martedì 24 maggio 2016

Gli adulteri nel tempio.


Oggi, venne in visita da me Sesac; e mi consegnò questo racconto che pubblico, come sempre, assai volentieri.
Tratta, come consuetudine, della vita degli animali della foresta e dei fatti di un tempo che fu.

Sam Cardell
 
Tratto da “i Dialoghi” di Sesac
 
Gli adulteri nel tempio.
 
Leone da alcuni giorni non era al meglio.
Le vibrazioni interne che squassavano periodicamente il suo fisico si stavano ripetendo. Ciò gli disturbava pure il sonno, tuttavia non gli toglieva il buonumore. Era sempre positivo.
Come spesso succedeva nei periodi difficili, decise di salire sullo Sparavento. Era domenica, la domenica della Trinità. Il tempo era buono e la temperatura ideale per un’escursione in tarda mattinata.
Billyno intuì tutto e cominciò a sgambettare ansioso in casa, volendo essere a tutti i costi della partita
 
Gini non era in cascina e neppure Bruno e la mandria. Sicché Leone comprese che doveva già essere a pascolare in quota. Sicuramente a mezza costa, perché in alto il pascolo sarebbe stato ancora inesistente. Infatti, non c’era neppure il vecchio trattore. Perciò gli lasciò in casa le vettovaglie che gli era solito portare, compreso il fustino di pregiato Chianti, di cui Gini era … ghiotto.
Bipperino affrontò deciso la salita e, poco dopo, scaricò nella piazzola Leone e Billyno. Lui, infatti, amava solo andare sulle carrarecce e non oltre.
Leone prese la racchetta, regolò la telescopia per la salita, calzò lo zainetto e si avviò con Billyno sul sentiero che dal colletto porta prima a un roccolo e poi, per pascoli, su verso i Marsì.
Si avviò lento perché voleva raggiungere a tutti i costi la cima. In questo modo intendeva entrare in temperatura senza affaticare muscoli e polmoni. Billyno capì l’antifona al primo richiamo e si adeguò prontamente. Dopotutto erano mesi che non facevano un’escursione.
 
A poco meno di metà salita scorsero, stravaccata a ruminare, la mandria di Gini su a mezza costa.  Dopo alcuni minuti individuarono pure lui con Bruno.
Li raggiunsero e si fermarono per i saluti. Gini si apprestava ad avviare il trattore per scendere. Lo trovarono in buona forma nonostante l’età avanzata.
Ripartirono; e dopo un dolce, pur se impegnativo declivio, raggiunsero il sentiero pianeggiante che porta alla pozza d’abbeveraggio e all’isolato boschetto sommitale adiacente. Indi attaccarono lentamente l’impegnativo tratto finale che porta alla cima, tra sempre più radi ranuncoli in fiore, alcune orchis mascula e un isolato esemplare di genziana kochiana acaulis.
Sbucarono infine, non senza fatica, in vetta, dove ad attenderli v’era la tozza bianca croce sommitale.
Leone la raggiunse e, salutandola, l’accarezzò con affetto, come una di famiglia.
Dentro di sé sentì allora una voce e la riconobbe familiare.
 
D: Benvenuto e bravo Leo! Sei tenace nonostante gli acciacchi. Mi complimento con te.
L: Grazie, Buon Dio. I complimenti delle persone competenti, sai, fanno maggiormente piacere. Anche se, come ben sai, non aggiungono e non tolgono nulla a ciò che, in effetti, sono. Sono stremato e ho raggiunto ‘sta vetta solo con le unghie.
Ti ringrazio, comunque, per avermi concesso di giungere nuovamente quassù.
Ti faccio pure gli auguri per la Tua festa. Sai, ora qua siamo in tre: Tu, io e Billyno. Non è una Trinità perfetta, ma … possiamo accontentarci.
D: Grazie di cuore per gli Auguri! Ma, dimmi Leo; che hai combinato ieri sera nel tempio alla prefestiva? È giunto un “divertente” clamore fino al mio cospetto.
L: Sai, dovresti rettificare la domanda. Dovresti chiedermi: che han combinato i due adulteri, zotici villani? Perché proprio di ciò si tratta.
Ora, se permetti però, siedo al mio solito posto. Tiro il fiato, mi rifocillo un po’, e intanto faccio mente ai fatti di cui mi chiedi; poi … ricominciamo. Ti va?
D: Ok, caro Leo. Davanti a noi ci sta solo tutta l’eternità. Fai con comodo e calma.
L: Strano, però, che Tu non mi chieda che guazzabuglio teologico ha fatto ieri sera il Tuo druido burino sulla Trinità. Sai, ha affermato che 1+1+1 non fanno 3, ma uno. Perché la logica della Trinità non è questa, ma ben altra. Sicuramente alludeva alla matematica; però s’è poi scordato di dire qual è nella realtà la logica Tua. Così ho scoperto che non sei più Uno e Trino, ma solo Uno.
D: Sempre critico sei, vedo. Su, non essere troppo meticoloso. Non tutti possono essere al tuo livello.
L: Già, Buon Dio. Lasciami ora ironicamente malignare un po’ su di Te così: il fatto è che Tu o non li hai voluti creare al mio livello, oppure non Ti riusciva di farne altri come me. Forse è stato un caso il mio; o Ti si sarà rotto lo stampo?
Ecco perché quando m’incavolo di brutto con i miei simili dico spesso: perché mai mi avrà messo in mezzo a tanti deficienti?
Ora mi faccio lo spuntino!
 
Leone si sedette perciò alcuni metri a sud al suo solito posto. E, facendolo, notò che, a ridosso della roccia su cui si appoggiava sempre, era stata costruita una piccola grotta con dentro la statuina della Vergine, un distintivo del C.A.I, un santino della vergine, un lume e un piccolo arbusto di pianta grassa in materiale plastico. La osservò, divertito dalla … novità.
Aprì lo zainetto, tolse le brioche, la frutta secca, la ciotola per Billyno e fecero entrambi colazione, anche se ormai il sole volgeva verso il mezzodì.
Laggiù nella valle, il borgo, a capo lago, si crogiolava al sole mille metri più in basso. Mostrando, fiero al viandante, la sua pieve settecentesca in tardo barocco, posta sopra una rupe.
Notandola, Leone cominciò a rimediare i fatti del giorno prima.
 
Leone non era solito recarsi presto nel tempio. Tuttavia, avendo nulla da fare, la sera prima vi era giunto, passeggiando, oltre 15’ prima dell’inizio della celebrazione.
Entratovi s’era seduto al solito posto, circa a mezza navata; notando, assisi nella prima panca, la coppia che denominava “sacristi”, nota e conclamata coppia di adulteri da anni. Tanto che al sorgere del fatto il druido precedente, il bel René, li aveva invitati per ragioni morali e di opportunità religiosa a non salire pubblicamente nel presbiterio.
Poi, quando fu sostituito dal druido burino, costui li “rigenerò” nella riabilitazione, forte del fatto che Tunghina bianca voleva essere misericordioso verso i peccatori, secondo il detto che Dio ama tutti i suoi figli e che va a cercare la pecorella smarrita. In questo caso … due! Doveva cercare pure poco, avendoli sempre in casa tra i piedi.
La coppia - come li denominava Leone - era composta da Palla di biliardo e da Patata bollente.
Palla era un tipo obbrobrioso nell’aspetto, zotico assai, totalmente calvo e con gli occhi stralunati, psicotico e rivoltante nei rapporti sociali per degli abituali scatti irosi. Non per nulla tutte le femmine con cui aveva cercato di approcciare lo avevano subito scansato.
Leone lo aveva soprannominato così sia per il cranio disadorno, sia perché in effetti era un povero … palla.
Da ragazzo s’era messo in testa di fare da grande il druido. Perciò il prode Carlo lo aveva spedito in seminario, dove però era rimasto solo un paio di giorni perché era figlio di … papà. Là, infatti, non lo riverivano come facevano i suoi genitori, che lo avevano come unico rampollo e lo tenevano come il pulcino nella bambagia.
Patata, invece, era giunta nel borgo da un paese limitrofo, dopo essersi … mal coniugata con uno, pure lui di altrove, di oltre un decennio più di lei. Magra inchiodata, era un’oca civettuola affamata (arrapata) che pensava di averla solo lei, intenta ad occhieggiare ovunque il galletto disponibile e … appetitoso. Pure Leone era stato fatto oggetto in passato dei suoi sguardi ammiccanti; cosa, ovviamente, che fece sempre finta di ignorare (vedere).
Il marito era un tipo all’apparenza misogino, piccolo, magro e dalle gambe notevolmente arcuate (sghembe), poco socievole con tutti. Forse, insinuava Leone, era pure quasi impotente.
Sora Terry, vispa monaca che vedeva lontano, un giorno disse dei due all’amica Mary: Che vuoi, Mary, lui vale poco e lei vale ancora di meno. Non si può pretendere di più.
 
Dopo anni che la coppia abitava nel borgo, Palla e Patata cominciarono a simpatizzare, nonostante Palla fosse di oltre un decennio più giovane di lei. Tanto per passare con noncuranza da un opposto all’altro.
Patata ci seppe fare a tal punto, in pochissimo tempo, da salutare sui due piedi, un giorno, il marito; per trasferirsi seduta stante, armi e bagagli, da Palla, iniziando così la loro vita in comune da … adulteri.
Sicché avvenne, che a forza di mangiare “uccelli”, di cui era sicuramente ghiotta, cominciò a cambiare fisico e peso. Tanto che Leone, da simbiologo, annotava nelle sue analisi la variazione del bacino e del petto, segni inequivocabili di una certa … alimentazione particolare, che prima non aveva potuto avere dal misogino.
 
I due, culturalmente inesistenti, nonostante tutto se la credevano e sicuramente pensavano in cuor loro d’essere degli ottimi credenti. Non per nulla erano sempre ai primi posti nel tempio, per essere di fulgido esempio a tutti i fedeli. Si credevano, nella pratica comportamentale, i “padroni” del tempio.
Avevano il vezzo di parlottare spesso tra loro, con l’aggiunta di sorrisini compiacenti anche durante le funzioni religiose.
Il vecchio falegname spesso prendeva posto accanto a Leone. Avendo la moglie ammalata, Leone gli chiedeva sotto voce come andasse. Allo stesso modo lui chiedeva di Madame. In tutto si scambiavano si e no una decina di parole.
Già in altre occasioni Palla s’era girato a redarguire con modi poco garbati il falegname, perché – diceva – il druido burino non voleva che si parlasse. Ovviamente dimenticava sempre il suo parlottare con l’amante.
Leone, che non amava i due pesi e le due misure, gli aveva già risposto un paio di volte a muso duro, perché il tipo vedeva la pagliuzza nell’occhio altrui e non la trave nel proprio. Tuttavia Leone, essendo magnanimo, s’era sempre limitato a delle battute.
 
Billyno e Leone finirono la loro colazione, sorbendo, ciascuno, un bicchiere d’acqua.
A lungo, durante lo spuntino, avevano rimirato i tre laghi stendersi sotto di loro, la piana in parte offuscata dall’umidità della calura, il verde smeraldo del lago che, nell’occasione, riverberava i pascoli e i boschi dei monti sovrastanti, la lontana muraglia, là oltre la piana, degli Appennini, delle Cozie e delle Marittime, che però si distinguevano quasi a fatica, miscelandosi con lontane muraglie di nubi, avamposti di una nuova forte perturbazione.
Billyno si accucciò contro Leone, onde ripararsi dagli spifferi ventosi che giungevano dal basso e che, come sempre, investivano la cima, portando seco lo scampanellio delle “cioche” (campanacci) delle mandrie al pascolo.
Sentendosi recuperato nelle forze, Leone riprese il suo dialogo.
 
L: Ci sei ancora, lassù sul Tuo trono nell’alto dei cieli, Uno e Trino?
D: Certo, Leo. L’universo ed Io siamo infiniti; tuttavia non avrei altro posto … disponibile. L’infinito è in realtà finito, come Io sono infinito, ma nello stesso tempo finito.
L: Questi sillogismi mi paiono troppo tomistici, perciò scolastici. Forse dovresti aggiornarTi un po’ nella conoscenza filosofica attuale.
Scusa: che volevi sapere prima?
D: Che tu mi aggiornassi sui fatti di ieri sera nel tempio.
L: Sai, a pensarci bene credo che Tu Ti sia perso una scena madre.
Prima, però, per farti capire bene, vorrei descriverti la scena per bene, senza di che non capiresti molto, se non il solo superficiale.
D: Bene, Leo. Ti ascolterò con piacere.
L: Ok!
Giunsi nel tempio con notevole anticipo rispetto al solito e mi sedetti al solito posto. Nella panca, davanti a me, vi era la vedova di quello scrittore e poeta tosco che richiamasti a te anni fa. Più avanti i due zotici villani; o, se preferisci, i due adulteri. Scegli Tu la terminologia che ritieni più appropriata. E guarda che l’ho detto con rispetto e non in modo dispregiativo.
D: Lo so, Leo. Dopotutto è la realtà loro, che volontariamente hanno costruito e che liberamente continuano a perseguire.
L: Bene! Or devi sapere che i due, come loro solito, hanno parlottato spesso tra loro.
Ad un tratto, dalla parte inferiore del tempio, arriva una signora, che avendo visto la vedova intende salutarla. Le si mette accanto in piedi e per oltre un paio di minuti si scambiano i convenevoli, che tutti i fedeli già giunti nella pieve possono facilmente ascoltare. Poi costei torna al suo posto.
Ovviamente, trattandosi di persone di “rango” altolocato - secondo i due zotici villani - questi se ne guardano bene dal girarsi per redarguire le due “nobili” madame parlottanti.
Poco prima che inizi la funzione religiosa arriva pure il vecchio falegname, che prende posto accanto a me. Io gli chiedo della moglie. Mi risponde che sta benino e mi chiede di Madame. In tutto ci scambiamo una decina di parole, articoli e congiunzioni comprese, sottovoce.
Palla si gira indietro, verso di noi, in malo modo, redarguendo con le solite storie il falegname con quei suoi modi di cafone patentato, da padrone del tempio.
Lo invito a non rompere, a stare zitto e a rigirarsi.
Ovviamente persiste; ed allora, visto che con le frasi educate non intende, uso il suo stesso linguaggio: Non rompere le balle - (sinonimo dialettale bergamasco dal doppio senso: bugie, testicoli) -, che hai già rotto abbastanza. Girati e stai zitto!
D: Ahahhhaaaahhh! Suvvia Leo, mi meraviglio di te. Usare una tale terminologia plebea nel tempio! Mi fai proprio divertire. Sai, solo un tipo che se ne frega delle apparenze e delle convenienze, come te, può farlo.
L: Sapevo che la cosa ti avrebbe divertito. Infatti pure all’inizio manifestati ciò, dicendomi: È giunto un “divertente” clamore fino al mio cospetto.
La querelle, però non si ferma lì. Aspetta il seguito, Buon Dio.
Il tipo, però, persiste, roteando gli occhi come un esagitato psicotico, dicendo che poi il druido burino si arrabbia e che siamo nel tempio.
Gli ribatto che il tempio lo hanno costruito i paesani e non il druido. Non è opera sua. Perciò proseguo: Ti ho già detto che è ora di smettere di rompere le balle. È ora di finirla con ‘sta storia. Girati e sta zitto!
E dicendo ciò alzo la voce. Il tipo si placa scornato e si gira.
A questo punto, però, Patata si gira inviperita a difesa dell’amante, dicendo che non è giusto e che si deve aver rispetto degli altri. Sbava addirittura, sibilando come una vipera a cui gli si è accoppato il maschio.
La cosa non m’impressiona. E siccome so come accoppare le vipere velenose, ripeto a lei la stessa frase:
Smettetela di rompere le balle che le avete già rotte da tempo abbastanza. Se hai rispetto degli altri sta zitta, girati e non rompere più le balle! Non hai capito? Te lo ripeto a voce ancora più alta: non rompere più le balle! Se vuoi te lo grido pure in modo che non solo nella pieve, ma pure fuori intendano tutti ciò che ti dico: non rompete più le balle!
Ovviamene modulando sempre di più alto il mio tono vocale.
A ‘sto punto la vipera s’acqueta, tace e si gira.
Nel frattempo il Tuo druido burino aveva percepito il clamore in sacrestia e, bardato già dei paramenti sacri, aveva socchiuso la porta della sacrestia, giusto in tempo per assistere alla parte finale.
A dire il vero, pur notando con la coda dell’occhio il socchiudersi dell’uscio, ero troppo intento a fissare la vipera negli occhi con autorità e decisione; mentre nei suoi leggevo solo paura e soggezione.
Sicché, avendo finito con i due adulteri, giro gli occhi verso l’uscio e lo vedo guardarmi con quel suo torvo sguardo minaccioso che talora usa pure durante le celebrazioni, per incutere tremore e reverenza ai fedeli che sbagliano qualcosa.
Costui, pur non conoscendo la successione dei fatti, mi guarda fisso senza proferir parola in modo malevolo e reprimente, per incutermi soggezione.
Ma, Buon Dio, essendo solo il druido un pollo ruspante, gli pianto i miei occhi deciso nei suoi e a voce imperiosa gli dico: E tu che vuoi?
Il pollo non regge lo sguardo mio, distoglie i suoi dai miei, scuote il capo, si gira, chiude la porta e … poco dopo si reca all’altare per iniziare la celebrazione liturgica. Come se nulla fosse successo.
D: Sai, Leo, mi meravigli sempre. Non sei nuovo a zittire e a intimorire i druidi, grandi o piccoli, che osino mettertisi contro.
Ricordi quando, durante un convegno scientifico, annullasti tra le risate generali quel mio gran druido purpureo con: Eminenza, faccia il bravo ragazzo educato. Altrimenti va a finire che qui la degrado subito a chierichetto, seduta stante. Sai, per il suo amor proprio Io so che per lui fu un colpo mortale. Arrossì a tal punto che quasi gli venne un infarto dalla bile che sprigionasti in lui.
Oppure, quando durante quella conferenza sulla tematica del sacramento della penitenza, riuscisti teologicamente a dividere decine di miei druidi un contro l’altro, con il risultato che più della metà si schierarono con te? Che dicesti al monsignore capofila della cordata avversa a te?
L: Certo che me lo ricordo, anche se son trascorsi decenni.
Lo apostrofai così: Ora, lei che è tanto tronfio di Spirito Santo, crede forse che lo Spirito abbia illuminato solo lei e i suoi pochi seguaci di questa discussione e che abbia azzerato la capacità conoscitiva di quelli che si sono schierati con me? Mi spieghi ora bene se costoro sono consacrati, oppure se sono dannati, eretici o apostati.
D: Leo, tolleranza e misericordia! Sono tutti figli miei.
L: Lasciami, Buon Dio, essere scanzonato. Perciò Ti dirò: guarda da che pulpito viene la predica. Tu, fosti misericordioso e tollerante coi mercanti nel cortile del tempio – Mt 21,12; Mc 11,15; Lc 19,45-46; Gv 2,14-16 -, quando li fustigasti e rovesciasti i loro banchetti?
E sempre nel cortile del tempio, all’adultera, non dicesti forse: Neppure io ti condanno: va, e d’ora in poi non peccare più. (Gv 8,11)
Sai, io sono tollerante con tutti, adulteri compresi. E non m’impiccio dei fatti loro, anche se li vedo.
Non mi preme affatto tirare la prima pietra, ma neppure l’ultima. Ma, se qualcuno la tira a me, gliene rimando 100 di fila finché non li ho seppelliti del tutto.
Ora passi che il Buon Pastore lasci le 99 e va a cercare quella smarrita. Perciò anche le … due.
Però, qua, sono cattolici o luterani? Conosci la massima di Lutero? Pecca fortiter, sed credē fortius; che trae i presupposti nientemeno che da Agostino: pecca fortiter, sed ama fortius.
E gli adulteri in questione che fanno secondo Te? Peccano più che possono e amano un tantino di più. Per cui poi vengono perdonati … continuamente.
Vedi, qua forse vi è una contraddizione di fondo, perché, visto che perseguono da anni imperterriti, il loro amare corrisponde solo al “ciulare”. Sicché ti pregano e poi ciulano nell’adulterio … all’infinito. Perciò cerca pure le pecorelle smarrite da mane a sera.
D: Leo, ma che linguaggio volgare mi usi oggi?
L: Volgare non direi, anche se colorito. Serve a esplicare molto realisticamente il concetto. Non credo che Tu Ti possa scandalizzare per un colloquio molto franco e diretto.
D: Sai, ho capito benissimo il tuo concetto. Però ora tira le conclusioni.
L: Buon Dio, queste sono abbastanza semplici. Nella Tua preveggenza dovresti già saperle.
Se gli adulteri mi attaccano ancora li seppellisco sotto le loro macerie. Se il druido burino mi capita a tiro con certe balzane idee, Te lo civilizzo battezzandotelo, cresimandotelo e istruendotelo a dovere.
Ti dirò: hai mai sentito la preghierina bambinesca di Tunghina bianca per il Giubileo della Misericordia. Qua la leggono dopo ogni celebrazione festiva.
Io non la dico mai, perché mi pare infantile. Sarà pure vero che non entrerò nel Tuo Regno se non diventerò come un bambino, ma lascia che Ti dica che preferisco restare adulto.
Ebbene, la preghiera è infantile, ma non per questo banale.
Dovevi sentire come la recitava bene ieri sera Patata bollente, al passaggio che dice che insegnasti all’adultera a non porre la felicità in una persona.
Dici che ha capito ciò che leggeva?
D: Considerata la sua vita e le sue azioni, credo proprio di no.
L: Bene, Buon Dio. Vedi, alla fin fine Ti posso contestare, ma poi ci troviamo sempre sulla stessa linea filosofica e teologica.
Ora Ti saluto e scendo. Ormai il mezzodì è già passato. Buona giornata!
D: Buona giornata pure a te, Leo. Mi raccomando: tolleranza e misericordia. Oltre che ad istruire gli ignoranti.
 
Leone raccolse lo zainetto e s’incamminò.
Billyno, sentendo profumo di … polenta, saettò rapido da Bipperino.
La breve escursione gli aveva messo addosso una fame da … lupi.
 
Sesac
 
 

domenica 8 maggio 2016

L’ultima confessione di Leone.


Oggi, venne in visita da me Sesac; e mi consegnò questo racconto che pubblico, come sempre, assai volentieri.
Tratta, come consuetudine, della vita degli animali della foresta e dei fatti di un tempo che fu.

Sam Cardell
 
Tratto da “i Dialoghi” di Sesac
 
L’ultima confessione di Leone.
 
ovvero:
 
Dal vangelo  secondo … Sesac.
 
In quel tempo … s’era a maggio. Un maggio d’un Anno Santo di alcuni decenni fa.
 
Leone, favorito da una bella primavera, s’era dedicato presto alla fienagione nel podere di Era, onde produrre il foraggio necessario per il suo pregiato allevamento di conigli selezionati. Infatti, intendeva poi partire per un lungo viaggio nel Land di Itachia, sui sentieri della fede, dell’archeologia e dell’arte. Sentieri che in quel Land erano tanto abbondanti da lasciare al cultore l’imbarazzo della scelta.
Ovviamente possedeva un piccolo allevamento, perché diversamente non avrebbe potuto coniugare l’hobby con il lavoro.
Tuttavia era assai quotato, considerato che le richieste di fattrici selezionate avevano portato alcuni suoi soggetti a spasso per il mondo, anche fuori dei confini di Eurachia.
Leone s’era dilettato negli anni precedenti, forte dei suoi approfonditi studi in biologia, ad effettuare opportuni incroci, onde ottenere dal Nuova Zelanda Bianco – coniglio col mantello bianco candido e con occhi albini – un nuovo soggetto identico nella struttura, ma totalmente diverso nel colore: il Nuova Zelanda Nero, d’un mantello nero assoluto e lucido, con occhi totalmente neri.
Per ciò era molto soddisfatto e appagato per l’impegno profuso.
Nell’allevamento teneva e selezionava, oltre al Nuova Zelanda, capi di diverse razze pregiate: il Gigante di Normandia, il Gigante di Fiandra (- il cui maschio poteva superare con facilità gli 8 kg; il suo era uno splendido esemplare di 10,5 kg -), il Fulvo di Borgogna, il Papillon Bretone e il Belier Inglese, simpatico “conigliotto” con le enormi orecchie penzoloni alla cocker.
Per ottenere le selezioni desiderate operava su 2 fronti, seguendo i dettami degli studi della Legge di Mendel: con il primo produceva soggetti di carne pregiata creando dei meticci, con il secondo soggetti di razza pura, alternando incroci di meticci a incroci di razza, onde eliminare i pericoli dovuti alla consanguineità.
 
Giunse il giorno della partenza. Caricò armi, bagagli e familiari sul suo potente cocchio blu Mexico Ghia col naso di Knudsen e elegante tetto in vinile, diede libero sfogo ai 2 carburatori e s’inoltrò veloce e sicuro nei tortuosi anfratti dello stivale.
Con sé aveva pure la zia Tilde, buona e fervente pia donna che tutte le beveva. Semplice e culturalmente carente era tuttavia cresciuta rettamente sulle base di quegli imperativi categorici e di quei detti sapienziali su cui si reggevano a quel tempo la moralità e l’etica comportamentale del ceto plebeo, basate, soprattutto, sui dettami religiosi.
Girovagò un po’ ovunque nelle mete prefissate, per giungere, infine, la terza settimana, nella capitale del Land. Città che  per via dei suoi impegni professionali d’alto livello era da lui conosciuta da tempo; nella quale, per inciso, aveva stabilito di soggiornarci in visita una decina di giorni.
In quella città vi era la sede dei Grandi Druidi e il suo massimo tempio. Pure questi Leone conosceva, avendo varcato per ben due volte i legni di Damaso, per sbrogliare a costoro una matassa complicata (per loro) più del nodo di Gordio.
In quelle occasioni era stato accolto, dato il suo grado, con alcuni galli cedroni schierati la prima, mentre nella seconda il picchetto era al completo e in alta uniforme. Perché, come sottolineava ironicamente Leone, il protocollo era una cosa, ma, all’occorrenza, la ruffianeria dei druidi era … ben altra, specie nella necistà.
 
Leone, ivi, vi giunse dopo aver visitato i luoghi sacri di quel tapino, piccolo e bruttino, che tutto normale - secondo lui – non doveva essere.
Egli, in verità, riteneva, da studioso, che costui, in effetti, si fosse alla fine materialmente “suicidato”, giacché a forza di penitenze, privazioni e digiuni aveva ridotto sé stesso ad un cadavere sanguinolento ambulante. Infatti, morì giovane ancor prima di toccare i cinquanta, nudo sulla nuda terra.
Ciò, come spesso avviene, non impedì ai posteri di elencarlo tra i grandi santi, elevandolo pure al massimo rango nobiliare di protettore di quel Land. Perché, come spesso sottolineava nelle sue conferenze Leone, la normalità non è un bene religioso, quale in realtà è l’anormalità.
Leone non amava né i santi né gli eroi. Li riteneva il frutto necessario (obsoleto) d’una cultura popolare che aveva bisogno di miti per procedere, non avendo in sé la sapienza (sofia) necessaria per esplicare quella civiltà di cui avrebbe avuto bisogno per far vivere ognuno nella retta via, senza soprusi da un lato e rivendicazioni più o meno pacifiche dall’altro.
Or avvenne che, trovandosi in un eremo di questo santo, un priore, tonacato marrone, per una lauta mancia (offerta) gli facesse da prodigo e volontario accompagnatore, nonché cicerone per tutta la compagnia.
Costui snocciolava a Leone e ai suoi familiari le azioni miracolose del santo, sulle quali Leone sorrideva divertito. E di cui, la zia Tilde, si riempiva il cuore e la mente, conscia che la fede in ciò le avrebbe dato la salvezza eterna. Ogni miracolo ascoltato la faceva … lievitare di un metro verso il paradiso. E più era fantasmagorico e assurdo, più le donava … salvezza. Le frottole, infatti, specie quelle improponibili e assurde, pare siano state create proprio dalle religioni alla voce miracoli.
Infine – il priore - giunse al racconto della “conversione” del “lupo assassino”, che, benché ormai vecchio, era solito azzannare con ferocia, fino ad ammazzarli, i bipedi viandanti che capitavano sotto le sue grinfie.
Secondo il tonacato, infatti, il lupo feroce si acquattò docile ai piedi del santo senza colpo ferire. Leone sorrise e disse che sapeva il perché lo aveva fatto.
La zia Tilde rizzò rabbiosa orecchi e capelli, guardando torvo Leone. Immaginava, infatti, che Leone stesse per pronunciare una delle sue storiche e famose sentenze “sacrileghe”.
Il priore non s’avvide dell’umor nero improvviso della zia; e benché Leone tacesse, lo sollecitò, curioso, per conoscere il suo pensiero in materia. Giacché Leone, non essendo un tipo comune, lo aveva colpito solo nell’apparirgli casualmente davanti.
Leone, ovviamente, nicchiò per un po’, ma poi cedette alle insistenze del tonacato.
E così disse: Beh, il lupo vide ch’era solo tutto ossa, mezzo rachitico, sporco, sanguinolento e piccoletto assai. Perciò ritenne che era meglio digiunare in quel frangente, perché il pasto sarebbe stato peggio del digiuno per il suo stomaco.
Ciò fece sbottare il priore, tra l’altro ben pasciuto, in una risata che fece rizzare ulteriormente orecchi e capelli alla zia Tilde, accompagnando il riso divertito con una battuta: Il lupo forse aveva ragione. A ciò non avevo mai pensato.
Al che, sentendo le sacrileghe battute, la zia Tilde “scomunicò” in cuor suo entrambi gli … apostati.
 
Là vi era la Domus  Peter, imponente mausoleo dei sommi druidi. E, ovviamente, Leone vi portò più volte la … devota compagnia. Il tempio, infatti, era un fantastico scrigno d’arte e di storia.
La zia Tilde, ovviamente, mal digeriva che il nipote, pur essendo Leone, fosse troppo indipendente e in materia la pensasse assai diversamente da lei. Perciò, con testardaggine degna d’una provetta zuccabanchi, s’arrabattava continuamente a tampinare il nipote perché si … convertisse, dato che s’era nell’anno giubilare e in luoghi sacri. Per lei era inconcepibile che il nipote potesse essere lì per altri fini diversi dalla fede.
Fu così, che la terza volta che visitavano la Domus Peter, Leone scorse passare ai bordi della navata un tonacato purpureo; e lo riconobbe per il grande druido che gli aveva commissionato (implorato) una missione, giacché allora rivestiva pure la carica di Segretario di quel Land, piccolo geograficamente ma immenso finanziariamente. Perciò lo osservò attentamente, finche non lo vide infilarsi in un confessionale.
Divertito pensò, da monello qual era, ch’era l’occasione giusta per beccare 2 piccioni con una fava: la zia Tilde e il purpureo.
Perciò, senza pensarci due volte, s’infilò a sua volta nel confessionale, dalla parte del penitente. Anche se, in effetti, la sua intenzione era quella di “confessare” il confessore.
Appena Leone si fu infilato il tonacato aprì la grata, dando inizio al colloquio tra i due.
(Nel colloquio seguente C=confessore, L= Leone)
 
C: Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
L: In nomine Patris et Filii, et Spiritus Sancti. Amen ! Καὶ εἰς τὸ Πνεῦμα τὸ Ἅγιον, τὸ κύριον, τὸ ζωοποιόν, τὸ ἐκ τοῦ Πατρὸς ἐκπορευόμενον.
C: Scusi, lei è ortodosso?
L: Perché me lo chiede, ha forse remore a confessare gli ortodossi? Non credono nello stesso Dio?
C: Per il filioque. È anomalo che un cattolico aggiunga il testo greco niceno.
L: Infatti, più che essere un cattolico io sono un soggetto anomalo. Sottolineerei: assai anomalo.
C: Non è un battezzato?
L: Beh, in verità sono stato battezzato più volte.
C: Come sarebbe a dire? Ha cambiato più volte religione?
L: No! È che oltre al prete mi han battezzato più volte pure i miei familiari!
C: Lei ha dei genitori Pastori?
L: No. Solo commercianti.
C: Era forse, da neonato, in pericolo di vita e i suoi l’hanno battezzato subito?
L: No. Mi han battezzato spesse volte dopo per ciò che combinavo. Glielo ho già detto che sono un tipo anomalo.
C: Sicché, da quanto mi dice, penso che ora lei avrà molto da dire in confessione, se avrà continuato sulla stessa falsariga.
L: In verità, in verità le dico – per usare la terminologia del suo Capo – non avrei molto da dire. Anzi: direi proprio nulla.
C: Forse lei si è confessato poco fa e sarebbe qua solo per una benedizione? Perché dice: il mio Capo?
L: Guardi, se è per quello non ricordo neppure più quando mi sono confessato l’ultima volta.
C: Oltre o meno di un anno?
L: Di norma mi capita di confessare altri. Io non lo faccio da lustri. Per il suo Capo, non è forse Corpo e, soprattutto, Capo della Chiesa?
C: Sicché questi sono i suoi primi peccati gravi che dichiara. Mi pare di capire che lei preferisca che proceda per domande in questa confessione. Sarà in palese imbarazzo. La capisco.
L: Mi sa che non ha capito proprio nulla. Ciò che per lei sono peccati gravi, per me non sono proprio nulla.
C: Come sarebbe a dire?
L: Lei mi può insegnare che per compiere un peccato servono 3 condizioni: forma grave, piena avvertenza, deliberato consenso. Mancando una delle quali il peccato evapora da sé.
C: E allora?
L: Allora: la questione è semplice. L’azione è un fatto spesso soggettivo. Infatti la compie chi ha una determinata intenzione. E se per costui l’azione non è ritenuta peccato manca la prima condizione. Se non è cosciente (ritiene) della prima è ovvio che manca la seconda e di conseguenza pure la terza.
C: Su ciò non la posso contestare. Anche se Dio non è l’uomo e ciò può gridare al Suo cospetto.
L: Lei è sicuro che ci sia?
C: Non capisco. Chi?
L: Dio, ovviamente. Se ha fede “crede”. La fede, però, non è un accidente scientifico, né una prova tangibile. È solo un  accidente trascendente che però è in sé solo un fattore incoativo escatologico.
C: Vedo che lei conosce molto bene la filosofia, presumo pure la teologia e la morale cattolica.
L: Infatti ho al mio attivo 10 anni come conferenziere in tutto il Land, e talora pure fuori.
C: Quale onore ho oggi di confessare uno come lei.
L: Scusi: parla per sé oppure in pluralis maiestatis?
C: Lei mi colpisce e disorienta. Non capisco la frase.
L: Semplice. Parafraserò così: credo che la sua sia un’affermazione personale, anche se ora, come confessore, riveste un ruolo divino.
C: Ha ragione. Diciamo: entrambe le cose. Vorrei solo fare un’osservazione: lei sicuramente è una persona molta sicura di sé. Però in questo modo rischia d’essere il fariseo e non il pubblicano.
L: Sicuramente lei allude alla parabola di Lc 18, 9-14.
In merito a ciò pongo alla sua attenzione 2 fattori importanti: a) Sono quel che sono, perciò non perfetto. Ciò non significa che l’affermare ciò che in effetti si è sia peccato. b) Le parabole sono spesso distorsive. E Gesù poteva essere molto più chiaro e esplicito nel dire  (insegnare), senza celarsi dietro a parabole allusive col suo noto chi ha orecchi da intendere intenda. Ne consegue che la stessa cosa possa essere intesa ed interpretata in vari modi, talora pure eticamente e socialmente contrapposti.
Ora le dirò una cosa. Dovrei forse fare l’attore e dirle: Buon Dio, sono il più idiota di questo mondo, pecco 70 volte al giorno e non son degno di stare al Suo cospetto?
C: Perché mi dice “Buon Dio”? Io non sono Dio, ma solo un Suo ministro.
L: Ha perfettamente ragione. Però ora le faccio una domanda retorica: oltre che con lei, Suo ministro, non sto forse ora davanti al cospetto di Dio?
C: Sicuramente.
L: Bene. Lei è la Sua voce, le Sue orecchie e il Suo braccio destro assolutorio. Perciò, considerato tutto, ora dovrebbe spiegarmi i passaggi del fico maledetto citati in Mc 11, 12-14; 11, 20-21 e con poca differenza in Mt 21, 18-19. Perché è ovvio che il fico non ha alcuna colpa se uno vuol raccogliere frutti fuori stagione. Segue, infatti, solo la Sua legge, che Egli ha stabilito alla creazione.
Inoltre gradirei essere illuminato pure su Mc 5, 1-20. Perché a molti parrà un gran miracolo, ma per i mandriani dei porci fu solo un gran danno e disastro economico. E creare danno ad altri è per me un gran peccato.
C: Ciò che pare a prima vista ha in realtà un significato simbologico e traslato. Non deve essere letto letteralmente. Se uno ha fede in Gesù e in Dio, nulla gli è impossibile. Diversamente è condannato alla dannazione, perché la Salvezza viene solo dalla fede in Dio.
Comunque mi congratulo con lei per la grande conoscenza della Sacre Scritture. Le cita perfettamente con assoluta padronanza. Le dirò che prima di rispondere ho dovuto fare memoria di ciò. Se lei mi avesse fatto solo le citazioni, senza allegarci l’immagine del fico e dei porci, non avrei saputo rispondere.
L: Assai strano, considerando il pluralis maiestatis. Sarebbe come dire che chi ha scritto non sa poi leggere ciò che scrisse. Ciò è indice – mi permetta - di una monocultura da sacrestia.
Potrei essere d’accordo con lei se la teofania fosse rappresentata da un essere umano. Ma essendo rappresentata solo dal regno animale e vegetale, l’interpretazione mi pare fuori luogo e forzata assai. A meno che, sia venuto a salvare pure il regno animale e vegetale, che però non possono possedere il Libero Arbitrio.
C: Incolpa forse Dio d’essere un peccatore? Ciò sarebbe gravissimo! Mi risponda!
L: Io non incolpo nessuno. Semmai è chi scrisse, chi lo ispirò e chi dà di ciò un’interpretazione forzata che potrebbe portare a questa considerazione. Io cerco solo di capire ciò che Voi volete dire e avallare.
C: Lei mi spaventa. Pare che più che essere il confessore io sia il confessato. E con me Dio.
L: Le dirò che forse non ha tutti i torti. Nella mia vita, come simbiologo, ho spesso dovuto “confessare” alcuni di voi, specie se in crisi esistenziale e umana. Oltre che a cercare di ricostruirli psicologicamente, ritenendosi essi dei falliti.
C: La questione mi sfugge. Lei è forse un druido? Chi è e che fa il simbiologo?
L:  Le risponderò in modo scientifico e non col diritto canonico. Il simbiologo spesso confessa le persone, perché capisce anche quello che queste tacciono, non dicono o sottintendono. Comunque questo non è il luogo per un corso accelerato di simbiologia.
C: In sostanza che ha da confessare? Non mi dirà che non ha mai fatto peccati.
L: Credo che vi sia un malinteso di fondo nella sua religione, se afferma testualmente che il giusto (santo) pecca 7 volte al giorno. Bisognerebbe stabilire prima se uno sbaglio può essere un peccato, oppure quando si sovrappone ad esso. Diversamente i santi sarebbero tutti dei “fedeli” degenerati.
Credo fermamente che il peccato sia un atto volontario di compiere danni ad altri, perciò a Dio. Essendomi sempre astenuto da ciò, non credo di averne.
C: Non mi vorrà far credere d’essere immacolato e di non aver mai peccato. Non si è mai pentito d’aver fatto un atto che poi ritenne sbagliato?
L: Vede, forse lo Pneuma lo ha poco istruito e illuminato. Diversamente non parlerebbe così. Siamo alle tre condizioni canoniche iniziali perché il peccato sia tale. E non sottovaluti il valore istruttivo che lo sbaglio arreca all’uomo grazie all’esperienza che fornisce.
Procedendo nei ricordi passati potrei forse – e sottolineo il forse – riconoscere uno sbaglio. Non so se oggi accetterei di compiere un’azione simile, che in verità fu allora un vero è proprio atto di guerra.
C: Dica. Se solo ha dei dubbi in merito, solo il confessarlo le porterà l’assoluzione di Dio. Lui sa giudicare meglio dell’uomo. Sempre.
L: Vede, il fatto è che chi mi commissionò l’operazione, alle mie rimostranze sulla linearità d’una simile operazione, mi disse ben altro: ‘Dio sarà con te perché per questo ti ha scelto’.
C: Come sarebbe a dire?
L: Per capirmi lei deve ascoltarmi. Anche se credo fermamente che la storia iniziale la conosca quanto me.
C: Dove intende parare? Come potrei essere a conoscenza di una sua azione passata, forse peccaminosa?
L: In effetti, usando il pluralis maiestatis, lei dovrebbe saperlo benissimo; ma forse le sfugge il nesso.
C: Mi permetta di dirle che tutto ciò mi pare sibillino e quasi provocatorio, oltre che accusatorio. Forse ci conosciamo?
L: Vedrò di chiarirle le idee. Lei non è forse il Segretario di questo Land, fuori da questo confessionale?
Voi, tempo fa,  avevate il gran druido … - (omissis) - segregato e impelagato in una situazione scabrosa; e temevate che gli potessero estorcere qualcosa. Dopotutto non sapevate a che santo appellarvi, nonostante la vostra grande … fede. Sicché chiamaste … me.
C: Da ciò che mi ha appena detto ora ho capito. Tralasci il resto. Lei è il carismatico … - (omissis) -. Me lo poteva dire subito. Da una parte ho il piacere di rivederla, dall’altra ho l’imbarazzo di confessore nel sentire dubbi morali che mi coinvolgono. So, comunque, che lei agì senza colpo ferire. Di ciò deve essere cosciente anche lei. La Ragion di Stato, talora, impone considerazioni che possono apparire al profano  not politically correct.
Sono comunque convinto che il Buon Dio sarà felice di perdonarla per questo suo presunto peccato. Se lei lo desidera e manifesta pentimento.
L: Forse mi ha frainteso. E non mi dica che sono un profano.
l mio rincrescimento in materia non è quello del pentimento, ma solo quello di avervi dato … una mano. Considerato tutto mi sarebbe piaciuto lasciarvi nei vostri … guai, per vedere come ve la sareste cavata, sia con la vostra coscienza che con l’opinione pubblica.
C: Ciò che dice non è molto caritatevole ed è un peccato di presunzione. Dio ha i suoi progetti e fini che a noi possono sembrare sconosciuti, ma che tuttavia sono per il bene e la salvezza dell’umanità. Di ciò lei deve esserne cosciente.
L: Cosciente o no credo che lei ora debba confessare altri. Non posso trattenerla oltre ai suoi … doveri pastorali. La saluto.
C: Aspetti! Prima devo darle l’assoluzione.
L: Lei non può darmi l’assoluzione per il semplice fatto che in me non vi è pentimento. Al massimo solo rincrescimento. In compenso posso assolverla io, secondo il vostro Cod. iur. can., can. 960-63
Ego te absolvo a peccatis tuis in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen
 
Leone si alzò e usci.
Il confessore rimase interdetto; e alla formula dell’atto sacramentale, pronunciata da Leone, gli venne istintivo farsi il segno della croce da … bravo penitente.
Fuori la zia Tilde aveva atteso fremente e gioiosa la fine della confessione di Leone, convinta che le sue preghiere e sollecitazioni fossero servite per intenerire il cuore del Buon Dio.
Vedendolo uscire rilassato e sorridente pensò che si fosse convertito. Tuttavia, come sua abitudine di zitella conclamata, lo apostrofò così: Hai confessato tutto?
No! – rispose Leone, sorridendo divertito – Mi sono solo limitato a confessare lui ed ad assolverlo dei suoi peccati.
La zia Tilde pensò che scherzasse; e per le altre 2 settimane di girovagare tra arte, sacro e cultura se ne stette felice e contenta.
Vedendo però che non si comunicava, né che si faceva mai il segno della croce, gliene chiese ragione, ottenendo la divertita risposta di Leone: Sai, zia,  è la penitenza che devo fare per un certo periodo.
 
Dopo molti anni Leone decise di convolare a nozze con una devota, bella, formosa e bionda Leonessa etrusca.
Le nozze blindate si svolsero nella chiesetta del castello dei Conti Guidi, appollaiato in cima ad una collina sovrastante Florence.
Le presenziò il gran druido Lux, primate etrusco, concelebrando con altri druidi in una toccante cerimonia.
In quell’occasione Leone si comunicò, assumendo sia il pane che una sola goccia di vino. Era, infatti, astemio.
Presumibilmente  aveva concluso il lungo periodo … penitenziale, che a suo tempo non aveva del tutto convinto la Zia Tilde.
 
Sesac