Draghi,
alla Bce, ha
ridotto ulteriormente il costo del danaro e i Mercati
hanno reagito positivamente nella giornata; forse perché gli stessi mercati sono,
in effetti, quelli che da questa liquidità a costo quasi zero (0,05%) trarranno
i benefici maggiori.
Ben diversa è invece la prospettiva dell’economia reale che, oltre
a languire, manifesta gravi problemi di deflazione.
Pur con molto ritardo la Bce si è incamminata verso una politica sempre
più marcata di Quantitative
Easing (QE),
seguendo l’esempio americano che da inizio crisi ha permesso all’economia
stelle e strisce di non affondare, come invece a fatto quella del vecchio
continente seguendo la linea della sola austerità.
Produrrà abbondante monetarismo, sia immettendo grande liquidità nel
sistema finanziario, sia acquistando Titoli sovrani,
specie dei paesi in difficoltà.
Il Giappone negli anni ’90 ha fatto scuola in questo senso. Ha mantenuto
invero l’economia in linea di galleggiamento, ma è bene sottolineare che ha
dilatato in 5 lustri il proprio Debito
sovrano a quasi il 300% del proprio Pil.
Ne consegue che tutte le economie che s’incamminano su questa
strada, avendo l’ossessione della Crescita per
reggere i costi dei propri apparati, si ritrovino prima o poi in … brache …
rotte di tela.
Con l’era Bush junior e Obama il Debito americano ha raggiunto il 150% del proprio Pil, quello
italiano lo tallona al 140% ormai e le altre economie, compresa quella tedesca,
seguono a ruota.
Tutte le maggiori economie mondiali – Cina e India
comprese – stanno dilatando il proprio Debito.
In Economia non vi è nulla di scontato perché l’essenza dei
bilanci a lungo andare si riduce a tre soli fattori: entrate, uscite, utile di esercizio
(positivo o negativo).
Qualsiasi ente o azienda non può reggere a lungo una perdita se
non con il beneplacito consenso dei propri creditori. Che in economia politica
corrispondono a: finanziarie e privati.
Se il Giappone riesce a non fallire, con il debito che si ritrova,
è perché il suo Popolo lo finanzia senza alcuna remora. Infatti, il Debito del
sol levante è quasi interamente in mani nazionali.
Traendone le considerazioni, seguendo una perfetta Logica
filosofica a carattere di politica
economica, si giungerebbe alla strana (assurda) conclusione che, in
effetti, il Giappone è fallito, ma che tutti, finanziatori compresi, fanno
finta di non accorgersene.
Perché? Perché l’ammetterlo significherebbe riconoscere che pure
gli stessi finanziatori sono falliti, giacché il loro credito verso lo stato è
diventato in realtà inesigibile. Si regge unicamente sul continuo
rifinanziamento di quel Debito. Mai si potrà in breve tempo chiudere la
pendenza creditoria. Ci vorrebbero secoli di sani bilanci.
Vi è la possibilità in economia di poter chiudere un debito?
Certo: solo producendo utili in grado di ripianarlo. Ma se gli eventuali utili
sono fagocitati dall’aumento continuo del Debito, se ne deduce che qualsiasi Crescita
– grande o piccola che sia - sia di per sé stessa la causa dell’aumento del
Debito stesso.
Perché? Perché la crescita è fittizia e basata solo sull’aumento
del Pil. In pratica non tiene in nessun conto la redditività reale
dell’investimento, ma è impostata solo sul volume d’affari complessivo prodotto
dal prodotto interno lordo. Non si fonda sulla ricchezza, bensì sud debito!
Il rapporto degenerante è imperniato, perciò, sul fattore di
bilanciamento in percentuale tra Debito e Pil. Se crescono entrambi il rapporto
può restare anche prossimo al rapporto dell’anno precedente, creando
l’illusione che le cose stiano andando bene.
Esempio pratico per il profano: a) poniamo Pil a 1.000 e Debito a
2.000 – rapporto 100%; b) anno seguente: Pil a 1.100 (con incremento 10% -
utopistico -), Debito a 2.200, rapporto 100%.
Tuttavia la nudità disarmante di questi numeri indica solamente
che il Debito si è incrementato di altre 200 unità, raddoppiando lo stesso
incremento del Pil, pur mantenendo la stessa percentuale di rapporto.
Se ne consegue che lo Stato interessato sia su una via economica
fallimentare. Per dirla crudamente: di
fatto, è già fallito.
Poniamo ora nell’anno seguente: c) Pil a 1.100, Debito 2.090,
rapporto 90%.
Ne consegue, anche sulla base di quest’ultima ipotesi, che pur
riducendo il rapporto stesso, anche fino al 90%, il debito continui ad
incrementarsi, nonostante una crescita del 10% del Pil.
La risposta è semplice a questa considerazione: il Pil è lordo e
pur con percentuale d’incremento a 2 cifre non è in grado di reggere la spesa.
Spesa che può essere dovuta o a costi o a investimenti.
Investimenti che però non sono in grado di reggere comunque i costi. Perciò di
ridurre non la percentuale di rapporto, ma l’ammontare complessivo del Debito.
Nel dopoguerra l’Italia iniziò a fare dei
sostanziali investimenti strutturali.
Tra questi l’A1 da
Milano a Napoli. Fu costruita in 9 anni, con una media di circa 99 km all’anno.
Quest’arteria era tuttavia necessaria al paese, sia per
ammodernarlo sia per renderlo efficiente.
Allora si facevano opere necessarie alla crescita del paese.
Ora si è costruita la BreBeMi tra
Brescia e Milano, nonostante ci sia già, anche più breve nel tracciato, la
funzionale e scorrevole A4.
Quest’opera (finora deserta) dai costi rilevanti – a mio modesto
parere – non serviva affatto al paese, ma solo per incrementare il lavoro, cioè
a far crescere il Pil e il bilancio dei soliti costruttori, che, guarda caso,
sono poi spesso i finanziatori o dei partiti o di importanti esponenti di
partito.
Non a caso i finanziatori del rottamatore Renzi ora
occupano importante cariche dirigenziali.
L’attuale linea economica della Bce dovrebbe essere funzionale
alle aziende. Il costo del danaro si è ridotto ai valori Usa e giapponesi, ma
non sarà sufficiente a far ripartire il paese.
Il motivo è semplice: ad un costo Bce prossimo allo zero si
contrappone il tasso bancario nazionale, che fa pagare alle aziende tassi
minimi dal 5% in su (rapporto minimo: 1.000%).
Con questa disparità da usura non si andrà da nessuna parte.
Questo Governo, specie con il suo Premier, è svelto in ciance; ma,
finora, inesistente in opere.
Ai più, specie all’estero, pare il governo dei “bamboccioni
e dei bambinoni”[1], se
pure Barroso a Cernobbio ne declama (diplomaticamente) l’inefficienza assoluta.
Molti esponenti di importanti vertici tedeschi hanno già più volte
alzato la voce, mentre quotate testate internazionali, dopo un primo tempo di
attesa, ora si schierano contro questo esecutivo.
Non è tuttavia la supposta incapacità del pretenzioso Renzi e dei
suoi giovani ministri a negare una valida prospettiva al paese, bensì il fatto
che nella politica italiana non vi siano personalità capaci e adatte a far
risorgere l’economia nazionale, senza zavorrarla ulteriormente con il Debito
pubblico.
Renzi è cresciuto nell’orto dell’incuria progettuale politica.
Dichiara di voler assumere 145.000 precari
della scuola nel 2015, scordandosi nello stesso tempo d’affermare che il
personale statale deve essere snellito.
Trovi una logica per sé, se vuol avere credibilità, più che per
chi l’ha votato direttamente o indirettamente.
In ambito Ue vi
è la perenne diatriba tra stati su come allentare i limiti di bilancio,
dimenticando, di fatto, il Fiscal compact.
Perché se gli investimenti per crescere incrementeranno
ulteriormente – come vorrebbe Renzi – il Debito sovrano e il Pil, allora la via
della decadenza economica assoluta verso il fallimento sarà inevitabile.
Ovviamente una via alternativa al disastro c’è.
Si chiama: produrre utili, e con questi ricchezza e occupazione,
iniziando a ridurre l’ammontare reale del Debito sovrano.
La Crescita la si fa sulla capacità di produrre ricchezza, perché
la ricchezza è l’unica in grado di ridurre il Debito.
Diversamente, inseguendo il rapporto Debito/Pil, si produrranno
solo altri guai.
Perché, in sostanza, oggi si insegue la crescita del Pil come se
fosse la panacea di ogni male, aumentando (quando va bene) con questo pure il
Debito. Tutti se la godono beati pensando che sia tutto rose e fiori, mentre
con l’ignoranza di politica economica si continuano a ripetere gli stessi
errori che ci hanno condotto a questa gravissima, e non ancora sufficientemente
compresa, recessione, preludio allo sconquasso finale.
[1]
- Citazione tratta da una
mail privata, giuntami da un’importante funzionario d’uno stato dell’Ue. L’ho
tradotta in italiano, benché giuntami in lingua estera.