ovvero:
Giulio Tremonti e il suo programma.
Da molto tempo seguo Giulio Tremonti con estremo interesse, sia come politico che come persona.
È un buon soggetto analitico sia per capire la classe dirigente, sia per comprendere cosa un uomo, dall’impeccabile stile cattedratico, possa fare e dove possa arrivare.
Tratteggiarne un quadro esplicativo mi sarebbe assai facile, ma dovrei entrare troppo nel personale. Perciò mi limiterò a guardare a ciò che propone e dice.
Il Manifesto 3L di per sé non dice molto. Anzi più che altro pare un bellicoso proclama populista del tipo: qua si fa l’Italia (e Europa) o si muore.
Ciò che invece è molto interessante per capire bene il tutto non è tanto guardare il sintetico programma diviso in blocchi, bensì leggersi attentamente gli Approfondimenti ( Schede ). Da questi si può comprendere dove il Manifesto potrà far presa o no.
Giulio è un uomo preparato e capace, tenace e scontroso, sempre attento a migliorare la propria capacità professionale traendo spunto anche dai propri errori passati. Non è più, tanto per intenderci, il Tremonti di governo degli anni ’90.
Tuttavia ha sempre conservato quell’alta concezione (ben giustificata) di sé stesso che ha però il suo tallone d’Achille in una certa permalosità. Non è un uomo così socievole da trovarsi a suo agio con tutti: ama essere sempre non tanto il primo della classe (ober aller), ma oberhalb aller.
Non ammette che gli si contesti o che gli si opponga qualcosa. E chi scrive lo sa per esperienza: lo ritiene un atto di lesa maestà.
Gli Approfondimenti – talora carenti in sintassi e punteggiatura - rispecchiano questa situazione, tanto da poter essere considerati, nella parte rievocativa del suo ultimo mandato ministeriale, una romanzata auto celebrativa esaltazione di sé stesso, talora quasi patetica.
D'altronde la sua rottura con Berlusconi e lo stesso PdL non è cosa d’oggi, come non lo erano i contrasti caratteriali nella compagine governativa, specie con alcune ministro donne.
Tra prime donne difficilmente vi è grande … feeling.
Tremonti, a modo suo, interpreta benissimo una certa etica cristiana che sfocia però nella filantropia. Non è mai un dare tutto sé stesso agli altri, sia nell’essere nella società o in una compagine ministeriale. Tuttavia è encomiabile perché è un politico anomalo: dà molto economicamente pure del suo, anche se è solo l’eccedente.
Quando si sta nel Governo non si può poi rimaneggiare la realtà per darsi titoli e meriti, addossando le magagne ad altri. Il solo fatto di continuare (volontariamente) a starci, significa che pur con molti distinguo si è responsabili delle decisioni prese collegialmente, pur se con voto nominale contrario.
Tremonti, ovviamente, non è il compianto Gianfranco Miglio, capace di prendere borsa e cappello e lasciare la compagnia quando questa non condivideva – giustamente o erratamente – la sua linea ministeriale, sbattendo violentemente la porta in modo che si capisse bene senza errori da che parte stesse.
Miglio amava stare tra la gente, discutendo anche con il popolano e porgendo il suo sapere. Tremonti è più aristocratico culturalmente e persegue solo una certa referenzialità: ama stare nell’alto della “sua” torre d’avorio.
Criticare gli attuali atti della Riforma Fornero sul lavoro è legittimo. Lo è un po’ meno se chi lo fa ha approvato precedenti atti che andavano in quella direzione (finestre lunghe che hanno prodotto, di fatto, i primi esodati).
Sono tra quelli che hanno sempre apprezzato il suo lavoro svolto in ambito Ue come ministro delle Finanze; lavoro condizionato dal fatto che non si è soli e che in quella comunità particolare (Ue) si decide non tanto democraticamente, bensì in modo oligarchico, seguendo gli interessi dell’alta finanza.
Scagliarsi perciò ora sulle banche, dopo averle quasi salvate con i Tremonti bonds, pare soprattutto un semplice specchietto elettorale. Le banche al punto in cui s’era, e si è, andavano e vanno salvate. Tuttavia credo che in quasi 2 decenni – anche se non in modo continuativo – un ministro come lui potesse provvedere in modo che ciò non succedesse. Diversamente si faceva come Miglio: borsa, cappello e … via!
Lo stesso discorso può essere fatto sul Debito sovrano nostro, classato per circa il 35%/40% all’estero, oppure sul favorire – quando non finanziare – una certa globalizzazione delle imprese, che in pratica significava sguarnire l’Italia per investire all’estero.
È legittimo esporre le proprie idee in merito, tenendo però ben presente anche ciò che si è avallato stando in un governo.
Un particolare molto significativo e dai risvolti psicologici sono le Schede 1 e 2 degli approfondimenti, dove il linguaggio merita un accenno.
Vengono, infatti, divise in due colonne: nella prima viene espressa l’ideologia dei Loro e nella seconda quella di Noi.
Credo siano pillole d’esperienza culturale “tremontiana” acquisita sul campo, dove però non si capisce bene chi siano questi fantomatici Loro e Noi, ipoteticamente identificabili – se non erro – in: tutti gli altri (loro) e quelli che stanno con me (noi).
Singolare e curiosa la Scheda 11 sul voto ai giovani, già enunciata nei punti programmatici del Manifesto con la proposta di abbassare l’età del voto a 16 anni, perché i giovani d’oggi “sono già maturi”, e con l’ipotesi del doppio voto ai giovani tra i 20/39 anni.
Proposta, ovviamente, che è legittima avanzare se uno la vede così.
I ragazzi oggi sono più svelti a recepire la tecnologia, quindi la modernità, essendoci praticamente nati dentro. Tuttavia ciò non significa maturità, specie se si confronta la cultura che a loro viene oggi impartita in: socialità, sapere generale, educazione, morale, etica, distinzione tra diritto e dovere e … via di seguito.
Sarà pur vero che i giovani subiranno in futuro la crisi più dell’anziano, ma è pur vero che molte altre categorie hanno problemi superiori a quelli di molti giovani che, tutt’ora, possono attingere ancora alle sostanze e ai servizi familiari.
E a proposito si possono citare: gli anziani meno abbienti che si vedono tagliati servizi e diritti, i lavoratori 50/60enni che sono rimasti senza lavoro e senza speranza per la crisi, gli stessi autonomi che essendo fuori dal mercato del lavoro convenzionale si trovano senza reddito e attività, gli statali che da anni sopportano il blocco dello stipendio (indovinate da chi promosso?), e altri ancora.
Perciò la proposta del doppio voto, pur ammesso che sia costituzionalmente percorribile e fattibile, appare come una trovata curiosa e balzana uscita dal cappello a cilindro di un prestigiatore.
Analizzando i problemi di tutti si dovrebbe con lo stesso criterio far votare tutti 2 volte.
Il proclama del manifesto ha delle radici socialiste e da personalismo cattolico. Cattedratico e populista nello stile pare un aut aut tra cui dover scegliere.
Tuttavia non è un proclama diretto e recepibile da tutti, ma solo per una nicchia della società: quella di giovani laureati capaci di capire e seguire il “maestro”. Non per nulla Tremonti specifica che la sua lista sarà aperta soprattutto ai giovani con determinate capacità.
Le forbite citazioni nel testo, le problematiche tecnico finanziarie, il linguaggio cattedratico stesso, la stessa formula del valore dei Derivati fanno il proclama un appello elitario.
Perciò, visto così, non si può far altro che chiedersi come Giulio Tremonti porterà avanti il suo programma nel futuro Parlamento, essendo ovvio che al massimo potrà puntare su una rappresentanza minoritaria.
Giudico, tuttavia, il programma espresso da Tremonti – al di là delle forme usate e dal suo passato – un interessantissimo progetto politico da condividere, abbastanza completo nell’abbozzo, pur se carente, discutibile e perfezionabile in alcune sue parti.
Un progetto che – a mio modesto avviso – da decenni non veniva espresso dalla politica italiana, soprattutto dai partiti maggiori, intenti per lo più su accattivanti proposte economiche ma non su un progetto complessivo se non assai vago e indefinito.
Tremonti tace su famiglia e sociale, ma strada facendo potrebbe completare. Come potrebbe approfondire le tematiche esistenziali correnti che squassano la società e il mondo cattolico.
A mio parere la socialità di Miglio aveva creato il Gruppo di Milano, laboratorio di idee di molteplici teste capaci di entrare nei dettagli soprattutto nel confrontarsi.
L’aristocrazia cattedratica di Tremonti mi fa dedurre, invece, che il suo programma sia per lo più opera tutta sua, oppure di pochi suoi fedeli collaboratori.
Uomini come Tremonti possono essere utilissimi all’Italia per la loro capacità ed esperienza, specie se sapranno scendere dalle nuvole per mischiarsi al popolo. Allora diventeranno quel valore aggiunto capace di far rinascere una nazione.
Tremonti potrebbe essere un punto focale di coagulo anche elettorale di molte forze moderate. Dovrebbe però cambiare il suo essere uomo filantropico in uomo dedito alla comunità sia nel fare gruppo sia nello scegliersi le vere persone fidate. Gli servono veri compagni di viaggio e non ossequenti scolaretti.
Da rivedere sostanzialmente anche la sua posizione economica/finanziaria, sia italiana che Ue o globalizzata, soprattutto perché i danni creati dalla speculazione impongono da tempo una radicale riforma del mercato mobiliare.
Convengo con lui che ciò che si può fare con altri lo si fa, altrimenti si comincia dall’Italia.
Il riacquisto del Debito sovrano classato all’estero è un’opportunità, ma non avendo una banca centrale propria come il Giappone bisogna fare i conti o con l’Ue, oppure con le banche nostrane. Fare monetarismo individuale non ci è più concesso.
Calcolando il 35% del debito in mani estere servono almeno 700 mld di €. Dove reperire questa somma?
Tremonti potrebbe obbiettarmi che ne potrebbero bastare la metà per ridurre la speculazione sullo spread, ma poi andrebbe aggiunta la percentuale di Titoli sovrani nominalmente in mani italiane (soprattutto Unicredit), ma sostanzialmente di aziende globalizzate che curano più i loro interessi che quelli della nazione d’origine.
I problemi, anche con il programma di Tremonti applicato in toto, non sarebbero comunque risolti; semmai avrebbero un tampone provvisorio.
La verità è che questa nostra Italia deve essere rifondata culturalmente, strutturalmente, economicamente e finanziariamente. E essendo noi inglobati nell’Ue per l’€, dobbiamo sperare che pure tutta l’Ue cambi passo e idee economiche/finanziarie da tempo fallimentari.
Pure la Troika impegnata in Grecia ora ammette che la ricetta rigorista imposta negli ultimi tempi è servita solo a fare ulteriori danni. Proprio come Monti ammette i suoi errori che hanno mandato l’Italia in forte recessione e la Fornero i disastri della sua riforma del lavoro su cui sta meditando.
Con Tremonti al timone economico abbiamo avuto uno spread nella forbice tra i 95/150 ptb, con una media di circa 115.
Con Monti la media supera i 400 ptb; e ciò vorrà ben dire qualcosa, senza andare sempre a dare la colpa ad Adamo ed Eva.
Essere pragmatici per il solo pragmatismo non ha risolto i problemi, anzi li ha peggiorati.
Perciò ben vengano persone come Tremonti che oltre a una certa cultura cattedratica hanno dalla loro anche dell’esperienza acquisita sul campo.
Tremonti può essere ancora molto utile all’Italia anche in campo internazionale, specie se dietro di sé avrà l’appoggio convinto di un Popolo e di partiti in grado di comprendere il suo programma.
Per farlo però deve scendere un po’ dalla cattedra, per mischiarsi specie con chi più soffre e geme le piaghe della crisi.