Da tempo gli esperti economici/finanziari stanno dettando le linee guida per risolvere il grave problema P.I.I.G.S.[1], che, da quando l’Ue si è formata con l’€, i politici hanno sottovalutato e intenzionalmente disconosciuto.
L’unione è stata più politica che reale, essendo i vari Governi nazionali liberi di gestire l’economia del proprio territorio, anche se nel rispetto di certi vincoli; ma, come si sa, spesso i vincoli vengono superati o erano già stati superati in precedenza.
Per cui tutti, oggi, ne pagano il fio.
Le economie erano troppo disuguali e alcune hanno approfittato dell’unione per espandersi in modo abnorme per cercare di portarsi alla pari con le altre, spesso e volentieri ricorrendo a denaro comunitario.
Però, come spesso avviene con alti coefficienti positivi di PIL, le economie vanno in crisi se tale trend viene perseguito per più anni.
Non a caso l’astro nascente Cina, nel tentativo di diventare la seconda potenza economica mondiale, si è sbilanciata troppo nella crescita del Pil a due cifre; ed ora con la propria Banca[2] centrale corre ai ripari, elevando l’obbligo di riserva delle banche di 50 punti base.
Si afferma che con ciò non si intendano restringere i crediti all’economia, anche se, in realtà, ciò porterà ad un inevitabile drenaggio della liquidità in circolazione.
La crisi globalizzata ha creato danni pure in Cina e alcune grandi aziende sono saltate, specie quelle che dipendevano troppo dai mercati occidentali.
Un’azienda non salta mai per carenza di commesse, ma sempre per i troppi debiti. Diversamente chiude in pareggio.
In UE le economie sono connesse grazie[3] alla moneta unica, che, se da una parte rafforza il sistema protettivo, dall’altro crea disfunzioni, non potendo, come moneta di sistema, essere localmente svalutata.
La crisi greca ha coinvolto, com’era inevitabile, l’intera Ue, rendendo isterici i mercati finanziari.
La FED, da parte sua, con una mossa lungimirante e sagace, a mercati finanziari chiusi, ha alzato il TUS allo 0,75%, visto anche il rafforzamento nel Forex del $, portandolo, perciò, quasi al livello europeo.
La borsa giapponese ha reagito male; quelle europee assai male all’inizio, poi hanno recuperato gradualmente chiudendo intorno alla parità; ma da noi, si sa, l’isteria è veloce a correre tanto nel deprimere che nell’esaltare le quotazioni. La borsa americana ha assorbito l’impatto come atto già preventivato.
Questi, tuttavia, non sono tuoni di un lontano uragano, ma precisi segnali di un violento temporale economico/finanziario già in atto.
Il ragionamento è semplice: se la Grecia va a picco trascina seco tutta l’Europa in rapida successione.
In via teorica si potrebbe liberare la Dracma dall’€, ma ciò non risolverebbe il problema e, alla lunga, lo amplificherebbe ulteriormente.
Una svalutazione nel rapporto a suo tempo fissato Dracma/€ è impossibile per l’identità della moneta ovunque. Un ritorno provvisorio alla Dracma, d’altro canto, oltre a creare un precedente molto pericoloso, sarebbe anacronistico e bisognoso di tempi lunghi.
Ciò significherebbe abbandonare la Grecia al proprio destino e con essa, pure anche gli altri paesi che si trovassero, in un prossimo futuro, nella stessa condizione: sarebbe la fine dell’Ue e il dividere l’Europa in paesi potenzialmente (perché il concetto oggi è aleatorio) ricchi e sostanzialmente poveri.
Perciò, nonostante le dichiarazioni di Trichet, la BCE dovrà intervenire e salvare con un grande prestito, anche se con precise clausole restrittive di garanzia, il sistema ellenico.
Ciò facendo, forse, preserverà il sistema continentale da altri violenti attacchi speculativi immediati, che, bruciando le capitalizzazioni, ridurrebbe inevitabilmente il sistema economico e creerebbe probabile nuova recessione.
Questo, ovviamente, non sarà sufficiente se i vari Paesi maggiormente esposti non intraprenderanno una politica di rigore che limiti lo spreco di risorse pubbliche.
Bisogna considerare che pure il Portogallo e la Spagna sono sull’orlo del default e, nelle retrovie, pure altre nazioni.
Già nei mesi estivi gruppi di esperti avevano sollevato il problema; ma, come quasi sempre avviene, la politica tende a soprassedere finché il problema, incancrenito, esplode e contagia tutto il sistema.
Lo è stato per i mutui sub prime, lo è stato e lo è per gli imponenti debiti pubblici, lo è per l’immigrazione clandestina, lo è stato e lo è per i derivati, lo è per tutti bonds che con facilità vengono oggi immessi sul mercato e che spostano il problema solo più avanti: tutte grosse incognite che attendono d’essere risolte con una regolamentazione decisa e lungimirante, atta a impedire che possano arrecare danni, tanto oggi quanto in futuro.
Le linee guida su cui operare ci sono; manca la volontà politica di metterle in atto, timorosi di potersi inimicare le multinazionali finanziarie nel necessario intento di farle sottostare a regole ferree e ai vari interessi internazionali e continentali.
Capofila del necessario e inderogabile salvataggio della Grecia è la Germania che, con l’avvento dell’€, è forse quella che ha perso in potenzialità più di tutte le altre nazioni.
L’apertura dei mercati, infatti, ha indebolito il suo sistema strutturale e tecnologico produttivo perché attaccato da prodotti più economici, preferiti dal consumatore per l’incalzare della crisi.
Una nuova violenta crisi recessiva porterebbe alla depressione e la stessa economia teutonica ne uscirebbe con le ossa rotte, come tutta la vecchia Europa.
Per far fronte ai bisogni immediati greci si calcola che servano subito oltre 25 mld di €. Una cifra imponente che sarebbe solo l’inizio, atta a tamponare la necistà attuale. Diversamente vi è solo il default e l’instabilità sociale che aggraverebbe la situazione.
Il default greco trascinerebbe con sé i mercati finanziari e gli altri paesi P.I.I.G.S., ad iniziare dal Portogallo, non lasciando sicura neppure l’Italia, solida nel resistere finora alla crisi per il suo manifatturiero delle PMI, ma gravata dall’annoso e imponente Debito pubblico.
In Europa si impone il rigore e una direzione economica unitaria, oggi quasi totalmente lasciata nelle mani del braccio finanziario che vede nella Bce non un organismo specifico pubblico, ma un settore quasi privato.
Politica e finanza vanno spesso per interessi loro: la prima intenta per lo più a coltivare il consenso popolare della maggioranza di ogni singolo stato, la seconda concentrata sul business delle varie potenti banche multinazionali che sul mercato fanno il bello e il cattivo tempo, anche se, considerati i risultati, più il brutto che il bello.
Le banche e le maggiori imprese sono interconnesse da partecipazioni vicendevoli e si sostengono non sulla base di una logica commerciale, ma solo dell’interesse vicendevole.
Ne consegue che non vi sia più distinzione tra finanza e impresa e i rispettivi ruoli abbiano degenerato. Se si aggiunge, poi, che molte nazioni hanno variato gli enti nazionali in S.p.A., allora il connubio diventa assai pericoloso; e, quindi, ben si capisce come le casse statali abbiano soccorso prontamente, anche se necessariamente, proprio quelle stesse aziende che, seppur private, stavano creando il dissesto generale.
Innalzare il TUS anche in Europa significherebbe, ora, bloccare tutta l’economia già vacillante e vanificare la tenue, anche se incerta, ripresa.
Personalmente credo che il TUS avrebbe dovuto fermarsi al 2% e non essere dimezzato. Ciò avrebbe concesso alle aziende sane di attingere ai finanziamenti con maggior raziocinio e di potersi potenziare: vi sarebbe stata una selezione sul mercato con l’espulsione dei corpi morti.
L’interconnessione tra finanza e impresa ha in parte vanificato questa regola e Trichet, dopo aver fatto l’errore di innalzarli prima, nonostante le chiare avvisaglie, li ha abbassati poi troppo.
Ciò ha portato le banche a puntare non più sulla rendita dell’interesse, ma ad operare sulla leva dei costi accessori: il concedere denaro non era più remunerativo e il rischio superiore alla resa. Perciò la liquidità necessaria al sistema produttivo non è stata erogata alle PMI e ci si è limitati, al massimo, a mantenere lo status quo delle aziende sane.
Difatti si è cancellato, in ossequio alle disposizioni, il CMS e si è introdotto il CFA e la penale di sconfino.
È perciò probabile che il TUS debba rimanere invariato per molti mesi ancora.
Il sistema economico e finanziario attuale ha evidenziato i propri limiti e le proprie incongruenze, svincolandosi dal territorio.
La globalizzazione ha portato con sé la ricerca esasperata del guadagno, sottraendo il reddito necessario allo sviluppo e all’impiego al suo implicito ruolo sociale: creare occupazione e ricchezza sul territorio, perciò il fare sistema e distretto nel radicarsi in questo.
Si è creduto che il terziario fosse il nobile eldorado futuro, lasciando ad altri le (vili) mansioni manuali produttive.
La storia, tuttavia, insegna da secoli che col solo terziario non si può vivere a lungo, specie se la produttività dell’economia reale sottrae, nel tempo, importante reddito ai suoi addetti.
L’UE, dal canto suo, in un baratto continuo tra nazioni ha eliminato localmente certe produzioni industriali e agricole, in una compensazione parziale che poi deve però essere supportata da trasporti che, comunque, sono poco ecosostenibili anche per l’inquinamento.
Si è prodotto un danno che sarà difficilmente sopperito.
Se la crisi si è prodotta è perché aziende e stati erano carenti di liquidità e di riserva. E se questa scarseggiava nelle aziende, compresi i vari istituti finanziari che sono dovuti essere prontamente soccorsi (anche se non tutti), è ovvio che neppure la BCE, organismo sovranazionale delle banche locali, avesse in cassa una tale imponente liquidità.
Perciò, per sopperire alle impellenze urgenti, si è ricorso alla moneta telematica, concedendo una liquidità che è solo virtuale.
E lo stesso si farà per la Grecia e per altre nazioni che ne avessero in futuro bisogno.
Per allentare la morsa dei debiti, allegramente generati e gestiti, si producono e si produrranno altri debiti, in base al detto che nel mare si nuota assai meglio che in un bicchiere d’acqua. O, per dirla come quel tale il cui problema non era quello di onorare il debito, ma solo di ottenere ulteriore credito (che non avrebbe mai restituito) perché tanti debiti ti fanno galleggiare, ma pochi ti fanno affondare.
Forse è il caso di dire che la finanza globalizzata galleggia su un immenso oceano di debiti: di privati, di aziende, di nazioni.
Tutti felici di esserlo e fiduciosi che tutto si risolverà … in futuro. Come non si … sa.
Tanti falsi ricchi in un mondo opulento all’apparenza, dove il furbo specula e si ingrassa e dove tutti gli altri fanno la … miseria.
Ovviamente vi sono anche quelli che spargono molto ottimismo e i politici nostrani che si dedicano al calcolo del “pallottoliere” economico/finanziario, senza un progetto globale in testa e senza alcuna idea di come crearlo e gestirlo.
Si procede perciò a vista, incuranti di ciò che non si vuole neppure ipotizzare come eventualmente possibile.
Molti parlano di microcredito, indicandolo come la base necessaria dello sviluppo futuro. È stato anche dato un nobel per questo al suo ideatore.
In realtà il microcredito è un’utopia propria del personalismo e, oltre a non dare alcuna garanzia di sviluppo, è anche una iattura finanziaria per i costi che arreca al sistema e al beneficiario.
Di positivo il microcredito ha solo la facilità di erogazione; ma l’erogazione a pioggia non crea un progetto strutturale, ma solo, quasi sempre, uno spreco di risorse preziose: dà una boccata di ossigeno e nulla più.
Non si chiedono garanzie, non si controllano i costi, non si separano i progetti seri da quelli inutili. In pratica si lascia spazio all’anarchia operativa dei singoli e ogni microcredito è slegato da un altro: si affida l’economia all’anarchismo.
E spiace osservare che anche una buona parte della dirigenza ecclesiastica guarda con favore a questa nuova new age economica, forse fidando solo nel volere della … Divina Provvidenza e al fatto che sono maggiormente competenti in “pater, ave e gloria” che in tutto il … resto.
L’economia moderna non può essere lasciata al caso, anche perché la globalizzazione ha creato il “caso” senza una direzione univoca.
Gli aiuti Ue/Bce saranno “obbligatori” se non si vorrà affondare tutti insieme.
Tuttavia porteranno con sé le inevitabili restrizioni e vincoli, che imporranno sacrifici alle nazioni coinvolte e anche a quelle che potranno farne a meno, visto che i costi generali dovranno essere ripartiti e i mercati di competenza si restringeranno.
Ne consegue che il futuro a medio e lungo termine imporrà una riformulazione generale dei sistemi economici, finanziari, produttivi e sociali, perché la realtà attuale insegna che così non si può procedere ancora a lungo.
Saremo costretti a bilanci ecosostenibili e non populistici e nazionalpopolari.
Diversamente diventeremo tanti “pigs”, che in inglese significa “porci”.
E non intendo, con questo, i paesi oggi in difficoltà e che corrispondono alle lettere del lemma anglofono.
Intendo solo dire che saremo costretti a cibarci delle ghiande, proprio come il figliol prodigo[4] che, dopo aver sperperato tutto si trovò costretto a mangiarne per sopravvivere.
Però, a differenza di questo biblico e simbolico personaggio della parabola evangelica, non abbiamo dietro un padre che ci attende per sacrificare in nostro onore il vitello grasso, perché i vitelli grassi li abbiamo, già da molto tempo, divorati tutti.
[1] - Vedi Fiat voluntas mea!
[2] - POBC 中国人民银行
[3] - Alcuni dicono: sfortunatamente.
[4] - Lc 15,11-32