Il Nobel per la Pace è stato assegnato all’Ue. Considerato che fu dato pure a Obama, sulle sue … buone intenzioni, ci può anche stare.
Tuttavia l’Ue – secondo motivazione ufficiale – ha favorito la pace per 60 anni dopo il secondo conflitto mondiale. Ovviamente dimenticando: la guerra fredda, le guerre fratricide nei Balcani (ex Iugoslavia, Albania, Kosovo) in cui siamo pure andati a combattere, la guerra in Iraq, quella in Afganistan, e le molte altre che alcuni stati europei hanno fomentato e in parte guerreggiato in Africa. Basti ricordare attualmente la Libia e quelle precedenti nell’Africa nera o magrebina, dove la Francia, con altre, si è distinta in modo particolare.
L’industria bellica pesante europea ha sempre tratto grossi profitti; ma non solo: dove non guadagnava assai si è provveduto negli ultimi 2 decenni a combattere con la finanza globalizzata guerre interne e esterne in modo proficuo.
Nelle manifestazioni di piazza di ieri in Grecia vi è stato un morto; sempre là, ma anche in Italia, centinaia di suicidi – anche ieri uno si è dato fuoco davanti al Quirinale -. Senza contare le persone senza lavoro, le ditte fallite, le banche salvate, i bilanci degli Stati aderenti in ginocchio, il Pil crollato, i risparmi bruciati ovunque e la caterva di tasse e di tagli che hanno investito specie i Paesi deboli mediterranei.
Tant’è che il posato Tremonti[1] ha promosso una lista tutta sua – per ora proprio … tutta -, accompagnandola con un documento dal sinistro e sinistrorso nome sessantottino: IL MANIFESTO ( Sintesi ).
Emblematica la prima fase del suo bellicoso proclama, che vale essere citata:
“Siamo in guerra.
Dentro una strana guerra: economica, non violenta, “civile” e per questo diversa da quelle del passato. Soprattutto una guerra economica. Ma pur sempre una guerra!
Possiamo perderla, questa guerra, se per paura accettiamo di farci colonizzare, se nel 2013 votiamo per dare il nostro richiesto consenso al nostro assistito suicidio.
Da quando hanno deciso di “salvarci”, sottomettendoci ad una cura che loro chiamano “distruzione creatrice”, abbiamo infatti in Italia troppe tasse e troppa paura.
Un conto è tassare il reddito prodotto, un conto è impedire con le tasse che il reddito sia prodotto!”
Parole genericamente condivisibili e forse più consone ad un Grillo che a un Giulio.
Così va oggi il mondo!
Le guerre, tuttavia, in barba ai Nobel non si fermano qua.
In Italia vi è quella tra Monti, con un indice di gradimento infimo, – che continua a dirci che con lui ci siamo salvati e abbiamo ripreso credibilità internazionale; che però io non vedo affatto girando e noto pure peggiorata con sberleffi vari proprio sul suo ruolo – e il Popolo italiano, che di lui ne deve aver piene le tasche, specie di quelle vuote, per tasse e fame, poste quasi … al collo. Ma, si sa, da tempo la democrazia è stata sostituita dall’oligarchia referenziale, come dice Tremonti.
Il Governo di Napolitano ha avuto il pregio (eufemismo) di frantumare il bipolarismo, facendo saltare subito l’alleanza nel centrodestra tra PdL e Lega, sfociata ultimamente nella guerra di Lombardia. E con la stessa modalità ha fatto brillare il detonatore interno nel grande contenitore PD, già di per sé stesso bellicoso al proprio interno dopo la batosta elettorale delle ultime politiche.
Come il crollo del Muro di Berlino ha scombussolato il blocco occidentale nel ‘89, così il Governo tecnico Monti – inviso a tutti e sostenuto quasi da tutti a colpi di voti di fiducia – ha sparigliato gli animi all’interno delle coalizioni, compresa la “virtuosa” Udc di Casini & C., che non può ritenersi fuori da alcun malaffare, come la storia anche di questi giorni insegna.
Nel PD, come se i problemi di credibilità non bastassero, il garibaldino Renzi ha provveduto ad assoldare “i suoi 1000”, onde muovere guerra alla stagionata dirigenza del partito, per rottamare a parole anche ciò che non andrebbe rottamato.
I giovani boy … scout sono così: braghette corte, fazzoletto al collo, cappello in testa, randello (bastone) tra le mani, zaino in spalla, trekking ai piedi e via all’avventura, magari per essere poi salvati o dai Vigili del Fuoco o dal Soccorso Alpino per manifesta … incapacità.
Il PD - purtroppo per lui ma anche per il PdL che è il suo opposto - è un contenitore politico, con un conoide a monte che fece deiezione proprio al suo interno delle varie forze che in quel punto erano franate. Che le si chiami Pc, Dc, Ds, Popolari, Margherita, Socialisti, Verdi, Radicali, Ulivo … non cambia nulla. E, strano a dirsi, questo movimento di smottamento sociale è avvenuto proprio dopo l’89, anno del crollo del Muro di Berlino e delle Repubbliche socialiste.
La morte del comunismo, passato armi e bagagli a fondersi col liberismo, ha costretto il vecchio Pc a trovarsi un nuovo ideale e un nuovo assetto sociale, onde non restare nei nostalgici destinati a scomparire.
Il nuovo muro di Berlino del PD è stato Berlusconi. Crollato costui per diverse ragioni, al suo interno è ricominciata la lotta fratricida per un nuovo assetto a parole ideologico, in verità di potere: una guerra quasi generazionale.
Chi l’ha promossa? Sicuramente qualcuno che ha fatto le prove generali, a spese del generale Bersani, in quel di Firenze e anche altrove.
Matteo Renzi[2] non è Garibaldi e neppure Cavour. È uno il cui grado di luogotenente gli è stato affidato da un generale astratto, che essendo solo giuridico non può esporsi in primo piano: l’alta finanza.
Perciò avanti con chi non ha nulla da perdere, semmai da … guadagnare.
Per scoprirlo basta controllare ciò che spende e chi lo finanzia. Perché è chiaro che chi non ha non può mettere in campo da sé truppe corazzate per combattere una battaglia minoritaria nel numero e nei mezzi, lunga, e lanciata in sordina già con l’avvento forzoso di Monti, che però non può essere smaccatamente perpetuato pur se auspicato.
La sua uscita a Milano di ieri va proprio in questo senso: avvicinarlo ai suoi finanziatori.
Renzi non è Franceschini. È nel PD solo per caso, perché di sx non ha quasi proprio nulla.
Per molti in Toscana l’essere nel PD – e nei suoi avi – fu un fatto normale di scelta politica, anche se nel Granducato il comunismo era solo nominale e non viscerale e ideologico come in Emilia.
Lui è lì perché la sua ambizione politica l’ha piazzato dove vi era maggiore possibilità di sfondare in quella regione. Fosse stato al Nord sarebbe stato in un altro partito.
Mentre Franceschini ha uno slang da oratorio, Bersani da Casa del Popolo e Bindi da vergine zitella inacidita, Renzi ha quello proprio del guascone populista che parla sempre senza dire nulla di più della prima frase che pronuncia. Perciò un tipo che ha ambizione, ma non sufficiente cervello per poter diventare un leader: un mezzo d’opera da … usare.
La moda politica (dei manovratori) oggi impone il nuovo, quindi ciò che è diverso pur se condizionabile: un anomalo del PD, visto che con la crisi la Dx pare aver perso per implosione d’alleanza la sua capacità di vincere, oltre che per scandali politici che per la verità sono ovunque anche negli altri schieramenti, parlamentari o extraparlamentari.
Vincere nel PD con Renzi non è sicuro. Però una sua sconfitta interna significherebbe spaccare il partito in due, nonostante i proclami di facciata dicano: chi perde appoggia il vincitore.
Perciò – in questo caso - dare una possibilità alla Dx di ricompattarsi, vista la lunga campagna elettorale che ci aspetta.
Rottamare è ciò che Renzi ha saputo proporre fin’ora.
Da sindaco non mi pare che faccia faville oltre ad essere il più amato. Basta recarsi in centro a Firenze per vedere il degrado urbanistico e sanitario in cui è tenuta, pessimo biglietto da visita per il turista maturo che non resta solo ammaliato dall’arte di Piazza Signoria, Santa Croce, Duomo …
Rottamare è un verbo del consumismo, perciò proprio della globalizzazione selvaggia che vuol farci diventare “oggetti consumatori”.
Rottamare, infatti, tende a buttare tutta l’esperienza avuta per sostituirla con del nuovo che non si sa se sarà utile e quanto durerà.
Rottamare vuol dire ritenere le persone semplici oggetti, non tenendo conto della storia e dei valori che li ha ispirati.
Rottamare vuol dire in sostanza distruggere una società.
Rottamare vuol dire anche impantanarsi in un’idea che può essere appariscente e attraente all’inizio, ma che alla lunga poi può anche aprire gli occhi a chi si vuole attrarre, quando il gridare al lupo diventa troppo ossessivo.
Renzi rischia d’essere il primo rottamato del suo proclama politico “Rottamare!”.
Forse per questo Renzi vuol passare alla fase 2 della sua campagna delle primarie, dopo la rinuncia di Veltroni e l’accenno di D’Alema a non ricandidarsi, se però vince Bersani.
Infatti, gli devono “aver consigliato” che su ciò sarebbe perdente, visto anche l’impegno organizzativo messo in campo per sbarrargli la strada dai Totem storici del partito.
Fase 2, ovviamente, tutta da inventare e da costruire.
Nella galassia PD la guerra di Renzi contro tutta la vecchia dirigenza può creare disaffezione alla politica, aprendo le porte anche dove l’individuo organico è preponderante ad una certa militanza. Perciò il PD rischia non tanto di cadere comunque in ginocchio, ma d’essere svuotato anche di quei pochi ideali che lo tiene ancora unito.
La guerra non è solo a sfaldare (rottamare) il PD, ma con esso anche l’Italia.
Ed è appunto ciò che la vecchia dirigenza – giovane e anziana – del PD intende contrastare con tutte le sue forze, agendo sull’apparato di partito e lasciando a Renzi esporsi con l’alta finanza per la costosa campagna intrapresa.
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