Nel Pd da molto tempo è in corso una lotta insensata tra il nocciolo duro e reale dell’agglomerato partitico e quello ruspante e “ducettaro” di Renzi.
Quando nacque il Pd finì Prodi; ora che vi è il Governo Letta, forse … scomparirà il Pd.
Se il Pd è ancora oggi un partito unico lo si deve a Berlusconi. Il quale, puntando prima pragmaticamente alla rielezione di Napolitano e poi al Governo di larghe intese, lo ha salvato dal disastro della disgregazione e frammentazione totale. L’avvento di Letta come capo del Governo è valso a ricompattare sul minimo comun denominatore tutte le anime (correnti) interne, ad eccezione di quella “renziana”.
Berlusconi, ovviamente, lo ha fatto a ragion veduta: il crollo del Pd, infatti, solo in parte lo avrebbe favorito, proprio perché M5S, assai più radicale, avrebbe assorbito molti degli elettori di Sx, col rischio che potesse diventare la prima forza politica della nazione.
Renzi ha già perso più volte e sempre; nonostante faccia il Gian Burrasca guastafeste, assumendo in ogni occasione possibile la linea opposta a quella seguita dal partito. Si è salvato solo nella partita per le primarie al Comune di Firenze, dove ha potuto giocare sulle divisioni interne e sulla componente cattocomunista. In ogni altra occasione si è sempre trovato in minoranza e sconfitto, nonostante si proponga nell’aspirazione come forza egemone e vincente.
Renzi è un democratico anomalo e uno sconfitto nato, anche perché oltre all’idealismo confusionario non è in grado di porre in campo altro che il volontarismo scoutistico.
Perciò, nonostante i suoi bellicosi e trionfalistici proclami, oltre che a perdere ogni partita iniziata baldanzosamente, ha fatto perdere anche il partito in credibilità e in sostanza.
Prima voleva cambiare le regole in corsa, anche perché intuì che solo con forze esterne al partito avrebbe potuto vincere. Ora le vuole (a suo modo) prima del Congresso, semmai si farà e se non avrà creato, prima, la disfatta del partito.
Credo che se non ci fosse l’autorità istituzionale di Napolitano il Pd si sarebbe già disintegrato.
L’Egitto ha iniziato con la Primavera araba, forte soprattutto di un avallo esterno d’una grande potenza, il cui capo s’era premurato di fare un discorso idealistico al Cairo.
Purtroppo la Primavera araba è naufragata ovunque in instabilità e disordine. Nel Maghreb con alterne fortune più o meno democratiche, in Siria in una sanguinosa guerra civile. Anche se bisogna aggiungere che gli occidentali ci han messo volentieri non solo lo zampino, ma pure tanta buona … volontà per destabilizzare totalmente buona parte dei paesi arabi. Incuranti degli entusiasmanti (?) risultati ottenuti prima nell’allora Persia, poi in Iraq e Afganistan.
I Fratelli mussulmani in Egitto hanno intrapreso un percorso politico alla Renzi, ignorando le aspettative delle altre forze politiche, comunque maggioritarie, anche se tra loro divise nel Paese.
Ciò, ovviamente, ha contrariato il padrone del vapore, al quale non è parso vero di poter cambiare, con la scusa della democrazia, l’appoggio politico internazionale dato inizialmente, togliendolo a chi era stato eletto per darlo ai … militari.
Risultato: scontri tra fazioni, morti, feriti e violente manifestazioni di piazza giornaliere.
Il Pd non ha una linea politica se non quella antiberlusconiana. È stato scavalcato e soppiantato in ciò nel ruolo e nel risultato da una certa magistratura.
Il Pd, però, non ha soprattutto una linea economica, perciò una visione precisa di come intervenire sull’economia e sulla finanza per far uscire il paese dalla crisi. Non ha ancora smaltito le idee economiche marxiste delle fallite democrazie socialiste. Ha subito passivamente e in modo coatto le manovre vessatorie di Monti.
Letta, ad esempio, appena fatto premier è corso dalla Merkel prima che dall’Ue, cercando l’avallo del padrone del vapore di turno. Proprio come dopo la candidatura a premier alle elezioni, Bersani volò a Berlino per lo stesso motivo.
Stefano Fassina è un bocconiano; e dopo i tanti danni causati dalle manovre di Monti ha capito, da economista, che le troppe tasse sono il killer dell’economia prima e della democrazia poi.
Tanto da fargli affermare ora che se l’Italia ancora galleggia è perché esiste un’evasione di sopravvivenza, in quanto è naturale che in un sistema economico super tartassato di tasse – il 54% di dirette e il 75% totale – ci sia una stretta relazione tra fuga dal fisco e insostenibilità delle tasse. Con ciò scatenando l’ira (naturale) della Camusso.
Il capire ciò non vuol dire avallare e giustificare l’evasione. Significa solo comprendere che la nazione è allo stremo e che sta sprofondando nella … Fossa delle Marianne.
Lo Stato tassa troppo, spende troppo e male e non sa come salvare capra (economia) e cavoli (entrate).
L’operato dello stato è frutto delle linee dei partiti, perciò pure della loro incapacità a correggere le storture soprattutto finanziarie.
Latitano le idee sui rimedi. Manca la progettazione di una società nuova, diversa, omogenea e solidale. È assente, soprattutto, il raccordo tra la Finanza e l’Economia, con l’insita convinzione che la finanza debba essere al servizio dell’implementazione economica, perciò pure occupazionale.
Papa Bergoglio, nella sua carente concezione culturale economica, lo intuisce, anche se solo come idea. Ovviamente non è in grado né di fare una preposizione progettuale, né sociale. Proprio come un uomo qualunque del popolo.
Tuttavia – e è estremamente importante – ragiona e pensa non da papa, ma da popolo, vedendo, comprendendo e vivendo le istanze e le difficoltà del singolo comune cittadino.
Il lavoro, l’occupazione e il reddito non sono concetti campati in aria, ma sostanziosi punti vitali tra loro strettamente connessi, totalmente opposti a recessione, disoccupazione e povertà.
Il Pd si è battuto strenuamente – pur se con motivazioni prettamente ideologiche - contro l’evasione fiscale, trovando il suo capro espiatorio non nelle leggi nazionali e internazionali, che consentono in modo sistematico l’elusione legalizzata dell’imposizione, ma nel soggetto delle Partite Iva. Ha visto il bruscolo nell’occhio altrui (lavoratore autonomo), non riconoscendo la trave in quello proprio (stato), contribuendo a creare il mostro Equitalia.
Il Pd non ha un leader, ma neppure le idee. Difficilmente le troverà col congresso, destinato molto probabilmente ad essere il duello finale tra renziani e resto del partito.
Ciò implica la carenza assoluta del concetto di democrazia, di cui la minoranza facente capo a Renzi ne è l’assolutizzazione ideologica e pretenziosa.
Eppure il partito qualche mente ce l’ha e Fassina potrebbe essere uno di questi.
Il leader ha sempre un chiaro progetto economico in testa e lo comunica agli altri, cercando di farlo diventare il progetto politico di tutti.
Egitto e Pd con varianti diverse stanno percorrendo la stessa strada: quella della dissoluzione dovuta a lotte interne fratricide. Che spesso portano poi a delle dittature.
Non per nulla Renzi sostiene la sua ideologia dell’uomo solo al comando, dimenticando (interessatamente) che la storia insegna che là dove ciò è avvenuto vi sono poi state delle lunghe e dolorose degenerazioni democratiche e sociali ai danni di tutti.