Già da
tempo ero intenzionato a trattare del problema, perché questo diventa ogni
giorno non solo di attualità, bensì impellente con tutte le connessioni
politiche, sociali e pure religiose.
Tempo fa
in un articolo - Papa
Francesco: Caino, dov’è tuo fratello? – trattai marginalmente di
ciò in maniera teologica e filosofica, attirandomi le ire di uno di quegli
idioti “zucca
banchi” accolturati
( non è un errore grafico perché sottintende coltivati) che oggi infestano, più
che popolare, le chiese alla domenica.
Perché,
come si sa, tra un cretino e un idiota vi è una sostanziale differenza: il
cretino prima o poi capisce l’errore e si ravvede nelle sue convinzioni, mentre
l’idiota persevera sempre fino alla morte.
Per la
serie: solo gli asini non cambiano mai.
Molti,
infatti, specie nel campo cattolico, inquadrano la questione solo nell’ottusa
ottica di quel buonismo peloso e di quel pietismo urticante - basato su un’accoglienza
a tutti i costi -, che è incapace di risolvere il problema non solo a breve, ma
soprattutto a medio termine.
Perché
se le previsioni degli esperti si avvicinano alla realtà, la migrazione dalla
sola Africa verso l’Europa di
ben 80 milioni di persone nei prossimi 10 anni (stima al ribasso) pone un
grande problema di programmazione sociologica, politica e di welfare
strutturale di come selezionare, accogliere e sistemare (con abitazioni e
lavoro) una così ingente massa di persone. Basti pensare che in soli 2 paesi
africani (Senegal e Ghana - paesi dove non c’è né guerra, né persecuzioni)
sarebbero pronti a partire già ora ben 8 milioni di persone. E, guarda caso,
tra i migranti dei barconi vi sono molti di queste nazioni.
Il
problema diventa maggiormente arduo se si considera la grande crisi
economica/finanziaria che ha colpito tutto il mondo occidentale e l’Europa in
particolare.
Quando Letta lanciò Mare nostrum era ovvio che ciò
avrebbe fatto aumentare a dismisura il flusso di migranti. Infatti, un conto è
fare su una carretta o su un gommone qualche decina di km in mare e un altro è
l’affrontare centinaia di miglia per raggiungere le coste greche o italiane.
Diminuendo i rischi aumentano le probabilità e si facilita l’organizzazione
d’imbarco.
Ciò fu
un gravissimo errore politico del Governo italiano, nonostante, allora, le
sommesse contrarietà in proposito di molti stati Ue; ora rese maggiormente
eclatanti con il blocco dei varchi doganali di alcuni stati membri.
Ma,
siccome la colpa spesso non è sempre addebitabile ad un singolo, ben più grave
fu l’errore della politica americana, che dopo aver eletto un incapace a
Presidente, pensò bene di destabilizzare tutta la zona del Maghreb, attaccando insieme a un altro incapace (Sarkozy) la Libia di Gheddafi, prima ancora del
mandato Onu.
Ritengo,
infatti, che a certi livelli un esperto governante dovrebbe avere già ben
presente, quando decide una determinata linea politica o d’intervento armato,
tutte le implicazioni future che ciò può comportare.
Questo
errore macroscopico, ora riconosciuto da tutti, fu il là a quel flusso sempre
più consistente di migranti verso le coste mediterranee dell’Ue.
Non
voglio pensare che questi capi di stato siano malvagi, cioè che abbiano fatto ciò
per un preciso progetto politico ed economico, come: destabilizzare determinate
aeree geopolitiche per vendere armamenti. Anche se molti sostengono che tutto
ciò fu l’esecuzione di una precisa e complessa strategia.
Migranti
e emigranti non sono la stessa cosa. I migranti sono una massa che per varie
ragioni passa da un territorio all’altro; gli emigranti sono coloro che cercano
una nuova collocazione lavorativa altrove, non avendo sbocchi nel proprio
paese.
Entrambi
partono, ma con finalità e progettualità diverse. Portando il tutto al
paradosso si potrebbe affermare che il migrante è un parassita per la società
destinazione, l’emigrante un soggetto fattivo, produttivo e operativo.
Di
popoli migranti è piena la storia umana, iniziando dalla tribù di Abramo,
passando per le orde barbariche dei tempi romani, per giungere oggi a tutta
questa massa che molti media vogliono far passare per “disperati”.
Leggendo
la Bibbia, Dio ci mise poi del suo non solo con la promessa ad Abramo della Terra
promessa, ma con altre azioni mirate o vendicative, come la Torre di Babele.
La prima
grande emigrazione della storia avvenne negli anni della Grande depressione (1873-1895) su due
direttive: la prima interna dalle aree rurali a quelle industrializzate, la
seconda continentale e extra continentale. Sulla direttrice sud-nord in Europa
e est-ovest verso le Americhe (Stati Uniti, Argentina, Brasile). Proseguendo
poi anche nei decenni successivi.
Non a
caso la Chiesa di quel tempo con un suo grande vescovo – Monsignor G.B. Scalabrini, 1839-1905 – creò
una congregazione di preti atti ad assistere gli emigranti all’estero. Tanto
che Leone XIII lo definì Padre degli
emigranti.
Il
flusso migratorio fu allora prodotto da una gravissima crisi strutturale.
Quello attuale da un’incontrollata esplosione demografica.
Basti
pensare che il solo Egitto è passato dai 25 milioni del dopoguerra agli oltre
80 milioni attuali. E le stesse proiezioni egiziane indicano che nei prossimi
40 anni l’attuale popolazione si raddoppierà.
La
società U.S.A. è un esempio pratico multirazziale e plurirazziale. Infatti, in
questa si trova sia la ghettizzazione che l’integrazione.
Singolare
è l’analisi sociologica del cattolicesimo, che se da un lato per fini idealistici propri predica
l’accoglienza a tutti i costi – Papa Francesco: a) Chiediamo perdono per chi chiude le porte ai propri fratelli. b) Costruite ponti,
non muri.
– è di per sé stesso un fattore multiconfessionale e non pluriconfessionale.
Un Papa,
infatti, può benissimo andare a pregare anche in una moschea o al Muro del
pianto, ma la storia insegna che non può mai rinunciare alle sue peculiarità
ideologica, integrandosi con le altre religioni. La stessa divisione tra le
Chiese cristiane, plurisecolare o millenaria, ne è l’inconfutabile prova maggiore.
Integrarsi significa soprattutto fondersi, amalgamarsi, sincretizzarsi e
sincronizzarsi.
Per la
serie: uniti in Cristo, ma non nella pignatta.
Traendone
le conclusioni si può con estrema ragione affermare che la religione sia il
confine invalicabile tra il multirazziale e il plurirazziale, proprio perché
essa è un fattore corporativo sociale, tesa a differenziare più che ad
amalgamare. La religione non è mai un fattore solo individuale e personale.
Non per
nulla i cristiani in generale e i cattolici in particolare han sempre, nella
storia, pensato d’essere la Luce tra le Tenebre del mondo. Riducendo ai minimi
termini: i giusti tra gli ingiusti, i santi tra i malvagi, i benedetti tra i
dannati.
La
storia insegna che i migranti hanno solo e sempre creato società multietniche,
anche quando si sono insediati per questioni di lavoro; mentre gli emigranti
sempre società plurietniche. Cito, a solo esempio, gli ebrei in Egitto.
Al di là
della terminologia che può essere indigesta a molti, basti dire che il migrante
è un corpo estraneo alla società in cui s’insedia, mantenendo usi, costumi,
lingua e tradizioni proprie. Di fatto non s’integra.
Mentre
l’emigrante, dopo l’ambientamento, tende ad assimilare, diventando, di fatto,
un cittadino della sua nuova patria.
Il
migrante non pone radici, l’emigrante si radica. Il primo resta un corpo
sociale estraneo, il secondo diventa un soggetto fattivo. Il primo è
transumante, il secondo stanziale.
Ricordo
che negli anni ’70, viaggiando per lavoro in Germania, già a molta distanza si
riconosceva esattamente un turco; proprio come lo stesso turco oggi lo si
riconosce allo stesso modo, pur essendo trascorsi decenni, nella stessa
Germania.
I media
ci propinano giornalmente che tutti questi migranti sono gente disperata in
fuga da persecuzioni, fame e guerre. Se così fosse durante il secondo conflitto
bellico in Europa non sarebbe rimasto più nessuno.
Ragionando
più nel dettaglio e analizzando i dati ufficiali resi pubblici, si evince che i
requisiti per ottenere il diritto di asilo per ragioni umanitarie (per le
ragioni suddette) spetta solo a un’esigua minoranza di tutti questi migranti
che approdano sulle coste Ue.
Stando
ai dettami del Trattato di Dublino tutti gli altri dovrebbero essere rimandati indietro.
Singolare
è poi il fatto dell’iter immigratorio scelto da questa massa di persone, fuori
dai canali convenzionali e ufficiali. Perciò clandestini e illegali.
Quindi,
considerato che molti di questi clandestini provengono o da paesi arabi
mediterranei o da paesi dell’Africa equatoriale, va fatto pure un ragionamento
a monte sulla loro “disperazione”, considerato che per giungere in Libia e imbarcarsi su un
barcone vi sono migliaia di km da percorrere e, non cosa di poco conto,
l’attraversamento dello stesso Sahara. Se poi aggiungiamo che per imbarcarsi
devono sborsare migliaia di dollari, giova interrogarsi sul perché per costoro
non sia molto più comodo, veloce ed economico, oltre che assai meno rischioso,
prendere una nave o un aereo di linea per giungere nel paese prescelto.
L’Italia
fu, in seguito alla Grande depressione, un paese di emigrazione. Tuttavia sui
grandi bastimenti in partenza per le Americhe vi erano migliaia di disperati e
affamati, ma muniti tutti di documenti per l’espatrio. E giunti a destinazione
venivano identificati, registrati, visitati e controllati se con tutti i requisiti
richiesti per essere accettati ed accolti. Quindi smistati dove serviva
manodopera e si poteva dare lavoro. Magari dopo un periodo di quarantena per
evitare pandemie più o meno gravi e contagiose.
La
stessa cosa avveniva sulla direttrice sud-nord nel continente, anche se pure
allora vi era una parte di disperati che espatriavano illegalmente passando tra
le montagne.
Va però
sottolineato che la società di allora richiedeva manodopera da braccia, non
specializzata. Serviva una forza lavoro e non di intelletto o di
specializzazione come ora. Cosa che la massa di migranti clandestini attuali
non è assolutamente in grado di offrire.
Singolare
è il comportamento dell’attuale Governo italiano, che di fronte a questa
ingente marea umana si è dimostrato impotente e impreparato. Oserei dire:
addirittura sprovveduto.
Non oso
immaginare cosa succederà quando questa massa di migranti si raddoppierà, come
da previsioni, nei prossimi mesi estivi.
Stando
al Trattato di Dublino ogni persona che giunga illegalmente, perciò
clandestinamente su una qualsiasi costa del territorio Ue, deve essere
registrata, identificata e schedata con le proprie impronte digitali.
Diversamente rispedita indietro.
Purtroppo,
invece, assistiamo a gente che indisturbata gira per l’Italia senza documenti,
magari anche con casi di malattie gravi e contagiose, come scabbia e malaria;
come quelle ora registratesi alla stazione di Milano.
Al che è
facile supporre che costoro vengano fatti semplicemente sbarcare; e senza altra
prassi burocratica e di sicurezza siano lasciati andare dove meglio loro
aggrada. Come Ventimiglia sta a dimostrare.
Ai
valichi con Austria, Svizzera e Francia gli stati membri hanno creato o
barriere blindate (Francia) o pressanti filtri ai valichi, respingendo tutti
coloro che sono sprovvisti di documenti o che non hanno alcun diritto a passare
(Brennero, Chiasso). Riportando indietro
quelli che dopo aver eluso i controlli vengono fermati più avanti.
Al di là
del fatto che l’Ue ci abbia sbattuto o no la porta in faccia sull’immigrazione
clandestina, al di là del fatto che più o meno giustamente Papa Francesco dica
la sua senza però proporre alcuna possibile risoluzione al problema, al di là
del fatto che si abbia un Governo di eventuali sprovveduti e di incapaci in
materia, sta il fatto certo che la maggior parte dei cittadini italiani e Ue è
contraria a questa ingente marea di persone che si riserva sulle coste
dell’Europa meridionale a mo’ di invasione, soprattutto perché ciò implica
questioni di sicurezza e sociali, che farebbero lievitare notevolmente i costi
pubblici.
Cameron ha vinto alla grande
le elezioni britanniche sbattendo sul tavolo negli ultimi giorni la questione
immigrati. In Danimarca e in altre nazioni idem. In base a ciò si può dire che il destino
di un prossimo governo – non solo in Italia – è basato proprio sul problema
migranti clandestini.
I flussi
attuali migratori sono un grande problema che coinvolge non solo le coscienze,
ma soprattutto la sostenibilità dei vari sistemi statali. Perché se da un lato
con una lungimiranza organizzativa si possono accogliere alcune centinaia di
migliaia di persone in ambito Ue, è ovvio che mai si potranno accogliere nei
prossimi 10 anni ben 80 milioni di persone, specie se di gente che può solo
offrire la nuda forza lavoro delle proprie braccia e non una specializzazione.
Perché,
al di là delle omelie da buon parroco di campagna di Papa Francesco, si
rischierà di fare la fine di quel capitano di nave, che a forza di raccogliere
naufraghi in mare aperto per non farli annegare finì poi per far inabissare la
propria nave per le troppe persone issate a bordo.
Domanda
pertinente: andò poi in paradiso per il suo buon cuore o all’inferno per la sua
dabbenaggine?
Sull’appropriata
risposta, pregasi rivolgersi al … buon Dio o a Papa Francesco.