La
società attuale più che degli ideali oggi cerca di perseguire delle aspettative
progettuali indefinite.
Parafrasando Hugo si potrebbe affermare che è come i
ciechi dei Miserabili, intenti ad appoggiarsi l’uno all’altro senza una meta
precisa definita.
La
religione cristiana ha perso i suoi connotati teologici da tempo, abbondonata
dalla maggioranza dei propri fedeli. È passata con noncuranza, nell’ultimo
mezzo secolo, dall’erudito Paolo VI al fenomenologico Giovanni Paolo II, indi
all’esperto di storia teologica (non teologo, ma custode dell’ortodossia)
Benedetto XVI e ora al “povero” (carente culturalmente) Francesco.
La
politica vaga allo stesso modo affidandosi di volta in volta a un ipotetico
cavaliere bianco, identificabile prima in Berlusconi, poi in Monti e ora in
Renzi. Chi sarà il prossimo?
Politica
e religione, paradossalmente, seguono con i propri alfieri un impoverimento
culturale parallelo e progressivo, teso a seppellire quella progettualità di Valori
che aveva reso storiograficamente importante il secolo scorso, pur con due
guerre mondiali.
Dicendola
tutta: l’eccellenza in questi campi manca e abbonda la mediocrità, quando non,
addirittura, la scarsità.
Il resto
del mondo non è molto meglio: da Obama a Hollande, dalla Merkel a Cameron.
Compresi i loro predecessori.
Perché,
benché all’Ue sia stato dato il Nobel per la Pace, le guerre che questi signori
hanno finanziato, fomentato, istigato e spesso combattuto dall’alto sono la
storia di questi nostri ultimi decenni e di ora.
Se da
una parte i politici di un tempo avevano un notevole spessore morale e un
ideale da perseguire, oggi si nota che di norma sono tanti signori quaquaraquà,
svelti in ciance e in promesse, spesso puttanieri, e bandierine al servizio d’interessi
che neppure di norma conoscono. Soffermandoci alla sola Italia basta vedere chi,
con l’avvento di Renzi, ha occupato poltrone importanti economicamente e non
politicamente, tanto per renderci conto di chi siano i finanziatori di un
esponente politico rampante e ruspante, come i bipedi pennuti nell’aia.
Costoro
sono oggi i grandi burattinai della politica, specializzati, ovviamente, a fare
gli interessi propri o del gruppo che rappresentano. Non per nulla i tre
italiani, International Advisor della Goldman Sachs, hanno occupato o occupano
posti di vertice in ambito politico ed economico.
Ora, giacché
alcuni ritengono che la guerra sia dentro l’Ue per gli atti di terrorismo, va
da sé che i giornalieri proclami di potenza immaginaria dei vari premier, o
capi di stato, siano magari veraci per i superprotetti, ma non per le decine o
centinaia di persone indifese che sono morte.
Le
guerre combattute direttamente o per procura fuori dall’Ue non sono
giustificative della causa di tutte le gravi stragi che hanno visto
protagonista la Francia ultimamente; e altrove, dei cittadini di vari stati
occidentali.
Sono
però sociologicamente un tassello importante del perché e del come ciò possa
avvenire. Perché è ovvio che sia riduttivo e pericoloso politicamente
accantonarli come semplici atti di pazzia di qualche disgraziato emarginato.
Un caso
singolo può essere anche un caso; due cominciano a porre qualche interrogativo.
Diversi non possono più essere considerati dei casi.
Infatti,
ora gli stessi politici fanno capire pubblicamente che il contagio fondamentalista
potrebbe diffondersi anche in altri stati dell’Ue.
Personalmente
ritengo che in Francia stia avvenendo una
nuova rivoluzione sociale, che trae origine da molti fattori passati e
presenti. I quali han dato da qualche tempo fuoco alle polveri con l’imponente
rivolta delle banlieue.
La
definirei così: “La Rivoluzione
francese: atto secondo”.
La
prima, come si sa, fu la rivolta dei più contro quei pochi privilegiati che da
secoli vessavano e riducevano il popolo alla fame e alla miseria.
Oggi,
invece, è la rivolta di pochi contro una società opulenta, che ghettizza e
sfrutta culturalmente, economicamente e socialmente una certa parte della
popolazione.
Sociologicamente
gli Stati hanno fatto e fanno molti errori sociali con l’immigrazione,
ghettizzando le singole etnie in un corpo sociale multietnico e multireligioso,
anziché renderlo plurietnico e plurireligioso. Le banlieu, infatti, sono delle
città satelliti, veri e propri agglomerati arabi (islamici) degradati, dove di
notte non vi entra neppure la polizia se non in assetto antisommossa.
Nessuna
meraviglia, perciò, se connotati di fondamentalismo e di radicalismo religioso
portano con sé atti di terrorismo tanto virulenti.
La
religione islamica ha le sue colpe, ma di per sé non è la sola giustificazione
d’una rivolta latente contro la società occidentale. Paradossalmente la
religione viene considerata la causa aberrante di elementi semianalfabeti; o,
comunque, scarsamente acculturati. Questa considerazione, pur in parte esatta,
è di per sé la degenerazione culturale e politica della società occidentale,
che vuole ignorare i propri misfatti da molti secoli perseguiti.
L’Isis, checché se ne dica, è sorta quale elemento di contrasto e di
lotta contro l’Iran, all’inizio foraggiata, armata e addestrata dal regno
saudita (sunnita) e dalle potenze occidentali.
Come Bin
Laden è poi stata scaricata quando si è addivenuti a patti con l’Iran. Anche
se, nel frattempo, era diventata troppo potente nello scacchiere mediorientale,
tanto da mettersi in proprio con il solo appoggio dei sauditi, intenti a
contrastare in campo petrolifero ed egemonico locale l’Iran a cui è stato tolto
l’embargo.
Non a
caso Obama, che prima voleva bombardare Assad, dopo l’accordo sul nucleare è
tornato sui suoi progetti bellici siriani, mettendosi però a bombardare l’Isis.
Papa
Francesco, che prima aveva indetto una giornata di preghiera per scongiurare
questi bombardamenti, ha poi elegantemente sorvolato su tutto, forse per la
remunerazione avuta per l’intermediazione con Cuba.
Usando
alcuni fatti eclatanti di ferocia, l’Isis, con la grancassa mediatica
occidentale, ha fondato il suo successo planetario nel mondo islamico,
ponendosi quale elemento alternativo al vivere occidentale, identificato
nell’infedele. Ovviamente, sfruttando dettami religiosi che rispetto al mondo
occidentale sono in arretrato di almeno un secolo.
I valori
dell’Isis sono valori di un tempo che fu, paragonabile a com’erano gli
occidentali all’inizio del secolo scorso. Sono, tuttavia, valori che non
vogliono una società solo consumistica, dove la democrazia è diventata schiava
della finanza e il cittadino un semplice numero.
I
connotati islamici sono diversi da quelli cristiani e la religione mantiene
ancora quei connotati arcaici basati sugli imperativi categorici, cari e
importanti per il popolo poco acculturato o semianalfabeta.
Paradossalmente,
ma sociologicamente comprensibili, questi valori arcaici sono il pane
quotidiano di chi è più debole nella società in ogni campo, perché l’imperativo
categorico ha solo bisogno d’essere accettato e non d’essere capito e
assimilato.
Un breve
accenno va fatto a chi – politici e religiosi – declama che è una bestemmia
dare la morte ad altri in nome di Dio.
Pur
condividendo e superando questa problematica, a tutti costoro vorrei ricordare
se le guerre passate contro l’infedele (comprese le Crociate) e le attuali (con
l’intento di portare la democrazia con le armi, anche se celano grossi
interessi economici) siano dei cordiali doni per coloro che le subiscono e che
periscono.
Ciò che
tuttavia è importante è che gli “attentatori” non vengono da lontano e pianificati, come per le Torri Gemelle,
ma siano nati, educati e cresciuti dalla nostra stessa società. Sono figli di
una società degenerata che ha perso i propri valori in nome di un paganesimo
capitalista.
Nulla di
strano, quindi, se gli imperativi categorici religiosi possono dare a costoro,
nell’associazione spontanea, una giustificazione tanto alla vita come alla
morte, quando si fanno esplodere tra gli infedeli per Allah.
Sicuramente
tra le vittime vi sono anche islamici, ma è ovvio che costoro appaiano, per gli
attentatori, come coloro che hanno deviato, secolarizzandosi, dalla fede dei
padri.
È
emblematico che tutti questi attentatori provengano dal mondo islamico e che,
per la maggior parte, non siano direttamente collegati all’Isis, se non per
associazione spontanea. Ciò significa che l’Isis propone a tutti costoro un
modello sociale (valido) che la società occidentale - che ha ospitato nonni e
padri decenni prima - non è stata in grado di dare.
Parlare
di veloce radicalizzazione, di lupi solitari, di pazzi esaltati, di disadattati
psicotici – e di altro ancora – significa solo non riconoscere le proprie
colpe. Perché è ovvio che l’addossare a ciò tutto ciò che avviene equivalga ad
autoassolversi, ignorando l’effetto emulazione che i media favoriscono.
La
Storia – quella vera e non ideologicamente e politicamente manipolata – insegna
che dove una determinata area geografica, più o meno vasta, ha ospitato più
popoli diversi nella multietnicità, specie se con religioni diverse, ha poi
finito sempre per esplodere. I grandi imperi dei secoli passati sono crollati
sempre per questa causa.
Nella
storia vi è un popolo che si è sempre ghettizzato nelle società in cui s’era
trasferito, più o meno volontariamente, mantenendo inalterate per secoli le sue
peculiarità religiose di “popolo eletto”. E non è un caso strano, perciò, che questo popolo sia stato il
più bersagliato un po’ da tutti, a partire dagli egiziani, per passare poi agli
assiri-babilonesi, indi ai romani, agli arabi e ai tedeschi.
A chi
giova un’immigrazione massiccia più o meno qualificata? Ovviamente a certi tipi
di economia che con manodopera a basso prezzo intende abbattere il costo del
lavoro per essere più competitiva sui mercati esteri e interni.
Dire,
come si declama spesso, che gli immigrati fanno lavori che gli autoctoni non
vogliono più fare è semplicemente demagogico. Più appropriato sarebbe dire che
gli immigrati sono molto più economici, essendo spesso sottopagati.
Portando
un esempio pratico come la raccolta di ortaggi o di frutta, specie al sud, si
nota che l’immigrato si “accontenta” per 10/12 h di lavoro di circa 20 €
giornalieri, mentre l’italiano costerebbe quasi il triplo.
Idem per
l’industria, perché lo straniero è inserito con contratto di formazione (con
relativi benefit) mentre il lavoratore normale no.
L’inghippo
sta proprio – e sempre in ogni lavoro, compreso quello di badante – nel costo.
Se la legge fiscale fosse uguale per tutti, l’imprenditore a costo salariale e
fiscale identico assumerebbe (terrebbe) chi ha già ha.
Pure
accogliere inizialmente il migrante per molti è un “affare”, perché i vari enti
caritatevoli (religiosi) o Onlus sono in ciò ben retribuiti dalle casse
erariali e Ue, con costo minimo pro capite da ben 35 € in su.
Tempo fa
a un noto economista chiesero se la ripresa del Pil italiano fosse dovuta al
costo dei migranti.
Secondo
i dati Istat, infatti, l’industria alberghiera aveva fatto un balzo del 17%.
Guarda caso molti alberghi del sud, che di norma prima aprivano solo nei due
mesi estivi, ora negli altri mesi accolgono i migranti.
L’economista
rispose che su ciò non aveva dati sufficienti per affermarlo con precisione; ma
che, tuttavia, facendo un rapido conteggio, calcolando le decine di migliaia di
migranti ospitati per la cifra pro migrante stanziata, si poteva facilmente arrivare
proprio a quella percentuale decimale di aumento del Pil. Tanto più che il Sud,
non casualmente, evidenziava una ripresa doppia rispetto alla media nazionale.
Contrapposto
a questo pro (aumento decimale del Pil) - annotava - si aveva però il contro:
il mantenimento dei migranti è necessariamente finanziato col fondo tasse; e
quando queste per la crisi sono insufficienti, è finanziato con l’aumento del
Debito sovrano, sia per la quota a carico dei singoli stati sia, in parte, per
l’Ue.
A tutto
ciò andrebbero poi aggiunti i costi supplementari per spese mediche di vario
tipo, oltre a quelle strutturali per l’accoglienza.
Varrebbe
la pena chiedersi quanti pensionati oggi, dopo aver versato contributi per quattro
decenni, ricevano equivalente importo al mantenimento del migrante.
Nei
decenni scorsi molti stati occidentali hanno finanziato una parte, seppur
minima, degli investimenti dei paesi sottosviluppati africani.
Questo -
pur sorvolando sul fatto che questi investimenti erano tesi a privilegiare
appalti concessi ad aziende europee in loco – ha prodotto, con una
disponibilità di ricchezza maggiore, un maggior flusso migratorio verso
l’Europa, producendo perciò l’effetto contrario.
La
questione non va inquadrata nell’essere pro o contro i migranti, ma su come
rendere il migrante un cittadino della nazione ospitante.
Perché
l’accoglienza materiale deve solo essere il primo passo d’un processo
d’inserimento, che, con l’istruzione, il lavoro, la famiglia, la casa e il
reddito, rendano il soggetto migrante un cittadino integrato e indipendente in
una società plurietnica nazionale.
Ciò
significa disciplinare il flusso migratorio secondo esigenze e possibilità che
l’economia locale può offrire, anziché oberarla – come avviene ora – di un
ingente costo supplementare.
Ciò
significa avere dei piani economici pluridecennali e non con l’affidarsi alla
buona sorte come ora. Significa, soprattutto, rendere il “migrante” un vero “emigrante”.
Integrare
significa sincretizzare le migliori qualità che gli autoctoni e i migranti
possono darsi reciprocamente, eliminando tutte quelle scorie che ogni società
produce, foriere di norma di razzismo, fondamentalismo e, a medio termine, di
virulenti subbugli sociali, spesso sfocianti nel terrorismo.
Perché,
a ben guardare, il razzismo è il frutto non di una supposta superiorità, bensì
nel non accettare (rifiutare) modalità culturali molto diverse che si
fronteggiano, convivendo in una stessa società.
Il
razzismo non è unidirezionale, ma sempre bidirezionale. La Storia insegna che
il razzismo nasce sempre quando l’integrazione è fallita, specie se una o
entrambe, delle due società multietniche conviventi subisce una forte crisi
economica o sociale.
Paradossalmente
l’evidente disparità di trattamento economico (fiscale e salariale) riservata
ai migranti è la causa detonante del contrasto sociale, perché da un lato
sottrae posti lavoro ai locali, dall’altra sfrutta e ghettizza il migrante.
Tutto ciò, di norma, crea ulteriore crisi economica e sociale, rendendo parte
dell’imprenditoria più ricca e tutti gli altri più poveri.
Non è
una semplice casualità che i vertici Ue e della Bce spingano gli stati a delle
riforme tese a rivoluzionare sia lo welfare sia il mondo del lavoro, specie se
i paesi che sono sottoposti a tali imposizioni sono perlopiù quelli di
frontiera.
Un breve
accenno va fatto alla politica sociale della Chiesa cattolica sulla questione
migranti, che già con il polacco aveva invitato ad aprire le porte a tutti.
Ora, con
Francesco, questa politica sociale è addirittura degenerata, perché è
innanzitutto priva e non accompagnata da un progetto specifico.
Parlando,
poco tempo fa, familiarmente con un alto prelato, davanti alle sue rimostranze,
mettevo in evidenza che l’idealismo ecclesiale va bene, però se è accompagnato
da un progetto specifico. Egli sottolineò che nel suo piccolo questo papa
l’aveva, perché da Lesmo s’era portato 12 migranti, a cui accudiva a “spese
proprie”.
Peccato,
però, che le declamate “spese proprie” attingessero agli introiti dovuti alle
offerte dei fedeli alla Cattedra di Pietro.
Padroneggiare
una crisi non è semplice, specie se si va alla ventura. Ritardando la
risoluzione (fine) della crisi, se ne creano due altre collaterali: quella
sociale e culturale.
La
Storia, purtroppo, ha sempre dimostrato che, quando le tre crisi si
sovrappongono, portano poi nel medio periodo a delle guerre sanguinose.
Il mondo
occidentale ha spostato le guerre altrove, fuori dal proprio territorio,
soprattutto perché i suoi popoli aborriscono la guerra, amandola sola come
spettacolo mediatico, specie se a danno altrui.
Nulla di
strano, dunque, se i “figli” indiretti di quelle terre lontane ora si siano
messi in modo isolato e spontaneo a fare la “guerra” alla società occidentale
sul nostro territorio.
Ciò,
ovviamente, vale per i cittadini arabo-islamici nell’Europa e per gli
afro-americani negli U.S.A., secondo il detto sapienziale: chi la fa, se l’aspetti.
E,
paradossalmente, le crisi non cesseranno finché l’attuale capitalismo selvaggio
finanziario non sarà riprogettato in toto, mettendo al bando i deprecati Derivati.
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