domenica 13 marzo 2011

Una politica, un'economia, una democrazia e una libertà assai labili.

Gli avvenimenti di questi giorni, anche in seno Ue, hanno palesato e nello stesso tempo confermato le solite incongruenze dell’Unione dei popoli d’Europa, dove non solo non esistono delle direttive politiche e economiche condivise, ma che queste non sono neppure abbozzate.

Le sollevazioni più o meno manovrate del Maghreb hanno dimostrato che non ovunque si può avere successo, specie se alcuni Paesi sono più amici (per business) di altri nello scacchiere internazionale.

Ironizzando sul significato del termine geografico si potrebbe dire che il tramonto non è uniforme ovunque.

Delle manifestazioni popolari islamiche non si parla quasi più; e la giornata della collera lanciata e proclamata da tempo via Internet in Arabia Saudita per l’11 marzo non ha visto muovere la coda neppure al … gatto del re.

Perciò molto peggio dei piccoli e timidi assembramenti di piazza avvenuti in precedenza in Iran e in Cina: non è proprio stata neppure abbozzata.

I padroni del vapore (governanti arabi) saranno pure tutti oltre i 75 anni; tuttavia alle cancellerie internazionali oggi un nuovo punto critico sarebbe problematico da gestire, non solo per la repressione che comporterebbe politicamente, quanto per le conseguenze economiche sulle materie prime.

L’Arabia Saudita, infatti, sta ora sostenendo il mercato del petrolio con le sue immense riserve, perciò calmierando il prezzo oltre a sopperire alla mancata produzione libica. Destabilizzarla ora sarebbe un suicidio globalizzato.

Il petrolio è salito e se si stabilizzasse intorno ai 120 $ al barile le deboli e malferme economie occidentali ripiomberebbero in una recessione ben più grave di quella finora vissuta.

Perciò la rivoluzione dei gelsomini è sfiorita, perché diversamente sarebbero guai seri per tutti: per gli occidentali che vedrebbero lo spettro dell’implosione economica dei loro debiti sovrani e per le finanziarie islamiche che hanno investito quasi in toto i loro proventi nell’economia occidentale.

Forse solo per questo i moti popolari e rivoluzionari più o meno pacifici del mondo islamico sono scemati?

Il sospetto è … assai forte.

La diplomazia internazionale, in barba all’autodeterminazione dei popoli, ha già deciso che Gheddafi (essendo inviso a quasi tutti) se ne debba andare; tuttavia non ha previsto come, considerato che si pensava che la sollevazione di una parte di popolo fosse sufficiente.

Se si aggiunge che alcune intempestive dichiarazioni, su una sua probabile incriminazione alla Corte dell’Aja per crimini umanitari, hanno chiuso la porta a possibili trattative su un esilio di immunità garantito, ben si capisce che si è fatto precipitare la crisi in un buco nero.

Perciò dopo le ventilate pressioni mediatiche su un intervento diretto, sulla no fly zone e su sanzioni economiche, ora, per scalzarlo, si dovrà operare con un intervento armato diretto, essendo impensabile che la minoranza della popolazione libica, pur se appoggiata e foraggiata da altri, possa farcela contro la maggioranza della popolazione (tribù) ancora fedele al rais.

Però l’Iraq, l’Afganistan e altri scenari di guerra similari, inducono molti paesi alla cautela e a fare solo, per ora, la voce grossa.

Alcuni esponenti bombaroli si lanciano in avanscoperta, badando bene a non esporsi troppo: minacciato bombardamento mirato sì, intervento diretto … nì.

Ma i bombardamenti per avere successo dovrebbero essere estesi e a tappeto; sicché dall’ipotetica ragione si passerebbe al torto marcio perché si coinvolgerebbe la popolazione.

Ciò non risolverebbe il problema, perché pur privo di aviazione, gli insorti non avrebbero vita facile contro Gheddafi; e in seguito dovrebbero gestire il potere contro la probabile guerriglia.

Un piccolo pensiero, pur essendo tempi diversi, vola alla guerra d’Algeria; perché ipotizzandola ai nostri giorni sarebbe interessante vedere chi, per favorirla, intenderebbe bombardare la Francia.

Forse … Sarkosy?

Quante altre nazioni si dovrebbero oggi bombardare per difendere una libertà e una democrazia che altri non intendono come noi?

Si cercano disperatamente via alternative che all’orizzonte non esistono.

Ovviamente un intervento diretto dell’Occidente sul campo di battaglia, pur con il battage mediatico favorito pure dall’assenso della Lega Araba e dall’Onu, sarebbe inviso al mondo islamico che già ha mal digerito similari interventi precedenti altrove, oltre che agli stessi occidentali che troppe vittime hanno già lasciato e lasciano altrove.

Sarebbe pure difficile da spiegare all’opinione pubblica perché un governo finora pacifico (quando non ritenuto amico) nel rapporto di scambio commerciale e politico sia diventato all’improvviso dispotico e da eliminare.

Alcuni governi arabi (Siria in primis), inoltre, mettendo già le mani avanti per un futuro prossimo che potrebbe vederli vittime predestinate di analoghe situazioni, cominciano ad essere, nella loro Realpolitik, vicini al rais libico.

Gli insorti, perciò, non avranno vita facile e se non si procederà diversamente saranno come Pisacane: eran 300, eran giovani e forti e sono morti.

Le compagnie di rating continuano a declassare i debiti sovrani di Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna, unitamente ai fondi sovrani e a primari istituti finanziari di singoli paesi.

Ciò significa che la crisi è ben lungi dall’essere superata e che con questa si convive tuttora.

La Bce (Trichet), inoltre, considerato che il prezzo del barile sale, teme l’inflazione e a breve progetta di aumentare i tassi, dimenticando i danni strutturali che l’aumento precedente ha creato e polverizzando la già stanca (debole) economia occidentale. Non per nulla l’Euribor ha già iniziato a salire.

Aumentarli non è solo aggiungere altri rilevanti oneri finanziari alle aziende già in sofferenza, che però comunque reggono a fatica attualmente il mercato, ma significa pure gravare di imponenti ulteriori tasse i bilanci nazionali, perché l’innalzamento del tasso avrà una conseguenza immediata sugli interessi pagati sui titoli: maggior tasso, più spese, più tagli e più oneri per bilanciare il rapporto debito/Pil. E, anche, più inflazione e disoccupazione!

Ed in una congiuntura economica estremamente debole significherà togliere grandi risorse agli investimenti, necessari sia per la ristrutturazione industriale, sia per lo welfare, sia per il rilancio dell’economia.

In Italia si sta investendo oltre 20 mld di € sull’energia alternativa e rinnovabile (fotovoltaico, eolico …).

Però si prevede di coprire solo circa il 2% del fabbisogno nazionale per il 2020. Un risultato più che deludente e fallimentare per la cifra investita.

Con la stessa somma impiegata nel nucleare si coprirebbe invece oltre il 50% del fabbisogno nazionale.

Il terremoto giapponese, in attesa di ulteriori dati scientifici precisi, ha evidenziato il rischio del nucleare; tuttavia va detto che da noi una tale potenza distruttiva sarebbe impossibile da raggiungere, considerato che gli esperti lo indicano come 30 mila volte superiore a quello casereccio (in confronto) che ha colpito l’Aquila.

Impossibile perché la potenza che possono sviluppare le faglie mediterranee ha una probabilità inesistente di raggiungere una tale magnitudo.

L’economia ha bisogno di energia a basso costo, ma da anni si sta procedendo nel senso opposto. Basti pensare che da più di 2 decenni non abbiamo un piano energetico nazionale, distrutto al suo sorgere dallo strumentale e fazioso referendum sul nucleare.

La crisi libica, essendo l’Italia dipendente per un terzo negli idrocarburi da quel paese, se si protrarrà in una guerra civile porrà a medio termine seri problemi all’industria e all’economia nazionale.

Tuttavia, anche se sarà breve e se si concludesse con la permanenza (vittoria) di Gheddafi, porrà grosse complicazioni di costi perché è più che naturale che il rais libico rimetta in discussione tutti gli accordi sottoscritti con l’Europa dopo essere stato scaricato da questa.

Il terremoto non crea mai vittime umane; le creano invece le case che crollano sulle persone o lo tsunami che ne segue, perché l’uomo costruisce spesso per comodità e convenienza in zone che possono subire ingenti conseguenze da questi cataclismi.

Pure la democrazia e la libertà dei popoli non crea morti, ma li porta seco la degenerazione che la libertà e la democrazia producono.

Nella cultura islamica non è apprezzato il concetto di reciprocità, senza il quale la democrazia e la libertà non possono sussistere.

Il regime tunisino e egiziano han lasciato posto ad altro; ma gli scontri sociali, culturali e religiosi invece di sopirsi tendono ad incentivarsi ogni giorno di più.

Pure gli sbarchi di immigrati maghrebini sono ripresi; e ciò significa che la libertà e la democrazia declamata dai media occidentali non solo non sono state in grado di renderli inutili, ma che l’assenza di un governo forte li ha incentivati.

Le imperfette democrazie occidentali non hanno ancora creato l’antivirus necessario ad evitare gravi tensioni interne: crisi politiche, economiche e sociali; perciò non trovano di meglio che esportarle esternamente proprio là dove una cultura diversa necessita di un “regime democratico” che faccia da totem per risolvere i tabù.

In campo finanziario si abusa spesso dei tassi in situazioni eccezionali come l’attuale, fidando nel fatto che questi sono utili a calmierare costi e consumi in un periodo normale.

Il problema è generalizzato specie se la Bce e la Fed hanno immesso enormi quantità di mld di € e di $ per sostenere banche e titoli sovrani, disdegnando però la rifondazione dei mercati mobiliari per purgarli dalla speculazione globalizzata selvaggia, dai derivati, dai titoli tossici e dalla contrattazione impropria sulle materie prime.

Serve un nuovo modo di fare impresa e di investire, fondato sul suo radicarsi nel territorio e su uno sviluppo ecosostenibile.

La crisi del ’29 sfociò in una sanguinosa guerra mondiale. Le avvisaglie attuali non inducono a molto ottimismo.

Forse sarà una guerra diversa dalle precedenti: una guerra che porterà con sé, facendole implodere, le degenerazioni dei debiti sovrani, spinti ormai ad una linea di non ritorno nella ricerca ossessiva di un possibile benessere solo economico fondato sul consumismo sfrenato.

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