lunedì 28 novembre 2011

Simbiologia di un discorso programmatico e controdeduzioni.

Premessa.


Un amico, economista e cattedratico, mi invia alcune sue osservazioni inerenti al mio ultimo articolo[1].


Mi invita, inoltre, a effettuare una Lectio magistralis (come a …) aggiuntiva, in modo che tutti i lettori comprendano bene il grave periodo che stiamo vivendo; e pure coloro che sono preposti al governo del paese, considerato – secondo lui – l’impatto che l’eco delle (mie) idee ha a determinati livelli, viste le analisi azzeccate degli anni precedenti.


Personalmente ritengo di non avere alcuna voce in capitolo, né d’essere in grado di dare “lectio” ad altri. Tuttavia accetto il suo invito e cerco di sviluppare meglio il mio pensiero. Considerato che il discorso non è né semplice, né breve, per ora mi interesserò di:



Simbiologia di un discorso programmatico e controdeduzioni.



Mentre il Premier Monti pronuncia il suo discorso in Senato sto viaggiando per un lungo spostamento. Seguo non solo attentamente l’esposizione, ma pure il dibattito che ne scaturisce e la replica dello stesso Premier.


So da tempo chi sia Monti, come la pensi, come viva, a quale classe sociale appartenga e pure il suo ambito confessionale.


La persona non mi è sconosciuta e di lui ho molto rispetto – non stima -, pur non condividendo il suo ambito culturale. In pratica non lo prenderei mai, né lo additerei, come esempio da seguire.


Di lui mi ha sempre meravigliato l’incapacità oratoriale, nonostante le mansioni, le cariche e i ruoli che finora ha ricoperto. Stringendo: è un normale conversatore che non ha il dono dell’oratoria. Tuttavia pure il grande Aristotele era un balbuziente, quindi uno scarso oratore.



Seguendolo, tra alcuni plurali/singolari mal piazzati, noto quel deismo autoreferenziale, magari posto sotto spoglia ironica/umoristica, che gli è proprio. Non per nulla il suo aspetto esteriore è tanto grigio quanto la terminologia che usa; e le frasi non seguono quella musicalità propria di chi i concetti non solo li ha chiari in mente, ma pure è capace di comunicarli e farli intendere facilmente ad altri.


Il suo è un discorso saggio e appropriato alla situazione politica contingente: di congiunzione tra forze disomogenee che lo devono appoggiare e, finora, fortemente contrapposte.


È, tuttavia, un discorso monotematico che evidenzia la grande differenza esistente tra un politico di razza e un tecnocrate. Pur augurandogli, per il bene dell’Italia, di assurgere presto ad una caratura di valido statista, il suo intendere espresso è limitato a quel rigorismo neoliberista che vede la correlazione tra bilancio e mercato in stretta connessione.


Vi è pure un passaggio costituzionalmente contrastato, quando ipotizza per giovani e donne un carico contributivo minore rispetto agli altri lavoratori.



Il discorso è totalmente privo di alcun riferimento alle regole di mercato, perciò alle cause che hanno generato prima la grave crisi finanziaria, poi quella economica e, infine con l’attacco ai differenziali, i vari buchi di bilancio che, secondo i neoliberisti attenti alle istanze del mercato mobiliare (borse), devono essere prontamente tappati con ulteriori manovre finanziarie correttive, perciò con tagli e ulteriori tasse.


Un rigorismo semplice fine a sé stesso, tanto teorico nella pratica quanto inefficiente nella realtà, come lo stato attuale di alcuni paesi periferici (Grecia e Portogallo in primis) hanno messo bene in evidenza. Un discorso proprio di chi segue integralmente l’economia neoliberista valutaria, che però dovrebbe correggere le differenze nazionali con la fluttuazione del cambio di valuta anziché poggiare tutto, come si fa nell’Ue, sui soli differenziali. I quali servono solo ad affossare l’economia reale anziché potenziare il Pil con l’esportazione, giacché manca l’indebolimento (svalutazione strisciante) monetario che diventa un plusvalore atto a rendere competitivo l’export.


Monti è considerato un esperto di economia valutaria. Perciò: o volutamente ha ignorato il discorso, oppure non ha recepito la problematica dei gravi problemi esistenti non solo in Italia.



Prospetta chiaramente: la reintroduzione dell’Ici sulla prima casa, una patrimoniale da definire, la riforma (liberalizzazione) del mercato del lavoro e delle pensioni e un ulteriore prelievo sui consumi alla fonte, onde finanziare, senza inasprire la pressione fiscale (Sic: l’aumento dell’Iva, forse, non è una tassa!), il rilancio dello sviluppo del paese, perciò del Pil.


Vi è pure un riferimento all’essere noi tutti europei, oltre al fatto che il suo governo farà proprie le 2 manovre correttive del Governo Berlusconi. Con buona pace dell’ex opposizione che finora le ha bollate come inadeguate, inique e ingiuste. Difatti lo … applaude.



Il discorso ha una legnosità e un’ingessatura logica che non a caso è l’espressione di un certo stile culturale, direi ancorato ad un tecnicismo che rende rigido pure l’uomo/persona. Gli accostamenti al gravissimo momento attuale ed al lavoro improbo che lo attende rendono l’esito più un forzato auspicio fideista che una certezza interiore nelle proprie capacità.


Facendo un accostamento evangelico improprio, ma comunque significativo, lo abbinerei al fariseismo cattolico perbenista, ligio alle norme pratiche; però privo di quell’apertura ideologica che renda non solo il proprio intendere, ma pure il proprio pensiero flessibile alle esigenze. Quel fariseismo che non fa dell’uomo un samaritano, ma solo il prete e il levita che tirano oltre per la propria strada.


Monti - in sostanza ed a mio personale parere - non è un uomo di molta fantasia (capacità di ideare forme e correttivi nuovi), chiuso com’è nella sua torre d’avorio del tecnicismo culturale e professionale.



I troppi e frequenti applausi, che i senatori gli tributarono, evidenziano che gli italiani sono spesso dediti al “lecchino d’oro”, pronti a riverire il potente di turno come il nuovo messia. E la stessa cosa avviene pure nei media, giacché i commentatori che intervennero in radio erano tutti dediti non alla fattiva e sana analisi critica, bensì alla mera adulazione. Più che vedere … stravedevano … volutamente adoranti.


Un tecnico non è un politico necessariamente; perciò spesso accade che la materia di competenza non sia in grado di suffragare le reali esigenze della nazione.


La storia ci dirà come … andrà.



I mercati mobiliari non hanno tardato molto ad archiviare la “novità” Monti, relegandola, di fatto, a inefficienza potenziale e virtuale. I differenziali hanno continuato a “laterizzare” in un range negativo e i titoli finanziari italiani hanno raggiunto minimi mai toccati prima, imitati dagli industriali in continua flessione.


Se l’opposizione – si ricordi il breve discorso inopportuno (eufemismo) di Bersani subito dopo l’approvazione della seconda manovra correttiva, utile solo a far flettere subito e pesantemente gli indici – addossava colpe specifiche a Berlusconi per il crollo del mercato, ora si capirà che la colpa è sistemica. Tant’è che pure nell’Ue se ne sono (finalmente) accorti e lo proclamano ufficialmente. Non è né di Berlusconi né di Monti, né dell’Italia, bensì dell’Ue e dell’€, progettati e gestiti molto male. L’€ all’inizio ha portato benefici a tutti, proprio come l’insana espansione dei Debiti sovrani ha a suo tempo elevato i Pil nazionali.


L’incontro a 3 Monti/Sarkosy/Merkel non ha reintrodotto l’Italia nel salone decisionale; ma a parte le dichiarazioni ottimistiche di facciata – pure precedentemente sempre espresse e non solo per l’Italia – ha posto in rilievo che questi governanti sono da troppo tempo politicamente inetti a risolvere la situazione.



Le banche americane, con la Goldman Sachs in prima fila, si stanno attrezzando da tempo per reggere l’impatto della disgregazione dell’area €, portando attacchi speculativi giornalieri ai mercati mobiliari europei, onde potenziare il $ e la propria economia. Gli indici mobiliari si muovono ormai in perfetta sincronia: il FtseMib sta tastando le resistenze minime precedenti di 13.500, il Dax si riavvicina ai 5.200, il Cac ai 2.600 e il Dow Jones agli 11.800. Ciò significa che la connessione di traino (regressivo) di un mercato, pur in presenza di diversa economia, serva a depotenziare gli altri.


E sempre più esperti indicano che il “piano B” di salvataggio della Germania stia ormai per entrare in funzione: un € diverso e rivaluto scisso da quello altrui. Forse anche per questo la Merkel è nettamente contraria agli Eurobonds.


Gli Eurobonds non sono il toccasana delle problematiche attuali; però se ben gestiti e bilanciati dalla riduzione progressiva dei Debiti sovrani sono l’unico rimedio che rimane all’Ue per salvarsi e rimanere unita.


Gli attacchi speculativi prima hanno investito i paesi periferici, poi si sono concentrati su obbiettivi maggiori ed ora attaccano pure il Bund. Infatti, all’asta dei giorni scorsi la Germania non è riuscita a piazzare sul mercato il 35% dei titoli, nonostante l’innalzamento del tasso. Perché? Per il semplice motivo che sono poco redditizi rispetto a chi può offrire molto di più in interesse con quasi uguale rischio se salta il sistema eurolandia.


Se l’€ scenderà sotto 1,20 (ora 1,32/33) sul $, è molto probabile che il differenziale italiano schizzi oltre i 700 punti. Però pure il differenziale US Treasuries/Bund sta crescendo, con la conseguenza pratica che, pur rimanendo inalterati i rapporti del differenziale Btp/Bund, i costi si incrementeranno.


Facendo un esempio pratico: se il Bund salisse a 3,50/4 sul $ è ovvio che a differenziale ipotetico stabile di 500 il costo del Btp nostrano avanzi oltre il 9%.


La flessione dell’€ può essere utile all’export, ma solo per i paesi economicamente forti e sani come la Germania. Per gli altri viene vanificata dall’aumento del differenziale e dei forti costi aggiuntivi che aziende e nazione debbono sopportare.


La Grecia, nonostante la ristrutturazione/svalutazione del debito del 50% non può reggere il costo degli interessi se il differenziale ora ha superato i 28.500 punti. Interessi superiori al 30% sono totalmente ingestibili e da strozzinaggio finanziario e neanche una manovra correttiva alla settimana potrà sistemare lo sbilancio del disavanzo ellenico, come pure l’elemosina finora offerta dalla Troika Ue/Bce/Fmi. Stando così le cose nessun tecnocrate posto a capo dell’esecutivo potrà salvarla, neppure se il prescelto è il vicepresidente della Bce.


Va da se che l’innalzamento del tasso sui rispettivi Titoli sovrani appesantisca il costo del denaro per le imprese, oltre alla drastica riduzione dei finanziamenti stessi.


E senza liquidità/finanziamento non vi potrà mai essere un incremento del Pil, ma solo una corsa sinusoidale atta a stroncare tutta l’economia occidentale, tedesca compresa.



Il mercato dovrebbe essere al servizio dell’uomo, perciò dell’economia reale e sostenibile. Ora, invece, è solo fine a sé stesso e attento solo alle esigenze della finanza globalizzata.


I governanti Ue han perso troppo tempo e bruciato ingenti risorse, affossando di conserva le proprie economie. Si trincerano spesso dietro la giustificazione che per cambiare i Trattati serva tempo, anche se di tempo non ce n’è più. Sono incapaci di affrontare la situazione di petto, vincolati al proprio potere (interesse). Perché è ovvio che un’unità politica reale debba avere non 27 governi, ma uno solo. Non 27 regole e tasse differenziate, ma una sola. Non 27 Debiti sovrani e Titoli sovrani, ma uno solo e … gestibile.



Non sono tra coloro che vedono l’utilità degli Stability Bonds, se poi ogni stato può ancora andare sul mercato ad indebitarsi in modo parallelo. In Italia, infatti, facendo ricorso alla furbata della finanza creativa si è concesso agli Enti locali di accedere al mercato dei titoli, sommando quindi ulteriore debito al Debito sovrano.


Vedo però bene gli Eurobonds gestiti in un’ottica progressiva di riduzione dei costi di tutti.


Se prendiamo ad esempio la Grecia e ipotizziamo un Eurobond comunitario garantito in grado di limitare l’interesse passivo (tasso) ad un 3/4% per tutti, la Grecia può risorgere e con alcune restrizioni è in grado di rimettersi in sesto da sé. Gli interessi massimi sui 200 mld di Debito sovrano ristrutturato raggiungerebbero una punta di 6/8 mld annui, sopportabili e gestibili col proprio Pil. Non può però farlo con gli interessi attuali di 60 mld annui, in grado di bruciare il 25% del suo Pil.


La stessa cosa vale per tutte le altre nazioni: Italia, Francia e … Spagna comprese.


Correre dietro al differenziale imposto dal mercato con continue manovre correttive è un controsenso finanziario, perché si brucia troppo ricchezza e si innalzano a dismisura gli interessi, anche se il TUS Bce fosse portato a Zero. Ad un tasso virtuale prestabilito (TUS) non corrisponderebbe il reale costo del denaro sul mercato.


Convertire i Titoli sovrani in Eurobonds è tecnicamente possibile, stante che ogni emissione avrebbe un codice diverso, riconducibile alla nazione che ne usufruirebbe.


Ovviamente il rigore del bilancio sarebbe necessario, come le riforme strutturali e la riduzione progressiva dei rispettivi Debiti sovrani, non essendo il solo Eurobonds la panacea del problema. Vi sarebbe la necessità di un Ente comunitario (Governo centrale o Superministero finanziario) in grado di vigilare e impedire che ogni nazione rinnovi poi Titoli in scadenza in quantità superiore. L’importo dei titoli dovrebbe ad ogni rinnovo essere inferiore a quello in scadenza, perciò ancorato ad un rigore di bilancio teso a ridurre progressivamente il debito stesso.


I titoli sarebbero garantiti da tutti gli Stati membri, perciò dalla Bce stessa che potrebbe sovrintendere al mercato medesimo. Chi non rispetta i parametri di bilancio vedrebbe sì garantita la restituzione dei Titoli propri al creditore da parte della comunità, ma dovrebbe poi essere impedito ad attingerne di nuovi fino a che i suoi parametri non rispettino gli standard prestabiliti.


In questo modo le comprensibili resistenze della Germania sarebbero superate, perché ora come ora dovrebbe poi farsi carico del debito di tutti. Ciò non sarebbe né giusto, né finanziariamente corretto, perché ritengo che ognuno debba togliersi da solo dai guai in cui si è messo. Diversamente si diventerebbe dei mantenuti opportunisti, ben sapendo che l’opportunismo crea presto divisione e non unione.



Le ipotesi del Governo Monti sul tappeto sono per nuove tasse. Di norma non le discuto perché non vi è mai una tassa giusta. Al massimo può essere equa.


L’eventuale incremento dell’Iva al 23/25% potrebbe creare un’utilità di cassa, ma affosserebbe ulteriormente l’economia reale. I dati macroeconomici hanno palesato che il suo incremento precedente di un solo punto (21%) ha fatto lievitare l’inflazione reale in modo anomalo, anche se ciò era previsto, mentre, di fatto, ha contratto ulteriormente i consumi.


La Germania, in occasione della riunificazione, per reggere la spesa ha elevato la propria aliquota normale, ma ciò, in effetti, era un investimento; e vale ricordare che la loro aliquota massima è del 19%, mentre le altre sono 7% e 0%, perciò ben inferiori alle nostre 10% e 4%.


Negli altri paesi Ue, in base alla Direttiva 2006/112/Ce, l’aliquota normale oscilla tra un minimo del 15% ad un massimo del 25%, pur con un diverso paniere di beni, eccettuato zone particolari dove vi sono abbattimenti sostanziali sul minimo stabilito (Canarie, Madeira, Azzorre e isole greche).


Tra i maggiori Paesi – Germania, Francia, Italia e Spagna – la nostra nazione è quella che ha le maggiori aliquote in senso assoluto. Perciò l’imposizione diretta sul valore aggiunto è già troppo alta. Ciò favorisce e invoglia l’evasione perché crea transazioni private tra le 2 controparti (fornitore e consumatore) onde contenere il costo del bene. Si aggiunga inoltre che pure le altre tasse sono molto elevate rispetto allo standard europeo, mentre i servizi sono assai più scadenti.


Aumentarla ancora significherà incrementare l’evasione e affossare i consumi, prostrando ulteriormente la già languida economia.



La patrimoniale pare anche la più gettonata e qua bisognerà vedere come la si vorrà improntare e su quali beni, oltre che per quali finalità.


In effetti, noi abbiamo un’esigenza di bilancio forzata dai differenziali, perciò dalla dipendenza di cassa dovuta al rinnovo dei nostri Titoli sovrani.


Entro aprile prossimo vi sono oltre 200 mld di titoli da rifinanziare e nel 2012 ben circa 400, perciò quasi il 20% del monte titoli complessivo. È una cifra impressionante che a differenziali attuali imporrà un notevole aggravio del costo interessi, che significheranno tra i 15/18 mld in più.


Ipotizziamo che nel breve periodo il differenziale possa superare i 700 punti per puntare verso i 1000. Ciò significherebbe che solo sui titoli in scadenza il costo interessi si raddoppierebbe almeno.


Vi è inoltre l’esigenza di abbattere notevolmente il monte del Debito, attualmente attestato intorno ai 1.900 mld.


Considerato che i Titoli italiani sono classati per il 50% all’estero significa che i titoli soggetti ad attacchi esterni speculativi, se si imporrà il divieto dello short selling anche su questi titoli, potranno essere circa 950 mld circa: quasi 1/10 del risparmio liquido che, da dati ufficiali viene indicato in 9.000 mld.


La patrimoniale è utile se si vuole abbattere notevolmente il Debito sovrano; ma resta un tampone inefficace e provvisorio se deve coprire l’aggravio dovuto ai differenziali.


Personalmente opterei per una patrimoniale spuria, perciò su un prestito forzoso, similare a quello imposto nell’immediato dopoguerra sulla proprietà immobiliare agraria onde finanziare la ricostruzione e il rilancio dell’economia. Un prestito a tasso retribuito sulla liquidità di risparmio che è molto alta.


Ipotizzando un prestito massimo forzoso del 20% si otterrebbe in un colpo solo quasi l’azzeramento del debito Sovrano nazionale, perciò la dipendenza del dover classare all’estero e alle grandi società finanziarie.


Ciò, ovviamente, dovrebbe poi essere seguito, onde non restare lettera morta, da vere riforme strutturali atte a potenziare l’occupazione, il lavoro, l’imprenditoria e il vincolo distrettuale per chi vorrebbe investire da noi.



La compagine governativa è troppo zeppa di tecnici, specie di persone impegnate nel settore finanziario. Ciò può essere un bene se l’esperienza e il sapere acquisito verranno usati in favore del popolo; ma sarà un male se gli interventi governativi porranno la loro attenzione solo per l’alta finanza, che ad opera finita è poi quella che ha creato gli immensi guai del nostro tempo con la … benedizione della politica di vertice.


Oggi, come Grecia, Portogallo e Spagna – ma pure altrove – stanno a testimoniare il popolo non è più succube e in massa è in grado di ribellarsi.


L’unico problema non da poco è che quando si ribella e manifesta i danni avuti sono ormai irreversibili.









1 commento:

Giancarlo ha detto...

Riflessione sacrosanta.