giovedì 16 febbraio 2012

Dal rigorismo di Trichet al monetarismo di Draghi.


ovvero:



Chi ha rovinato la Grecia e chi seppellirà l’Ue.




Tra Grecia e vertici Ue si è tirata troppo la corda. Sicché il popolo greco da tempo si sta ribellando con determinazione per sopravvivere, mentre la classe politica non vede più la necessità di stare nell’€. Teme che alle prossime elezioni venga tutta spedita a casa dopo le ricorrenti e draconiane manovre … punitive.


La ristrutturazione del Debito sovrano non ha dato i frutti (impossibili) sperati e la trattativa con i privati (per lo più banche franco/tedesche) - per la riduzione dai 206 mld in loro possesso ai circa 100 - non solo va per le lunghe, ma non decolla proprio.


La Grecia dovrebbe ricevere altri 130 mld (già ritenuti insufficienti) di € dall’Ue e scovare altri 325 mln nel proprio bilancio; tuttavia si sa già che questi proprio non saranno sufficienti a far fronte alla necessità di liquidità di cassa che attendono la nazione ellenica.


In ambito Ue - anche se non lo si dice ufficialmente – vi è la convinzione che tale importo (130 mld) sia meglio usarlo per sostenere il salasso che le banche interessate dovranno sostenere, in caso di più che probabile default greco.


La Grecia da tempo è già fallita. Tant’è che la continua ristrutturazione del suo debito – superiore al 50% - non può neppure essere considerata un concordato preventivo tra le parti in causa: è un fallimento già avvenuto da tempo e solo rimandato sine die per incapacità politica comunitaria.


Il mercato mobiliare pare a tratti ottimista e noncurante davanti alla prospettiva reale di un default definitivo, forse perché già da molto tempo ha capito che il fallimento è già avvenuto, anche se ufficialmente non ancora dichiarato. Tuttavia, quando ciò accadrà, subirà di colpo un veloce ridimensionamento.


In pratica i due contendenti paiono cercare il casus belli per rompere definitivamente.


L’Argentina insegna che si può ripartire. E le banche ormai paiono al sicuro protette dal fondo salva stati; ma così non è.


Tuttavia la partita non è ancora chiusa perché – Grecia a parte – altri paesi sono vicini al tracollo.



Gli stati Ue sono molto spesso comandati dalla grande finanza che mette ai posti di comando propri “fidati” uomini. In Grecia Papademos proviene dal vertice Bce, proprio come Monti in Italia capeggia – è il caso di dirlo – un governo perlopiù di banchieri, desiderato, voluto e imposto da fuori.


Francia e Germania proteggono gli interessi delle proprie banche che, da molto tempo, stanno speculando sui Titoli sovrani e sui differenziali, e che rischiano assai in caso di crack.


Un tempo alla Bce vi era Trichet che era ossessionato dall’inflazione e dal rigorismo: alzava il tasso e riduceva la liquidità. Spadroneggiava un po’ ovunque sui governi degli stati inviando missive più o meno riservate, atte ad imporre manovre capestro, quando non, in combutta con altri, sollecitando cambi di governi democraticamente eletti. Affossando di conseguenza tutta l’economia dell’area Ue.


L’avvento di Draghi ha cambiato un po’ le cose e la strategia della Bce si è incanalata verso una politica finanziaria e valutaria di tipo Fed, perciò basata sul monetarismo, quindi sulla liquidità nel sistema di mercato.


Infatti, oltre a ridurre il costo del danaro, si è provveduto a immettere nelle banche grande liquidità a tasso stracciato. Danaro che gli istituti di credito si sono ben guardati dal far circolare nell’economia reale, dirottandolo perlopiù su speculazioni finanziarie e sull’acquisto di remunerativi Titoli sovrani.


Le aziende, strozzate dalla crisi e dalla carenza di liquidità, si sono viste aumentare notevolmente e unilateralmente lo spread (più che raddoppiato), vedendosi negati sia la contrattazione che un ulteriore accesso al credito per rilanciare produzione e investimenti.


In compenso presso la Bce l’ammontare della liquidità depositata dalle banche ha superato i 480 mld di €.


Però, il 28 febbraio prossimo, la Bce farà un’asta – sempre a tasso stracciato – di altri 500 mld di € da immettere nel sistema bancario.


Come si può notare tra deposito e emissione gli importi quasi si equivalgono; perciò parrebbe difficile capire perché tale manovra avvenga, considerato che l’immettere un tale elevato importo nel sistema vuol dire stampare equivalente moneta, perciò creare ulteriore inflazione. Il fare del vero monetarismo.


In effetti, la liquidità depositata dagli istituti finanziari presso la Bce è una liquidità a breve termine, perciò vincolata a scadenze che dovrebbero sgonfiare poi tale importo.


Le banche, però, sulle scadenze prossime in essere non sono in grado di restituire tutti gli importi dovuti, perciò dovranno attingere al sistema per non andare in crisi di liquidità. Tutto ciò, ovviamente, crisi greca a parte.



Il Portogallo è in recessione del 2,7%, la Grecia del 7%, la Germania dello 0,3%, la Francia dello 0,2% e l’Italia dello 0,7%.


In pratica quasi tutta l’Ue è in recessione. Perciò è chiaro che le politiche economiche dei vari governi membri hanno totalmente fallito non solo nell’analisi, ma soprattutto nell’operato e nella previsione. E guarda caso sono tutte sulla falsariga del rigorismo puritano in bilancio.


La Merkel punta tutto sul rigorismo, perciò sulla riduzione dei rispettivi debiti. Cosa encomiabile con economia florida, deplorevole con economia stagnante o addirittura in recessione. Non per nulla è adatta più alla fisica che a tutto il resto.


La Grecia – ma anche diversi altri stati – non potranno sostenere neppure le spese correnti con un Pil continuamente negativo, anche aumentando le entrate, ammesso che con un tale crollo produttivo le si possa scovare.



La Grecia, da quando è stata costretta a continui tagli e tasse, si è notevolmente impoverita sia nell’economia reale, sia nell’occupazione, sia nel reddito procapite. Più che sulla soglia della povertà l’hanno prostata nell’indigenza generalizzata.


Ciò è avvenuto, pur se per ora in forma minore, anche nelle altre nazioni colpite da similari manovre correttive, compresa l’Italia che ultimamente è andata in recessione.


Perciò la strada da tempo intrapresa non è quella giusta, ma solo quella via maestra vista nell’assoluta miopia unicamente dalla Merkel, da Sarkosy ed ora dall’ultimo arrivato e referenziato Monti; via che porterà al disastro collettivo.


Quest’ultimo è un pervicace e logorroico venditore di sé stesso, oltre che strenuo difensore di quell’alta finanza e di quel neoliberismo di mercato che in pratica hanno imposto un governo di banchieri. Vede nell’altalenarsi dei flussi di mercato e dei differenziali un premio alla propria opera – li legge solo pro domo mea; probabilmente al … contrario -, anche se ciò è generalizzato anche alle altre nazioni, perciò solo dovuto a normali flussi di mercato e alla momentanea congiuntura.


Per le banche non ha mosso un dito; o meglio: le ha favorite. Sui loro prodotti non incide l’Iva né il costo dei carburanti, gli si è “donato” l’obbligo delle transazioni superiori a 1.000 euro, non si è limitato lo spread che hanno raddoppiato unilateralmente alla clientela, non si è provveduto a ridurre il costo delle operazioni e della tenuta conto, non gli si è imposto alcun vincolo contro la speculazione su prodotti tossici e alla trattazione di titoli propri, e, infine, le si è inondate di liquidità ad ogni livello.



Si sta distruggendo quasi ovunque il sistema economico e industriale di ogni paese con continui tagli e tasse. Come poi, così facendo, si vogliano rilanciare consumi, occupazione e Pil è problematico capirlo.


Le liberalizzazioni in Italia dovrebbero essere, secondo Monti, il miracoloso toccasana del Pil e dell’economia.


Strano a dirsi molte di queste vanno sulla via totalmente opposta da ciò che esiste in altri stati, specie in Germania, compresa la tassazione diretta e indiretta che in Italia è la più alta in assoluto tra i grandi paesi industrializzati.


Il lavoro da noi ha un carico fiscale talmente elevato che ci porta fuori mercato. Non vi è più alcun ragionevole rapporto tra lavoro, rischio d’impresa, investimenti e libertà operativa. A molti pare che il fulcro della trattativa voluta dal Governo sul lavoro sia quello di scaricare tutti i costi e la precarietà sull’operaio.


Con Tremonti vi era qualcuno che in ambito Ue parlava: di Eurobonds, di uniforme tassazione e contribuzione a livello comunitario, di paritario livello assistenziale e previdenziale, di egualitarie regole politiche e amministrative, di regolamentazione dei mercati mobiliari, di investimenti finalizzati a rilanciare le regioni in crisi, di vincoli particolari alle aziende che vogliono continuare a investire e a lavorare nell’Ue.


In pratica si voleva creare un sistema Ue atto a rendere l’Unione un vero e moderno stato confederale. Ciò che il mastodontico Parlamento europeo non è mai riuscito ad abbozzare, intento solo a dilapidare risorse.



Tempo fa in un amichevole e riservato ritrovo tra validi esponenti del mondo economico, finanziario e politico, uno del gruppo affermò che all’attuale caos politico, economico, finanziario e dirigenziale Ue sarebbe assai preferibile il decrepito sistema dell’ex Unione Sovietica, dove almeno c’era una chiara linea programmatica. E a dirlo non era … l’ultimo arrivato.


Sta di fatto che a livello Ue da un lustro le cose peggiorano sempre e all’orizzonte non si vede alcuna valida prospettiva futura: i Paesi in crisi vanno sempre peggio, la tassazione e i tagli aumentano, la disoccupazione pure e le imprese chiudono o scappano. Cresce solo il malcontento popolare, una dilagante povertà, l’avversione alla casta, l’antipolitica e una preoccupante crisi sociale destinata sempre più a incanalarsi verso un probabile sviluppo violento, come in alcune occasioni è già avvenuto.


Più che un governo di tecnici e banchieri – ognuno dei quali si porta a casa emolumenti pubblici intorno ai 200 ml € annui - vi è bisogno di persone che sappiano lavorare per la nazione con dedizione, con altruismo e, visto il loro benessere sociale, senza reclamare compensi che il comune cittadino vede solo con molti anni di duro lavoro.


Alcune nazioni hanno le elezioni vicine, altre più o meno lontane. È innegabile che molte delle compagini e dei partiti che appoggiano ora i governi in carica saranno ben punite dall’elettorato quasi ovunque.


In Grecia il leader di Nuova Democrazia - il conservatore Antonis Samaras, indicato come favorito alle elezioni di aprile dai sondaggi - ha più volte dichiarato pubblicamente che in caso di vittoria ridiscuterà tutto il pacchetto di aiuti e di clausole che interessa il proprio paese.


Forse anche per questo, dopo l’approvazione da parte del Parlamento greco delle ulteriori misure richieste, la dirigenza Ue ha annullato l’incontro Ecofin, sostituendolo con un’informale conferenze call, dove peraltro non si è giunti ad alcuna conclusione. Perciò è probabile che, in attesa di ciò che esprimerà l’elettore ellenico a breve, si opti per un limitato prestito ponte di circa 15/20 mld di € alla Grecia, utile solo a mantenerla a galla il tempo necessario.



I problemi non si risolvono procrastinandoli continuamente, né arroccandosi in difesa dei propri privilegi.


Oggi certi governanti di spicco – e non voglio fare nomi – sono più di danno che d’utilità all’Ue: sono la pietra da macina legata al piede delle nazioni e che tirerà tutti a fondo.


Servirebbe, visti i pessimi risultati ottenuti in questi anni, che sia chi da molto sta al potere, sia chi da poco vi è arrivato, levasse il disturbo e che tutti i paesi quasi simultaneamente procedessero ad eleggere una nuova classe dirigenziale e politica.


L’idea, per quanto valida sia, è in parte utopistica, proprio perché il potere certa gente non lo lascerà mai volontariamente. Ciò, tuttavia, accrescerà ulteriormente la turbolenza sociale, in alcune nazioni favorita da chi mette le varie classi sociali l’una contro l’altra.



L’avvento di Draghi alla Bce è stato utile se non altro a creare col monetarismo uno sbarramento alla deriva paurosa dei danni progressivi della crisi. Il problema non è tanto se il monetarismo di per sé sia sufficiente ad uscire dalla crisi – negli U.S.A., infatti, ha solo congelato la situazione, ma non ha risolto i problemi -, ma per quanto ancora la governance Ue glielo lascerà fare.


Sintomatico poi è che la Bce aderirebbe volontariamente alla ristrutturazione del Debito sovrano greco in suo possesso, sanando la perdita secca con il plusvalore che la transazione su tali titoli ha prodotto.


Perciò appare che chi, in effetti, dovrebbe sostenere e difendere i Titoli sovrani possa essere il maggior beneficiario – o speculatore, secondo come lo si voglia inquadrare – delle sventure altrui.


E appunto su tale fatto è evidente che il mercato mobiliare tutto debba essere velocemente riformulato e regolamentato, considerato pure che i rispettivi governi di Francia e Belgio non intendono rinnovare il divieto di vendita allo scoperto che da mesi avevano istituito.


Relativamente alla nuova tranche monetarista di fine febbraio della Bce, sarebbe bene che a questa venisse posto questo vincolo: a te singola banca concedo questo prestito a tasso stracciato, a patto che tu lo conceda ad aziende che vogliano investire ad un tasso agevolato che non possa superare un tot spread. Solo allora l’ulteriore stampa di cartamoneta sarebbe in grado di poter smuovere le acque della stagnazione e della recessione, in un settore dove i tassi bancari sono troppo elevati, non vi è alcun accesso al credito e la liquidità è inesistente.


Il monetarismo porta con sé inflazione strisciante. Ma se viene usato per rilanciare la produzione (quindi il Pil) e non a favorire la speculazione, allora può dare quel valore aggiunto che può farci uscire dalla crisi.


Diversamente si andrà tutti a fondo, gli uni dietro gli altri in una catena progressiva.


La Grecia la si può salvare e tenere nell’Ue. Non però con la politica del rigorismo puritano e punitivo attuale.

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