Il Decreto sulle
Banche popolari, che entro 18 mesi dovranno trasformarsi in S.p.A., non è solo un
modo per rottamare 150 anni di storia
economica, sociale e cooperativa - del e sul territorio -, ma una sostanziale
volontà di trasformare, anche con altre variazioni strutturali dello Stato
(Senato, Jobs act, legge elettorale …) la democrazia in plutocrazia, usando l’oligarchia.
Dire che
Renzi sia un seguace del mercatismo sarebbe fuori luogo, considerato che nella sua pochezza culturale
non saprà neppure cosa esso sia. Ciò significa che chi l’ha foraggiato nelle
sue dispendiose campagne elettorali interne lo dirige dall’ombra non come un
burattino, ma come una marionetta.
L’indizio
(prova)? Alle cene americane da 1.000 € non ci vanno né i metalmeccanici, né i
disoccupati, né i pensionati, né gli operai ai minimi salariali che ricevono
gli 80 € in busta paga. Anche se poi, con l’aumento delle imposte, la “mancetta elettorale” deve essere resa con
sostanziale aggiunta.
Le
Banche popolari sono un esempio pratico di democrazia diretta nella governance.
Perciò non in base alle azioni possedute, ma alla partecipazione. Il socio,
oltre che cliente, diventa azionista importante, grazie al voto pro-capite.
Sintetizzando: si passa dal capitale al solidale.
Prioritario
diventa la persona, non il capitale. E su questo principio i Padri costituenti
fondarono la Costituzione italiana.
Leone XIII nella Rerum Novarum elenca i principi
cristiani e sociali di una società in fermento e in trasformazione, proprio
nello stesso periodo in cui cominciavano a sorgere e a formarsi le prime banche
popolari e cooperative. Quelle, per intenderci, che sono state poi la spina
dorsale e il volano delle economie occidentali.
Forse
non a caso sia la Rerum Novarum (15-05-1891), sia le Banche popolari, vedono la
luce quale risposta cristiana e popolare alla grave crisi economica che investì
per un ventennio l’occidente e gli Stati Uniti sotto il nome di Grande depressione (1873-1895).
Le
crisi, nell’era moderna, esplodono sempre e inizialmente nel Mercato (Borsa).
Lo fu
anche nel 1873 (8 maggio) alla Borsa di Vienna; e pochi mesi dopo (18
settembre) a quella di New York.
A Vienna
avvenne per il crollo dei prezzi agricoli, dovuti all’eccedenza di derrate, a causa
della forte crescita nel commercio mondiale di paesi concorrenziali emergenti
nel settore, come Stati Uniti, Australia e Argentina.
Negli Usa,
invece, avvenne per il fallimento, per prestiti irrecuperabili, della grande
banca newyorkese Jay Cooke & Company. Per ingenti investimenti
fatti nel settore ferroviario, soprattutto nella Northern Pacific Railway.
Sia in
Europa, sia negli Usa, il contagio si diffuse ovunque, causando forte
disoccupazione nel settore agricolo in Europa e in quello industriale oltre
oceano. Entrambi, poi, riversano il contagio sull’altro settore.
Basti
ricordare a proposito che solo in meno di 6 mesi l’occupazione industriale
negli Usa cadde del 35%, replicata da una di poco maggiore in Europa nel settore
agricolo prima e industriale poi.
Ciò,
negli anni a venire, innescò un ingente flusso migratorio interno (da campagna ad
aree industrializzate) ed esterno (Nord Europa, Usa, paesi America meridionale)
specie nei paesi maggiormente colpiti (Europa orientale, Spagna, Italia e Irlanda).
Ciò
avvenne anche per una scarsa circolazione monetaria, dovuta alla convertibilità
delle varie monete nazionali in oro (gold standard).
La Grecia è parte dell’Ue; ma
chi ha messo la popolazione sul lastrico è stata la Troika (Fmi, Bce, Ue) con le sue manovre capestro. Sicché oggi la Grecia sta peggio di
prima e non sarà mai in grado di rendere i soldi ricevuti per sopravvivere (in
miseria).
Ora, in
Grecia, vi è il governo Tsipras, forte di un vantaggio elettorale ottenuto su promesse economiche
che mai riuscirà a mantenere, sia esca dalla zona €, sia dichiarando bancarotta
e non rendendo più nulla a nessuno. Il suo folkloristico ministro Varoufakis (dichiarato marxista
in economia) lo dice e lo ripete a chiare lettere.
Tuttavia,
sia la Grecia sia l’Ue, non hanno alcun interesse o rompere drasticamente.
Infatti, la prima sarebbe costretta al default immediato con fallimenti a
catena delle proprie banche, la seconda dovrebbe accollarsi nei propri bilanci
la perdita secca degli importi concessi (240 mld di €). E la Bce sarebbe
costretta a rivedere tutto il suo programma di Q.E. sui Titoli sovrani, atto a far
crollare lo spread al minimo storico.
Tradotto
in soldoni per l’Italia ciò equivarrebbe a ben 42 mld; che, guarda caso, è la
somma algebrica delle manovre capestro di Monti e Letta.
Per la
serie: la storia alla fine dice sempre la verità a chi la sa leggere.
Trichet aveva sposato
l’austerità. Draghi ha sposato il monetarismo. Entrambe le linee economiche non
risolveranno il problema crisi, specie se tutto è basato sul Pil.
Scorrendo
gli annali economici della Grande depressione, si evince che il Pil delle
nazioni interessate è sempre stato positivo, nonostante la fortissima deflazione
che in quegli anni si manifestò. Praticamente anche durante la crisi continuò a
crescere allo stesso ritmo del ventennio precedente.
Riporto
all’attenzione del lettore la percentuale di Pil relativo ad alcune nazioni
europee, relativa agli anni 1870 e 1890, ante e durante crisi.
Italia:
8,2%, 9,4%; Germania (guglielmina): 16,6%, 26,4%; Austria-Ungheria (Asburgo):
11,3%, 15,3%; Francia: 17,8%. 19,7%; Gran Bretagna: 19,6%, 29,4%; Russia:
22,9%, 21,1%.
Vi
furono però drastiche riduzioni dei salari, nonostante Pil quasi ovunque a due
cifre. Ben lontani dai Pil attuali negativi o di poco sopra lo zero.
Tanto
allora come ora, una piccola percentuale di persone (alta borghesia) accrebbe
notevolmente la propria ricchezza individuale, mentre la massa andò in miseria.
Le
concomitanze tra le 2 crisi – ma potremmo metterci anche quella del ’29 – sono sovrapponibili in diversi fattori, tra i quali spiccano:
attacco al sindacalismo, esplosione della disoccupazione, riduzione e
limitazione dei diritti individuali, passaggio di ricchezza da molti a pochi,
drastica riduzione della massa circolante monetaria.
E
proprio su quest’ultima concomitanza punterei la mia attenzione, considerato
che allora fu la convertibilità delle monete con l’oro a produrla, mentre ora è
la moneta elettronica, che più che un’ulteriore possibilità per il cittadino
sta diventando per legge un’imposizione.
Monti, Letta
o Renzi poco cambia. La situazione è quella che è e il cambio di macchinista è
solo una scusa per tener buoni i viaggiatori (cittadini) sempre più in
difficoltà, mentre nel sottofondo si tessono i progetti dei pochi che
effettivamente governano l’economia e la finanza. Dunque gli stati.
Pure in
Grecia han cambiato macchinista, stavolta però non per imposizione o manovre
esterne ma per volontà del popolo. Però il macchinista si è trovato su una
locomotiva praticamente senza energia, colma di problemi per lo più creati nel
passato da pochi, ma fatti pagare per bene ai molti.
La
realtà è che pure il costo di questa crisi, causata dall’abuso e dall’uso di
prodotti finanziari impropri, venga fatto pagare duramente a tutti.
All’Ue,
e pure Renzi, continuano a pontificare sulle riforme che devono essere fatte,
anche se alla fin fine queste non vengono mai elencate per nome in modo che il
popolo le conosca e possa esprimersi.
Non
credo che tutte quelle oggi messe in cantiere dal governo Renzi possano
risolvere la situazione, visto che la risoluzione della crisi sta altrove.
Che lo
spread italiano sia sceso a 100 sul Bund è un buon segno. Però è ovvio
chiedersi perché mai la Bce non abbia
adottato subito questa misura correttiva, quando la speculazione finanziaria
cominciò ad accanirsi sullo spread di Grecia (giunto fino a 2.800 ptb),
Portogallo, Spagna e Italia.
Che è
cambiato da quando lo spread italiano era a 500 ptb rispetto a ora che è a 100?
Nulla; anzi è peggio più ora di prima, se consideriamo che il Pil, la
disoccupazione e l’ammontare del nostro Debito sovrano hanno inanellato
performance negative una dietro l’altra. (Debito sovrano: allora 1.750 mld,
ora 2.250).
Dire,
come ha fatto Salvini, che “Renzi? È il servo sciocco di Bruxelles.” serve a nulla. Di sicuro c’è che col suo
operato, e con un consenso minoritario elettorale, vuole imporre al Paese, e
anche al Pd, il proprio diktat. Infatti, alle europee il Pd ha sì ottenuto il
41% dei voti (comunque minoritario alla somma del 59% delle altre forze politiche),
però con una percentuale di affluenza estremamente bassa e prossima al 60%
degli aventi diritto, che rende il suo successo molto più risicato e prossimo
in realtà al 30% circa.
La legge
elettorale che propone, con il premio di maggioranza al primo partito, non è
altro che la negazione della democrazia, perché dà nelle mani di pochi il
potere che dovrebbe essere quello di molti.
L’oligarchia
è la negazione della democrazia. In pratica il suo contrario. Specie se si
procederà con dei nominati e non con degli eletti.
Un
premier però passa e non dura in eterno. Ciò vuol dire che sotto le pressioni e
le manovre Ue e Bce ci stanno forze capaci di indirizzare ben oltre i propri
progetti.
Gli
stati si strutturarono diversamente per superare la Grande depressione,
sfociando poi nel colonialismo; e a seguire in ben 2 sanguinose guerre mondiali.
Si
operarono concentrazioni a carattere industriale, si crearono le trust (monopoli – grandi
corporation di enti minori), si misero le barriere doganali e lo stato diventò
esso stesso consumatore (interventismo) di prodotti interni, onde mantenere alto il livello dei prezzi,
perciò la redditività, per attrarre in tal modo investimenti.
La
storia, tuttavia, ci dice che la ricetta adottata fallì, perché i paesi
coloniali furono in grado solo di fornire materie prime a basso costo, ma non
di assorbire il surplus di prodotti industriali.
Politicamente
gli stati produssero delle dittature di dx o di sx, riducendo ulteriormente sia
le libertà individuali sia i diritti.
Ora pare
che la dittatura vada verso la plutocrazia, servendosi dell’oligarchia per
giungere al suo scopo.
I grandi
Debiti sovrani nazionali per essere ripagati avrebbero bisogno non di anni, ma
di molti secoli.
Mussolini per risolvere la
questione del Debito sovrano adottò il famoso colpo di spugna; ma allora le
nazioni erano perlopiù autarchiche e se lo potevano permettere.
Oggi,
invece, il Debito è in mano ai grandi potentati finanziari (Bce, Fmi,
multinazionali finanziarie, banche internazionali) che non possono permettersi
di perderlo, salvo ridistribuire nuovamente la ricchezza dai pochi ai molti e
fallire. Ne consegue che dopo aver elevato lo spread al massimo, onde
guadagnare il più possibile, ora lo riducano al minimo per non perdere tutto
ciò che hanno guadagnato.
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