domenica 26 settembre 2010

Il tempo, il dono, la storia e il benedire.

Questo breve e stringato articolo è un commento al breve post seguente.

Per intoppi telematici non è stato pubblicato sul blog dell’amico.

Con alcuni conoscenti ci scambiamo spesso, per studio e analisi, degli appunti, o dei commenti, che possono essere per noi interessanti per approfondire alcune questioni.

Per cui, in un intervento pubblico di un religioso, me lo son visto riprendere in alcune frasi: ripreso e ulteriormente sviscerato.

Perciò ho deciso di pubblicarlo pure qua, come se fosse un commento pubblicato su blog altrui, come nelle intenzioni doveva essere.

Come si nota in apertura gli ho dato pure un titolo; e per completezza ho aggiunto il pensiero che lo ha stimolato.

Buona settimana (un oggi sfidante..)

Mi risuona ancora nella mente, una fase sentita stamattina ad Assisi al Seminario di Retinopera: “Non posso non benedire l’oggi”.

Ed è vero.

I credenti non possono non benedire l’oggi se veramente credono che quello in cui vivono sia il “tempo”, il periodo storico, loro assegnato dal Signore, Re della storia, per espletare la loro vocazione particolare e dare un vero senso alla loro vita.

Ma l’oggi è anche il “tempo”, il periodo storico, in cui il non credente può comunque dare un senso alla propria esistenza e perseguire il conseguimento dei suoi giusti ideali terreni.

E allora, avanti, anche controcorrente, a vivere questo tempo estremamente complesso e sfidante che ci è dato da vivere.

Commenti sul blog http://www.giuseppesbardella.blogspot.com

Buona settimana.

Non vorrei entrare tanto nel “tempo/oggi” che ci ha dato il buon Dio, ma soffermarmi sulla “dimensione” tempo in filosofia.

Questa, infatti, non è l’assommarsi di secondi che creano ore, giorni, anni e perciò una vita, ma una di quelle varianti geometriche dimensionali utili per comprendere gli eventi: in pratica una variante variabile, perciò un incedere incostante.

Il tempo, scientificamente, varia in base alla velocità e più questa cresce più il tempo rallenta.

Posto, come ipotesi terrena, che Tizio compia un viaggio in auto Torino/Venezia alla velocità media di 140 kmh, costui avrà vissuto un secondo in meno di chi è rimasto fermo a casa propria. Se usasse la Freccia Rossa che viaggiasse alla velocità di 300 kmh, il tempo percepito come utile sarebbe quasi triplicato.

Nei decenni scorsi sono stati fatti appositi esperimenti per dimostrare ciò, usando 3 orologi atomici: il primo mantenendolo a terra, il secondo su un B52 che viaggiava da est a ovest a velocità costante stabilita, il terzo sempre su un B52 che viaggiava da ovest ad est alla stessa velocità. L’esperimento dimostrò che, là dove l’aereo assommava oltre alla propria velocità quella della rotazione terrestre, l’orologio alla fine dell’esperimento dichiarava oltre 15 minuti primi di differenza in meno rispetto a quello rimasto sulla terra.

In via teorica, assommando ciò alla teologia, il risultato del ragionamento sarebbe ininfluente nel rapporto tra uomo e Dio, se si considera il “tempo/oggi” come dono divino che ci immetta in una determinata realtà esistenziale. Da cui, il tuo ragionamento francescano potrebbe essere considerato esatto.

Ciò, tuttavia, è solo illusorio perché, in effetti, Dio non dona un periodo di vita predefinito, ma chiama unicamente l’individuo alla vita.

Che significa? Che si antepone una concezione fenomenologica dell’evento – la tua espressa – ad una visione reale e complessiva della Storia.

Già i padri della Chiesa, partendo da Anselmo d’Aosta, si sono cimentati in questi distinguo escatologici e esistenziali, giungendo fino ad Hegel, che definì Dio l’assoluta Signoria della devastazione della storia.

Ciò prima che il tempo fosse giustamente compreso come un’unità geometrica di misura.

Su ciò si innestò il discorso della preveggenza di Dio, il concetto di Grazia e di Salvezza, perciò della predestinazione o, in concezione materialista, del Fato.

Credo che Dio chiami alla vita nell’amare, perciò facendo un dono; proprio perché amare è donare.

Dio, perciò, può prevedere, ma non predestinare. E quando il personalismo giunge ad essere in parte giansenista o manicheo, allora il cristiano crede solo nel caso (escatologia materiale – Dio canaanita) e non in un Dio Persona (escatologia cosmica eleusina). In pratica è un “finto” cristiano. Più che cristiano è un fariseo.

Il Dono va vissuto nel costruire la propria storia. E la storia la si costruisce con la volontà, con l’abnegazione convinta, con l’essere persona/uomo sociale e non comunitario, perciò individuale.

Il tempo della durata della nostra storia non lo fissa Dio, ma noi con il nostro stesso incedere e con le nostre stesse scelte che possono arrecare vizi o virtù, salute o malattia, sia che si ragioni su una procedura genetica che occasionale.

Vi è l’assoluta libertà di operare nel mutuo consenso col creatore, oppure procedere per proprio conto.

Ogni fatto che avviene pone una scelta, anche nella malattia inattesa o genetica, o dovuta a fattori a noi estranei.

E la scelta è nell’accettare la vita sempre, perché non è il tempo che la valorizza, ma solo la nostra volontà.

Perciò il dono è la possibilità di ogni uomo di costruire la propria storia; e questa sarà fruttifera se sarà in sintonia con il donare/amare che ha prodotto in Dio la nostra chiamata alla vita.

E non vi è differenza sostanziale tra essere cristiano o materialista, perché l’essere Società impone il dovere non di essere comunità, perciò ghetto, bensì l’essere Popolo nell’uguaglianza pur nella diversità delle mansioni, dei ruoli o delle capacità.

Diversamente vi è solo individualismo; e dove questo c’è vi è solo il principio di intendere il proprio diritto a scapito altrui, con tutto ciò che questo comporta.

E il “benedire” dove sta? Nel vero senso del termine, erroneamente traslato, dal cristianesimo, dall’uomo a Dio.

Dio non ha bisogno di benedire l’uomo, perché a lui ha già dato tutto nel dono della vita con un gesto unilaterale d’amore. Perciò è l’uomo che deve benedire (bene dicere) Dio.

E il benedire è il costruire la propria storia non nel tempo che ci è concesso (predestinazione o fatalismo), ma che noi ci concediamo, accettando ciò che siamo nella conversione (miglioria) quotidiana del nostro essere persona, perciò cittadino.

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