martedì 24 novembre 2015

Terrorismo e terrore mediatico.

I tragici fatti di questi ultimi tempi impongono una ponderata riflessione, al di là dei luoghi comuni che governi e media vogliono accreditare.
Anni fa m’interessai del fenomeno da esperto e studioso, anche perché in Italia quelli della mia generazione hanno conosciuto tutti, più o meno direttamente, il terrorismo nelle sue varie matrici stragiste, partendo da quello mafioso per finire a quello ideologico (rosso e nero) o fondamentalista.
Basti citare a proposito, in campo occidentale, gli U.S.A. con le Torri Gemelle, la Spagna, la stessa Francia e pure la Germania; e, indirettamente la Tunisia col museo del Bardo.
Oltre a altre nazioni con fatti magari isolati ma sempre eclatanti.
 
Analizzare il terrorismo non vuol dire – come fanno i media e ora Hollande, ma pure il Papa con il suo Maledetti! – demonizzare chi questi tragici fatti li perpetra, ma capirne l’eziologia che ovviamente è complessa e, per ovvie ragioni, non può andare con un sistema retrospettivo fino ad Adamo ed Eva.
Le colpe di questi fenomeni sono dovuti sempre a macroscopici errori politici – ma pure religiosi -, che, inevitabilmente, si riversano poi nel campo sociale. Quando, infatti, non si pone rimedio agli errori precedenti, è ovvio che i guasti esplodano poi nel tempo, o in proteste eclatanti o in una ribellione armata interna o esterna di sparute frange estremiste.
 
Affermare che le Torri Gemelle sono il frutto di una sbagliata politica egemonica estera americana sarebbe riduttivo, anche se in parte giustificativo.
Tuttavia, a ben guardare, la storia tra Bin Laden e gli U.S.A. è un intreccio continuo di finanziamenti, addestramenti, armamenti e appoggi logistici sfociati poi in voltagabbana e tradimenti, e, infine, in una guerra aperta.
Approfondendo, poi, si può osservare che Bin Laden sia stato lo strumento indiretto americano per fronteggiare (ostacolare) l’occupazione russa in Afghanistan. Abbandonato poi a sé stesso quando non serviva più. Un tale gruppo, però, logisticamente è complesso e non può sbriciolarsi socialmente con una semplice decisione politica. Perché le innumerevoli persone che lo compongono o devono essere ricollocate, con un nuovo ruolo e ragione nella società, o sopravvivono come organizzazione, schierandosi dove non solo gli è possibile, ma anche utile, per mantenere quel poco o grande potere che in quell’area hanno raggiunto. Di conseguenza l’unione (alleanza) di interesse operativo con i Talebani è stato un fatto naturale obbligato e non sottovalutabile.
 
Obama, giorni fa in Turchia al G20, proclamava impettito che gli U.S.A. hanno il miglior esercito del mondo, i migliori strateghi del mondo, il miglior armamento del mondo … e via dicendo.
Ora, con buona pace di Obama, potrei semplicemente aggiungere che è appunto per quello che in Vietnam l’han presa nel posteriore – (mi scusi il lettore l’espressione forte) -, in Afghanistan e in Iraq pure, che con l’Iran siano dovuti scendere a patti, che in altre occasioni abbiano dovuto ricorrere a forze terze per rimediare alcune situazioni sgradevoli. Che, infine, Obama stesso, con la sua politica estera fallimentare, abbia destabilizzato tutto il Maghreb, i cui frutti tragici oggi si manifestano nei paesi occidentali.
Gli americani e Obama non hanno ancora capito una cosa: controllare i sassi è facile, le persone meno. Specie se queste hanno per cultura dalla loro tutto il tempo che vogliono per rivoltarsi contro, aspettando il momento propizio per colpire.
 
I tragici fatti di Francia di quest’anno sono, tuttavia, solo in parte addebitabili alla politica americana e occidentale in generale.
Sono, per lo più, il frutto anche di una sbagliata politica immigratoria, che doveva essere gestita e programmata in modo diverso soprattutto in campo scolastico (culturale) e sociale.
È, in pratica, lo stesso errore che sta facendo ora l’Ue con l’ondata di migranti che si sta riversando o nei Balcani per via terra, o nei paesi mediterranei (Grecia e Italia) per via mare.
Accogliere vuol dire soprattutto integrare. Per farlo bisogna non mantenere questa gente col solo welfare, ma, bensì, dare loro un’occupazione stabile, che sia in grado di permettere in futuro una vita decorosa e autosufficiente.
Il lavoro non è di per sé bastante per integrare; abbisogna pure della cultura per creare una società plurietnica e non multietnica. Diversamente si ghettizza solo.
Per farlo bisogna investire molto in istruzione anche per i soggetti adulti; e non solo alle nuove generazioni che qui nasceranno.
 
I fatti di Francia, per essere compresi bene, abbisognano di alcune premesse:
a)      La rivolta delle banlieue.
b)      Gli interventi militari francesi in Africa e Asia Minore.
c)      Le stragi subite non per mano di forze pervenute dall’esterno, ma di propri cittadini di fede religiosa diversa.
 
Quando ebbi l'occasione in passato di trovarmi nelle metropoli francesi, trovavo le periferie popolate per lo più da magrebini.  Nella stessa metropoli convivevano nella multietnicità popoli completamente diversi, ognuno dei quali viveva mantenendo la propria peculiarità d'origine.
I francesi autoctoni secondo le abitudini e i valori repubblicani di liberté, legalité, fraternité; i magrebini secondo i dettami e le abitudini islamiche e coraniche.
Da ciò si deduce che la Francia sia tuttora una società multietnica e non plurietnica. I popoli che la vivono procedono ognuno su binari paralleli, con cultura, religione, usi e abitudini diverse. Non vi è integrazione, ma solo coabitazione sociale di uno stesso territorio. Sono due mondi che convivono, ma che non si confrontano. Senza confronto non vi può essere integrazione, neppure a carattere economico, anche se interagente.
 
All’origine i principi della Rivoluzione francese erano già falsati dal settarismo politico. A chi, infatti, era la parte soccombente in quel momento (chiesa, nobiltà, oppositori politici) gli veniva ghigliottinata la testa, in barba ai proclami libertari e legalitari.
Molti anziani ricorderanno l’emblematica frase pronunciata da De Gaulle: La France c’est moi!
Appunto perché l’immigrazione in quel momento espansivo era necessaria solo a livello economico, ma non sociale.
La società e la scuola francese, di conseguenza, non sono state capaci di integrare le nuove generazioni degli immigrati, facendo di più popoli, compreso quello francese, un solo popolo.
E questo è maggiormente grave e imputabile in uno stato che si dichiara “laico”.
Inevitabile, dunque, che con l’incancrenirsi dei problemi sociali per la crisi che ha colpito l’occidente, esplodesse prima la rivolta delle banlieue, poi la lotta armata di gruppi (cellule) estremisti interni.

Un fattore da non sottovalutare è la fede religiosa. Non vi sono religioni buone o cattive, giacché una religione è solo una religione.
Le religioni sono sempre state fattore di divisione e di guerre, anche in campo cristiano. Proprio perché è una caratteristica prettamente religiosa quella di diversificare e mai integrare, perciò di fondersi (amalgamarsi) con altre religioni.
Ora, a parte gli ultimi papi, si ricordino le guerre sante promosse da molti pontefici del tempo passato, come ad esempio le Crociate. Basti a proposito ricordare che Papa Giulio II (Giuliano della Rovere) morì con la spada in mano, mentre su una scala dava l’assalto con le proprie truppe alla città di Bologna, in un periodo dove politica e religione erano strettamente connesse al potere.
Come, per andare nel presente, si possono ricordare i due diversi anatemi cattolici contro chi agisce e la pensa diversamente: il Convertitevi! ai mafiosi di Giovanni Paolo II, e il recente Maledetti! di Francesco ai terroristi e ai venditori di armi.
Ovviamente vi sarebbe molto da approfondire in campo teologico sull’opportunità culturale di tali affermazioni, anche se così oggi va il mondo … religioso. Non per nulla il cattolicesimo ha ora un papa da … favelas.
Anatemi ai quali voglio contrapporre la diversità intellettuale e religiosa di un altro papa recente, Paolo VI, citando il seguente passaggio di ben altro spessore:
Io scrivo a voi, uomini delle Brigate Rosse: restituite alla libertà, alla sua famiglia, alla vita civile l'onorevole Aldo Moro. … Ed è in questo nome supremo di Cristo, che io mi rivolgo a voie vi prego in ginocchio, liberateTutti noi dobbiamo avere timore dell'odio che degenera in vendetta, o si piega a sentimenti di avvilita disperazione. E tutti dobbiamo temere Iddio vindice dei morti senza causa e senza colpa.
Dire che le tre religioni monoteiste adorano lo stesso Dio è errato e superficiale, considerato che sono tre modi diversi di interpretare Dio, non solo culturalmente, ma soprattutto teologicamente, con tutte le implicazioni a carattere etico e sociale che ciò coinvolge.

L’attacco alle Torri Gemelle venne dall’esterno; quelli francesi vengono dall’interno.
L’Isis è un’aggregazione spontanea di persone, che si riuniscono in gruppi per lo più per dettami religiosi. Ciò significa che hanno bisogno di indirizzi specifici di vita, anche arcaici, perché la società in cui vivono non è in grado di darglieli in campo sociale. E le religioni, con i propri imperativi categorici, sono modi semplici di indirizzare la vita, anche se poi questi dettami s’integrano sempre con interpretazioni personali. Ne consegue che pure il concetto filosofico di Dio, per antonomasia datore di vita, diventi pure portatore di morte verso l’infedele, sia che questi sia dello stesso credo, anche se moderato, sia che sia di un altro credo o agnostico.
È molto interessante chiedersi perché in uno stato laico come quello francese ciò avvenga. La risposta è semplice: perché la società di quel paese ha fallito l’integrazione e con questa l’istruzione culturale dei vari gruppi etnici immigrati

La Francia ha deciso tempo fa di intervenire in Siria contro l’Isis con alcuni cacciabombardieri.
Ovviamente quando una società, come quelle occidentali, diventa di pantofolai, il concetto di guerra si sposta dal calcare il terreno all’intervento dal cielo. Proprio perché il confronto diretto di uomo contro uomo implica rischi tali che facilita il numero dei morti. Morti che la società occidentale non è in grado psicologicamente di assorbire e sopportare.
Ciò, tuttavia, implica che chi persegue la stessa fede di chi è attaccato, specie se ghettizzato ed emarginato, straniero di fatto nella propria nazione, tenda inevitabilmente a simpatizzare per lui.
Schierandosi, di conseguenza, con questo in modo politico: perciò costituendo cellule belligeranti interne alla propria nazione, oppure migrando per combattere a fianco del fratello nella fede.
È la realtà in cui vive che non gli piace e non lo soddisfa, spingendolo a trovare altre alternative e a lottare per queste.

È il concetto di morte che sia il singolo individuo, sia la società tendono a rimuovere. Ed è lo stesso concetto che quando ciò avviene per atto terroristico, con un numero di morti più o meno rilevante, la nazione che lo subisce basisce.
Lo stesso concetto di morte, tuttavia, colpisce anche il terrorista, ma, ovviamente, con risultati opposti.
Perché? Perché il credo religioso che segue in quel momento dà al terrorista un significato diverso.
Le religioni introdussero il concetto di martire: colui che sacrifica la propria vita per la fedeltà a Dio.
Abbinandolo al concetto di ricompensa/premio per tale eroico atto.
E se per il cristiano ciò significa la vita eterna nell’aldilà, per l’islamico significa una specie di immediata metempsicosi, perciò di rinascita in una situazione sociale nettamente migliore.
In questo modo il concetto di morte, perciò di annientamento dell’individuo, viene catechizzato, tanto d’essere quasi bramato. Ciò, non avviene però in una società laica, proprio perché il laicismo confina l’eventuale religione all’individuo, che, in quanto laico e privato dei valori religiosi, trova la propria sola risposta all’annientamento/morte dell’individuo nel sostegno della massa, onde catechizzare il proprio tabù interiore.
Ciò, ovviamente, è valido anche in campo religioso; tuttavia viene superato dalla teorica ricompensa che fa apparire il danno di molto inferiore al premio. Un mezzo (passaggio) necessario per ottenere il premio.
Chi compie stragi è quasi sempre carente in cultura. Ciò potrebbe essere plausibile in una nazione emergente o terzomondista, ma non in un paese occidentale evoluto.
Se ciò avviene è perché la società di quella nazione ha fallito nel suo impegno educativo e culturale con il proprio impianto strutturale, isolando e ghettizzando parte dei cittadini invece di plasmarli come gli altri, quindi di amalgamarli al proprio corpo sociale.
Che ciò sia avvenuto in Francia non è poi tanto strano, considerato che la laicità demanda al singolo cittadino quei valori religiosi, etici e morali individuali che sono necessari anche alla pacifica convivenza sociale.

Un’annotazione a parte va fatta per il tempo che i media riservano a tali avvenimenti, con dirette e commenti che durano anche giorni interi.
Quando una strage avviene, pure l’inviato sul posto non è in grado di percepirne modalità, portata, causa ed effetto, se non per l’emotività propria e dell’ambiente in cui si è calato.
L’emotività, ovviamente, non è oggettività e, spesso, neppure perfetta percezione del fatto, che solo un’indagine approfondita può avvalorare.
Siamo nel mondo della comunicazione istantanea, ma questa comunicazione spesso non è ciò che avviene, ma ciò chi si desidera comunicare. Caso strano, in simili avvenimenti, si comunica quel tabù stesso – morte e sangue – che l’individuo e la società han cercato di rimuovere dalla propria esistenza, ma di cui si è famelici consumatori se il fatto riguarda altri e non sé stessi.
La comunicazione mediatica tracima in spettacolo; e più questo è cruento più audience fa.
Ciò risveglia gli arcaici timori escatologici che sono alla base della vita, facendo pure il gioco di chi tali atti  compie: la grancassa mediatica.
I paesi Ue si sono premurati tutti di mettere subito in atto misure eccezionali di sicurezza e di intelligence, onde placare il terrore mediatico che simili avvenimenti, con la complicità dei media, hanno instaurato nell’opinione pubblica.
Ovviamente ci sarebbe molto da discutere sull’estemporaneità di tali misure, perché se prima non erano attive è perché il problema non era percepito o era disconosciuto.

Bombardare l’Isis in Siria e in Iraq servirà a poco. Come a poco è servito occupare per lungo tempo l’Iraq e l’Afghanistan. A meno che si voglia mantenere il fronte aperto per decenni.
Sicuramente si creeranno altri morti innocenti, fomentando nel mondo occidentale il risentimento di molti islamici, specie di quelli ai bordi della società e ghettizzati.
A tale proposito vorrei ricordare le manifestazioni di giubilo un po’ ovunque da parte islamica per l’attacco e i morti delle Torri Gemelle.
L’Isis, dopotutto, sorse per guerreggiare per procura l’Iran. Ovviamente è facile intuire chi fosse il committente. Non per nulla, oggi, l’Iran è una delle nazioni maggiormente schierate per distruggere il Califfato.
Poi, come Bin Laden, è stata scaricata dopo l’accordo politico con l’Iran. Perciò ha dovuto riposizionarsi per mantenere il proprio ruolo e le migliaia di uomini ch’erano nei suoi ranghi.
Secondo fonti ufficiose si parla già di 8.000 raid aerei compiuti dalle forze occidentali in Siria, ai quali vanno aggiunti i 400 raid effettuati dai russi in questi giorni.
Per quanto le bombe possano essere “intelligenti” vi saranno stati almeno più di un migliaio di morti innocenti (civili), considerato anche che sono stati distrutti pure ospedali di Emergency ufficialmente segnalati, protetti dalla Convenzione di Ginevra che, in effetti, ora è … carta straccia. Ma, di questi morti, per lo più per mano occidentale, a nessuno interessa. Non si ha alcun utile a renderli … notizia spettacolo.

Le grandi crisi han sempre prodotto guerre. L’attuale non fa eccezione, considerato che le guerre celano, dietro le ragioni politiche dichiarate, ingenti interessi.
È solo cambiato il modo di guerreggiare. I paesi emergenti e terzomondisti lo fanno calcando il proprio terreno, gli occidentali solcando i cieli altrui e con i piedi per terra solo per procura.
Solcare i cieli è però un semplice surrogato, tant’è che la Francia paga sulla sua pelle la sciocchezza del suo mostrarsi muscolosa, non cavando un ragno dal buco per manifesta incapacità operativa sul campo.
Solo il deciso e massiccio intervento militare russo è stato per ora capace di fermare l’avanzata dell’Isis.
Tutto ciò ha un costo economico notevole, atto solo a dilatare i Debiti sovrani.
Hollande ha già affermato che ha bisogno di flessibilità sui conti perché deve investire molto in sicurezza. Non ha spiegato se quella interna o quella di andare a bombardare altri.
Sarebbe interessante vedere Papa Francesco pronunciare il suo Maledetti! anche per alcuni capi di stato guerrafondai, dopo aver promosso all’inizio del suo pontificato una giornata di preghiera per scongiurare l’attacco americano alla Siria di Assad.

Ma, lasciatemelo dire: … erano altri tempi! 

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