato. Infatti, si può notare la grande … disponibilità e dedizione sociale al
bene comune dei membri del “neonato” governo, nonostante l’eclatante bocciatura
referendaria.
Più gentiloni di così … si muore.
Gentiloni
non è Renzi. Ascoltando il suo discorso alla Camera, ho apprezzato la sua
brevità, pacatezza e sobrietà dialettica, sinonimi di certa precarietà.
Sicuramente è conscio, meglio di tutti, che il suo destino è strettamente
legato alla resa dei conti in casa Pd.
Nella
pratica: tirém a campà in attesa degli eventi.
Secondo
Mattarella – ritengo – non si potevano sciogliere le Camere e andare a elezioni
anticipate senza una Legge elettorale. Strano a dirsi, però, una legge
elettorale esiste, perché la Corte costituzionale ha rettificato solo in parte
la legge precedente; e l’attuale Italicum non viene analizzato sino al 24 Gennaio.
Se l’Italicum
renziano pare non sia più attuabile in base al risultato referendario, varrebbe
la pena chiedersi perché mai il Presidente lo firmò, rigettandolo nella pratica
ora.
Ovviamente
non sono Mattarella. Avrei però optato per una linea diversa, dando un mandato
esplorativo a Bersani, l’unico che è stato votato come candidato premier dalla
maggioranza relativa degli italiani. Fallendo lui si rimandava alle Camere
Renzi; e se non otteneva il necessario voto di fiducia si scioglievano le
Camere, lasciandolo in carica, come governo dimissionario, fino alle elezioni.
Mettere
un nuovo premier e avere lo stesso governo è solo un’operazione di maquillage
per gli illusi.
D’altronde
Mattarella non è figlio elettivo di Renzi?
Il
Governo italiano è un Governo parlamentare. Ciò significa che deve avere
l’approvazione delle Camere.
Però,
negli ultimi tempi, si è avuta una degenerazione procedurale, perché gli ultimi
governi non sono stati governi parlamentari, ma solo governi del presidente,
rettisi più o meno lungamente solo sui continui e ridondanti voti di fiducia.
Tutto
ciò esplica chiaramente il fallimento della politica e l’usurpazione di regime
democratico di molti poteri.
I
partiti sono in crisi evidente: nascono, crescono, si ridimensionano, si
dividono e muoiono con estrema facilità. Il loro destino è tanto effimero
quanto precario, basandosi sulle promesse elettorali e sulle aspettative che
possono ingenerare nell’elettore. Costui, sentendosi poi tradito nelle promesse
e nei fatti, sposta repentinamente il suo voto su altri, castigando
l’affabulatore e sperando in un altro … affabulatore.
Partiti
in crisi equivale a politica in crisi.
Cosa
manca? Semplice: un disegno democratico sociale e soprattutto economico, perciò
industriale. Con l’avvento dell’Ue, infatti, si è
smantellato gradualmente tutto ciò che c’era, demandando gradualmente tutto
alla lontana e distaccata centralità della Commissione europea. Cedendo
sovranità si è ridotta in modo automatico pure la libertà.
Dal
progetto economico industriale si è travisato nel progetto finanziario, come se
l’economia potesse reggersi solo sul terziario.
Al
cittadino è stato in pratica cambiato lo status esistenziale: da persona a numero.
Inevitabile
che pure l’uomo politico attuale nasca privo e carente (incapace) di
progettualità, che d'altronde non più gli compete, essendo demandata questa a
una centralità fredda e lontana, esclusivamente finanziaria e poco umana.
Renzi è
stato – e forse lo sarà ancora per un po’ – l’alfiere esecutore di questa
progettualità, che sorge dall’Ue e dalla Bce.
Capace di fare il leone col proprio popolo e il coniglio con i poteri
forti e decisionali attuali.
Da
simbiologo ho sempre accostato Renzi – sintomatica l’assonanza dei nomi - a Cola di Rienzo (Rienzi alla romana: Nicola di
Lorenzo Gabrini, 1313-1354), il tribuno romano capace
di incantare il popolo con i suoi discorsi, salvo poi essere vittima fatale
delle sue mancate promesse. Fu, infatti, linciato dalla folla.
Tuttavia
non possiede la dialettica di Cola di Rienzo, ma esplica solo l’arroganza e la
protervia, sinonimi della sua iattanza del potere. Dove la dialettica politica
si tramuta in ciarleria, spesso denigratoria.
Entrambi
nell’intento riformatori. Talora e spesso, come accade, pro domo mea.
Per
Renzi, ad esempio, l’Italicum era la miglior legge elettorale di questo mondo,
perciò intoccabile. Poi, poiché i sondaggi cominciavano a dare M5S come prima forza
politica del paese, ha aperto alla possibilità di cambiare. Perché è ovvio: è
perfetta se mi favorisce, è pessima se dà il potere ad altri.
Ora,
pare puntare sul Mattarellum che con una grande ammucchiata di sx potrebbe reggere lo scontro
con le altre forze politiche. Con quale risultato non si sa; ovviamente a
scapito di quella subitanea governabilità che prima, con l’Italicum, tanto
declamava necessaria.
La
Storia, a molti, non ha mai insegnato nulla.
Nei
paesi occidentali vige una regola non scritta: il politico che perde si ritira
dalla politica. Lo abbiamo visto anche recentemente, anche se la sconfitta era
decretata solo da una manciata di voti.
In
Italia, ovviamente, no. Renzi lo ha tanto proclamato che alla fine se l’è pure
… scordato, nonostante l’enorme divario del voto referendario.
Dopo
aver fatto la riforma in Parlamento il suo governo doveva starsene fuori della
competizione, rimanendo neutrale quale istituzione di tutti. È, invece,
avvenuto il contrario, col demonizzare addirittura la parte avversa e pagandone
poi lo scotto.
Trarne
le conseguenze avrebbe dovuto essere inevitabile. Ovviamente non per Renzi e i
renziani, che intendono ripartire da quel misero 40% di consensi ottenuti,
ignorando che questo consenso è il frutto di una convergenza trasversale.
Tutti
salgono sul carro del vincitore; poi scendono velocemente quando diventa un
perdente sconfitto.
Il
problema non è solo ai vertici, ma pure altrove, vedi Roma e Milano su tutte.
I
politici chiamati al lavoro non dico risultino poi collusi con qualche mala
faccenda, ma sono inefficaci nell’operare a determinati livelli.
Per lo
più sono le giovani leve che si fanno avanti con disincantato perbenismo,
sicuramente con tanto entusiasmo, ma pure con altrettanta incapacità, sia
dovuta all’inesperienza, sia al progettare con precisione e lungimiranza il
lavoro a cui il popolo li ha chiamati.
Per
Renzi vale lo stesso discorso, perché da lui e dai suoi non ho mai sentito
definire nel dettaglio i progetti a cui si accingevano. Risultato: han fatto i
firma carte dei progetti altrui.
I
giovani, per il cui futuro Renzi si “dannava”, sono stati i primi a votargli
contro. Ciò significa che il futuro renziano non è quello a cui i giovani oggi
aspirano.
Questo
fatto è sintomatico di quanto sia grande la scollatura percettiva della
politica verso la società reale.
Il
cittadino e il giovane in particolare oggi chiedono Lavoro, non il posto fisso.
Chiedono una vita decorosa e non infinita precarietà sulla loro pelle: quella
dei voucher.
Con la
precarietà una nazione agonizza, non vive.
È perciò
chiaro che l’Italia con Renzi abbia “perso” tre anni.
Analizzando
il lavoro del suo governo è evidente che l’Esecutivo ha remato dalla parte
opposta delle aspettative popolari: la riforma costituzionale è stata
“annientata” dal referendum, il Jobs act rischia con l’eventuale prossimo referendum
di fare la stessa fine, la Legge elettorale è tutta da riscrivere, il Decreto
sulle Popolari in S.p.A. parrebbe addirittura anticostituzionale. Su ciò si
attende
Che
resta?
Sicuramente
le macerie del terremoto e le troppe tende ancora attive.
Un po’
poco per un governo che con la rottamazione voleva innovare la nazione,
rottamando invece solamente sé stesso.
Una
breve annotazione va riservata pure alla minoranza del Pd. Quella minoranza che
era prima la maggioranza e che insipientemente e con somma ignavia ha consegnato
il partito a Renzi, abdicando per la propria incapacità operativa.
Incapacità
maggiormente evidente nell’esplicare la propria opposizione interna,
ossequiente nei molteplici voti di fiducia.
Il solo
D’Alema si è erto a custode della sua indipendenza politica, mettendoci faccia
e dedizione.
Ne
consegue che il Pd sia un partito allo sbando e destinato allo sbaraglio, se
con Renzi ancora segretario, alle prossime politiche.
Se così
avverrà è ovvio che il Popolo sovrano avrà rottamato definitivamente il …
rottamatore.
E, forse
con esso, sconfesserà pure le alte cariche istituzionali che ciò han permesso e
voluto, unitamente a quella, lontana e centrale, della Commissione europea.