domenica 7 febbraio 2010

Fiat voluntas mea!

Questa frase starebbe benissimo in bocca ad uno spocchioso “monte…”, oppure ad un mercenario “marchio…”.

In realtà è il motto emblematico di come una certa classe dirigenziale, opulenta e asservita al potere finanziario multinazionale, si senta oggi popolo.

Il loro concetto di popolo non ha nulla a che vedere né con la democrazia, né con la vera concezione di nazione: è un’astrazione personale che li rende, da una parte, schiavi del capitale e, dall’altra, privilegiato popolo eletto che nulla ha da spartire con il plebeo operaio e cittadino.

Siamo in presenza non di due classi sociali distinte, ma di molto di più: di due specie animali diverse.

La dialettica che contraddistingue questa classe pseudo dirigenziale è l’astrazione della dietrologia, prodromo esistenziale della dicotomia dell’asservire il popolo al capitale ed dell’essere asserviti al capitale stesso.

Una dietrologia che è l’immagine odierna del qualunquismo del capitale, passato da soggetto giuridico a padrone assoluto dell’economia.

Perché ciò succeda è semplicemente detto; e lo si capisce maggiormente se si retrocede di un paio di decenni per ricercare l’origine dell’, nato per favorire essenzialmente il capitale.

L’Ue, e l’€ per emanazione naturale, è sorta, nelle intenzioni, per favorire la libera circolazione di persone e merci; ma in realtà questa era la scorciatoia lobbistica per spostare ovunque il capitale dove la redditività potesse creare maggiore business.

L’€ venne poi superato dalla globalizzazione. E da quel momento il capitale si trasformò in un perpetuo e errante negriero privo di ogni scrupolo e patria; e che, nella migrazione continua, ha perso le sue radici naturali.

Da oggetto dello sviluppo umano si è trasformato in soggetto padrone del destino dell’uomo!

La recessione non è finita e neppure la crisi finanziaria. Per rendersene conto basta guardare i dati occupazionali e l’isterico andamento delle borse, spesso debilitate da incaute dichiarazioni di personaggi di spicco, che non si preoccupano di scegliere né il momento favorevole, né l’espressione verbale ideale.

Obama, prima, e Trichet, poi, hanno creato dei tonfi borsistici di rilievo, in parte vanificando quella tenue speranza di incerta ripresa, che albeggiava in molti, e le ricapitalizzazioni, richieste al mercato, che molte società stanno attuando per potenziarsi.

Come a dire: con una mano sostengo e con l’altra abbatto.

La crisi sarà finita quando si sarà tornati alla situazione di molti anni fa, antecedenti alla crisi, quando i politici permisero la creazione e la legalizzazione di rischiosi prodotti finanziari, che nulla avevano da spartire con l’economia reale, sotto le spinte corporative lobbistiche.

E si rinascerà asservendo l’uso del capitale all’etica sociale dello sviluppo ecosostenibile.

Non si può affermare che sia più utile chiudere una sede produttiva e pagare fino alla pensione gli operai perché per l’azienda ciò sarebbe economicamente più favorevole.

L’operaio non vuole essere un assistito, ma un soggetto produttivo utile alla propria indipendenza economica e al benessere della nazione.

Vuole essere popolo e non numero burocratico utile al capitale selvaggio.

Qual è il capitale selvaggio? Quello che non si cura dei propri dipendenti, ritenendoli “cose” subalterne al proprio servizio come un qualsiasi macchinario usa e getta.

In pratica tutto il capitale che non fa né sistema, né distretto.

Vi sono, oggi, i mercenari del capitale, che vendono sé stessi e la propria dignità di uomini barattandola col destino altrui. E vengono talmente pagati, per assolvere ciò, che spesso in un anno possono percepire cifre astronomiche che l’operaio o l’impiegato non solo non potrebbero mai avere in un’intera vita di fatica, ma neppure se vivessero più secoli.

E su questa disuguaglianza reddituale (ed etica) sta il segreto della loro iattanza e opulenza, perciò nel dissociarsi da popolo per ghettizzarsi in lobby privilegiata e separata dal genere umano.

Gente così profumatamente pagata dovrebbe essere in grado di poter correggere le storture economiche dei costi eccessivi che un insediamento produttivo può evidenziare. Dopotutto non si ritengono, essi, gli dei della supervisione globale?

La realtà è un’altra: il produrre altrove non li vincola ad un sistema sociale nazionale; ma li pone in posizione politica privilegiata per poter attingere, dalle casse nazionali locali, quei benefici che la loro incapacità dirigenziale e sociale non è in grado di creare.

Il nostro Paese, finora, ha retto l’impatto recessivo per le PMI e non per le multinazionali finanziarie o manifatturiere. Queste, in verità, sono quelle che hanno ottenuto pronti aiuti e sovvenzioni dalle casse statali delle varie nazioni, per non trascinare seco tutto il resto.

E, quando la cuccagna è finita sono pronte a … sgombrare il campo.

Facile etica dell’opportunismo del business selvaggio e globalizzato.

Da ciò il titolo iniziale, volontariamente aggiustato nella sua espressione naturale evangelica: “Fiat voluntas tua” in “Fiat voluntas mea”.

Ed è solo una casualità che il verbo iniziale corrisponda ad una nota multinazionale.

Vi era un tempo l’astratta percezione della “Rosa bianca” e dei suoi 1.000 padri fondatori, che generò fiducia e speranza in molti.

Non a caso la pensò uno che, forse, trasse dai suoi sistemi limbici cerebrali il ricordo dei 1.000 garibaldini e dalla nomea della sua città.

Come andò a finire ora si sa; e di tutto ciò è rimasta solo in pochissimi soggetti la parvenza del nebuloso sogno della sibilla cumana. Una speranza virtuale e nulla più.

Poi venne l’idea di una Kadima italiana, ben presto arenatasi, non tanto tra le divisioni dei vari cespugli, ma soprattutto nell’incapacità progettuale di questi politici di concepire e riformulare una nuova società.

Guardandoli, uno ad uno, non si può fare a meno di rilevare che sono i resti erratici, dispersi e nostalgici della vecchia morena DC: stessi uomini, stessi metodi, stesse idee e ideali e medesima … incapacità.

La domanda che sorge normale nel popolo è: se questi per decenni non hanno fatto altro che cercare un tetto tra opposti schieramenti, avranno ora chiaro in zucca il da farsi?

Facilissima risposta: No!

Se l’avessero avuta la DC non sarebbe crollata e il resto del suo esercito in fuga sarebbe stato in grado di riformulare la società dopo la disfatta.

Sharon aveva un’idea e un progetto valido in mente. I nostri eroi hanno solo velleitarie e abbozzate intenzioni idealistiche e di … carriera personale.

Una Kadima casereccia potrebbe essere considerato l’Ulivo prodiano, i cui risultati politici e economici sono sotto l’impietoso verdetto della storia con l’ammucchiata Brancaleone prodotta.

Ci si nasconde dietro parole come bipolarismo e bipartitismo, come se creare più poli fosse la risoluzione del problema dell’amletico … fornaio. Non ci si chiede con quali numeri, con quali idee e con quali uomini.

La Lombardia è la regione trainante e faro della nazione: per abitanti, per ricchezza prodotta, per produttività, per efficienza e per iniziativa.

In questa regione la Lega, piaccia o non piaccia, è molto forte e in alcune province è il primo partito a maggioranza relativa. E non solo in Lombardia, ma pure in tutto il Nord.

Con questa bisognerà fare i conti, specie se consoliderà ulteriormente il proprio bacino elettorale.

Non si può partire dall’assioma assoluto di non dialogare politicamente con questa, a meno che il progetto non preveda decenni di … gestazione nell’attività propria dello struzzo.

Ha uomini nuovi, non compromessi con il passato, e che si stanno rodando negli incarichi dirigenziali. Il contrastarla con semplici e idioti slogan elettorali non porterà molti elettori; come ciò non avverrà con le idee nostalgiche del passato. Buona parte del sistema produttivo, anche quello che prima fiancheggiava la sx, sta ora puntando su di questa.

Per fare una nuova Kadima in Italia bisognerebbe partire innanzitutto da una posizione di forza, come Sharon aveva; e non da un punto di estrema debolezza e divisione che contraddistingue i possibili e volenterosi protagonisti.

Se poi, come pareva all’inizio, la si voleva affidare alla direzione di un “monte…”, fedele e servo solo al capitale, allora le idee politiche dovevano essere proprio scarse.

Savino Pezzotta, ideatore e unico rimasto a credere nella Rosa, dal fiancheggiamento alle elezioni provinciali non ha imparato la lezione avuta.

Si è partiti con la convinzione di puntare al ballottaggio, ma si è arrivati miseramente … ultimi.

Non solo: l’uomo emblema del piccolo (grande solo nelle intenzioni) movimento, pur presentandosi in più collegi non è stato neppure eletto consigliere e alcuni esponenti della lista si son ben presto dissociati.

Ora, pare che Savino l’abbia voluto con sé nella nuova avventura (che sarà in realtà solo di bandiera per la serie: importante è partecipare e non vincere) alla teorica scalata al Pirellone. Con quale profitto e utilità non si sa proprio.

Se i nomi circolanti saranno quelli veri mi pare una misera compagine destinata a combattere con i marosi elettorali non su una scialuppa di salvataggio, ma su una zattera di emergenza.

Dove sono gli intellettuali, gli industriali, i docenti che possono dare smalto alla lista e al movimento?

Non si è riusciti a trovarli? Beh, allora si getti la spugna e ci si ritiri a vita … privata, se gli uomini sono solo questi.

Per il rispetto che ho alla sua onestà di semplice uomo non posso fare altro che augurare a Savino un sincero e amichevole: in bocca al lupo.

Ne avrà grande bisogno.

Emettere il Fiat voluntas tua non è solo, oggi, il ripetere mnemonicamente una parte di preghiera evangelica.

È, molto di più, il comprendere esattamente la riformulazione necessaria alla società, partendo dal principio basilare che il capitale debba essere asservito ad un’etica sociale di Popolo e di Nazione.

Perciò: che l’industria si radichi e diventi sistema e distretto sul territorio, che i suoi dirigenti abbiano una concezione del loro ruolo sociale al servizio della popolazione, che il politico accetti di dialogare e costruire con tutti una società nuova e diversa dalla precedente, che il business sia un prodotto di sviluppo ma non “il” prodotto per antonomasia dello sviluppo, che l’economia debba essere ecosostenibile perché il basarla sul debito crescente può solo creare gravi crisi recessive.

La parola Piggs, intesa spregiativamente oltre oceano (pigs = porci), indica esattamente le iniziali del sistema debole dell’Ue: Portogallo, Irlanda, Italia, Spagna e Grecia.

Non a caso sono le nazioni maggiormente indebitate, per varie cause, della vecchia Europa e che rischiano il default strutturale.

Alcune per debiti pregressi, come l’Italia, in seguito a gestioni politiche dell’economia assai nazionalpopolari; per cui, forse oggi, si vorrebbe rivalutare e santificarne gli autori, attori anche della degenerazione della politica e del malaffare.

Altre, come Spagna e Grecia, perché hanno spinto la ricerca dello sviluppo oltre il limite strutturale del debito senza ritorno.

Se poi ci aggiungiamo le nuove nazioni, che sono entrate a far parte dell’Ue con troppa leggerezza e avvedutezza politica, il quadro che ci appare davanti è sintomatico di come la crisi recessiva sia grave e la depressione sull’uscio di casa.

Chiedersi se l’Ue ha un futuro di unità o una possibile disgregazione economica non è tanto retorico, anche perché il tornare alle vecchie monete, tolta l’Inghilterra che l’ha caparbiamente mantenuta, è quasi improponibile.

Per superare questo periodo bisogna tornare ad essere Popolo e Nazione nella reciproca solidarietà, anche nei confronti della limitazione dell’immigrazione selvaggia e clandestina.

L’aprire le porte a tutti porterà ulteriori problemi strutturali e di costi, vista anche la pretesa ideologica e culturale di buona parte dell’islamismo.

Perciò si creeranno ulteriori problemi a quelli già tanto gravi che si hanno.

Rosarno non è stato un sintomatico fatto di teorico razzismo, ma il segnale allarmante che può preludere ad un aperto scontro etnico, specie se la concezione del capitale continuerà a privilegiare l’uso, a fine di business, di manodopera sottopagata e precaria in tutto.

L’Italia si avvia verso il 10% di disoccupazione, mentre la Francia l’ha già superata; la Spagna è già sul 20% abbondante e la Grecia nuota in acque stagnanti.

Con queste cifre bisognerà fare i conti e riformulare prontamente un sistema sociale che si basi soprattutto sulla difesa del cittadino.

Francia e Spagna già da tempo applicano la politica del favorire economicamente la fuoruscita volontaria e incentivata dell’immigrato, mentre da noi alcune forze politiche e religiose cavalcano teorie ideologiche che sfociano nella dietrologia populista.

Siamo in un mondo dove tutti recitano l’imperativo categorico di moda Fiat voluntas mea, invece del Fiat voluntas tua.

Il farlo implica il riconoscersi in comunità e non in popolo, specie in politica dove il populismo, il qualunquismo e il migrare continuamente tra cespugli e opposti schieramenti è un fatto assai alla moda, degno del miglior opportunismo.

Purtroppo l’opportunismo non ha mai, nel suo Dna procedurale, l’esatta percezione della realtà e della problematica da risolversi ad ogni costo per non precipitare in un baratro.

Forse pure per questo tante forze sociali si agganciano continuamente a sterili battaglie di bandiera che ci fanno perdere attimi preziosi per una pronta ripresa.

E tutto in base al motto Fiat voluntas mea!

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