domenica 6 giugno 2010

Il Debito sovrano: interconnesione tra economia, finanza e politica.

Fitch ha tagliato anche il debito sovrano della Spagna.

L’Ue, prevedendolo, aveva messo ha disposizione, in sintonia col Fmi e la Bce, circa 750 mld di €, onde contrastare e bloccare le possibili ondate speculative dei mercati finanziari, tese non solo ad affossare il valore venale del singolo titolo, bensì l’ stesso che, comunque, al Forex continua a flettere.

Simultaneamente, pur con molto ritardo, la governance Ue – in pratica le conclusioni condivise dei capi di stato delle nazioni Ue – hanno invitato (imposto) tutti gli stati membri a rivedere i loro programmi espansivi sia sociali che strutturali.

Questa lapidaria e semplice disposizione ha indotto la ragazza[1] ad aumentare la pressione fiscale (tasse), a tagliare lo welfare e a imporre alcune regole restrittive ai mercati mobiliari (Borsa).

In Grecia, già nell’abisso del default senza gli aiuti comunitari, si sono avuti drastici tagli agli statali, alle pensioni, agli stipendi, aumento di tasse e restrizioni finanziarie.

In Spagna e Portogallo analogie procedurali, anche se meno draconiane.

In Italia una finanziaria correttiva 2011/2012 necessaria per frenare l’espansione del debito pubblico, lieve nel movimento attuale, ma imponente nel monte accumulato nei decenni passati.

E … seguendo tutti gli altri stati.

I mercati, tuttavia, sono ancora molto volatili, oserei dire a tratti quasi isterici, l’/$ è sceso a 1,20 e il valore patrimoniale dei titoli ridotto di oltre un terzo in circa un mese. Vi sono esperti che sussurrano che l’ scenderà sino alla parità.

Perché ciò avviene, nonostante questa ingente massa di danaro pronta ad essere immessa sul mercato e le manovre correttive dei singoli stati?

Perché si è intervenuti molto tardi fidando nell’equilibrio naturale che i mercati potevano dare e, causa maggiore e di non poco conto, perché tutte le risorse da immettersi sul mercato dovranno necessariamente essere raccolte sul mercato stesso.

Perché? Perché i risparmi sono già stati bruciati dal Debito sovrano dei singoli stati o dalle aziende finanziarie (banche centrali, commerciali o d’affari): il mondo da alcuni decenni sta in piedi esclusivamente sul debito!

Viviamo tutti oltre le nostre reali possibilità.

E la crisi reale, quella che investe come un’onda lunga popoli e aziende, comincia proprio ora, dopo i vari sconquassi finanziari dei mercati globalizzati.

Ciò che sostiene gli stati è il valore patrimoniale complessivo dei propri cittadini.

L’Italia su ciò è messa discretamente.

In Grecia, ad esempio, il Debito sovrano parifica il patrimonio delle famiglie, in Spagna il rapporto è di 1 a 2, in Italia di 1 a 6 … e via dicendo.

Più il valore patrimoniale è alto rispetto al Debito, meno rischi si corrono sui mercati finanziari: la possibilità di fare impresa e di produrre reddito è, infatti, maggiore, potendo attingere a risorse aggiuntive interne.

Per questo motivo la Grecia si è collassata prima dell’Italia, nonostante questa abbia il terzo debito mondiale in termini assoluti.

La solvibilità del Debito sovrano oggi viene dettata unicamente dai mercati e nessuna liquidità è in grado di contrastarli, neppure quella di 750 mld. Al massimo droga l’andamento a breve, per poi, al primo starnuto (Ungheria) ripiombare ancora verso il basso.

La fiducia, infatti, non poggia mai sul debito ingente, ma sul risparmio vero e sulla solvibilità.

Perciò: o si correggono i mercati o si riducono i debiti sovrani.

Ridurli è il problema di tutti, considerato che ciò implica sacrifici generalizzati e sicuro malcontento con possibili moti di piazza. E la Grecia in ciò fa testo, anche se tale malumore pervade pure la Bulgaria, la Romania e l’Ungheria: anelli deboli (e indesiderati) di un’Europa solo sulla carta.

Portando ad esempio il Debito italiano, considerato che il suo ammontare sta raggiungendo i 2.000 mld di € e supponendo che fosse possibile ridurlo di 50 mld all’anno per azzerarlo ci vorrebbero almeno 4 decenni.

Ciò, ammesso che sia possibile, significherebbe riportare indietro il benessere sociale di quasi un secolo.

La Merkel, anche se in elezioni locali, ha pagato pesantemente il sostegno alla crisi greca, mal visto dai 2/3 della popolazione.

La politica, pertanto, cerca via alternative per non essere estromessa o annientata dal malcontento col voto popolare.

Ciò significa che l’interesse nazionale o, da noi, il tanto decantato e pubblicizzato “bene comune” coincidano unicamente, sia per le religioni che per lo stato, con il mantenimento dello status quo attuale, perciò con il perdurare il rispettivo potere.

Tutto ciò per sottolineare gli ingenti interessi che ruotano intorno al possibile condizionamento delle masse grazie ai media e all’uso che ne viene fatto delle risorse raccolte (offerte e 8/000) o con l’imposizione fiscale.

Ognuno cerca di combattere con le armi che ha; e parte dell’opposizione in Italia sparge invereconde “verità” di tipo miracolistico sui rimedi da adottarsi, come se invece di un ingente debito vi fosse un enorme “tesoretto”.

L’economia oggi dipende dalla finanza e buona parte della crisi è da addossarsi non tanto agli sbagli economici fatti, bensì allo sperpero di finanza pubblica e privata accumulata negli anni. Spesso per condizionare il consenso.

I dati macroeconomici indicano che nel primo trimestre di quest’anno eurolandia ha accresciuto il proprio Pil dello 0,2%.

Le cifre positive sono sempre benvenute; ma quando queste sono solo a decimali è ovvio che non valgano molto.

In dettaglio si ha: Francia +0,1%, Germania +0,2% e Italia ben 0,5%.

Detto così non solo sembrerebbe che si abbia il vento in poppa, ma che la crisi recessiva sia ormai, per l’Italia, alle spalle, essendo il dato più del doppio della media Ue.

Guardando bene i dati specifici si scopre, però, che tale (insignificante) aumento del Pil italiano ed Ue sia solo dovuto al ripristino delle scorte ed all’aumento della spesa pubblica.

Perciò: un dato positivo da considerare in modo negativo.

La disoccupazione, infatti, aumenta ovunque, l’ ha già ceduto oltre un 20% al $ e i mercati finanziari puntano decisi al ribasso con perdite maggiori, mentre i CDS, per tutelarsi sui Debiti sovrani, hanno raddoppiato il loro indice in pochi mesi.

Ora, considerato che lo scorso anno si ebbe una perdita media di Pil intorno al -6%, procedendo con questo incremento annuale per tornare a prima ci vorrebbero, in eurolandia, la bellezza di 30 anni. L’esempio matematico è un paradosso, ma rende perfettamente l’idea di quanto sia ingarbugliata la situazione.

Dirigenti della Fed ipotizzano che le banche della zona dovranno svalutare in un prossimo futuro il loro capitale di circa 200 mld: una cifra spaventosa se rapportata a quanto messo in cantiere (i 750 mld) per sostenere i Titoli sovrani e l’ stesso.

La Cina, dal canto suo, si avvia ad avere una crisi sui mutui di gran lunga superiore ai sub prime americani, che sono stati il là all’attuale crisi globalizzata.

Infatti, nessuna economia, neppure se controllata dallo stato, può permettersi aumenti di Pil a due cifre per più anni senza dover necessariamente investire, perciò indebitarsi, in modo eccessivo.

Difatti pure la Cina sta correndo ai ripari con l’innalzamento delle riserve finanziarie obbligatorie, con la restrizione e selezione del credito e con l’aumento dei tassi.

Il deprezzamento /$ è in realtà una svalutazione strisciante e massiccia operata sul risparmio privato, sulle rendite e sugli stipendi, maggiormente accentuata dalla simultanea discesa dei titoli mobiliari.

Si usa il mercato per svalutare.

E lo si fa, a mio parere, per un motivo pratico e politico: perché si è convinti che l’imponente somma di 750 mld non possa minimamente contrastare il mercato e verrebbe subito bruciata senza ottenere risultati duraturi.

Perciò meglio controllare una discesa progressiva, memori dell’enorme sbaglio operato dall’Italia negli anni ’90 che in 15 g bruciò qualcosa come 120 mila mld di £, dovendo poi ancora svalutare e correre ai ripari con una manovra correttiva imponente e immediata non avendo più riserve.

Purtroppo la svalutazione, reale o strisciante, porta sempre con sé l’inflazione con tutto ciò che ne consegue, specie per le fasce deboli, l’occupazione e la sicurezza del lavoro (non “sul lavoro” come diritto acquisito).

In compenso l’ammontare del Debito resta.

Al convegno di ottobre un cattedratico, dopo aver ascoltato il mio intervento, che definì audace e innovativo, si mostrò, in privato, da un lato consenziente e ammirato e dall’altro mi obbiettò che comunque il mercato è il mercato e non lo si può cambiare.

Al che gli risposi testualmente: Se non correggeremo velocemente il mercato l’EU forse sopravvivrà, ma allora sarà il ricovero dell’economia mondiale, simile a quello dell’anziano che attende solo di finire i suoi giorni. E questa prospettiva proprio non mi piace affatto.

Vi sono alternative a questo triste andamento? Certamente; perché la regola economica per rilanciare l’economia si chiama unicamente Innovazione e non investimento/finanziamento sul debito, dilatandolo a dismisura.

Grecia e Ungheria sono piccole regioni con pochi abitanti; pur tuttavia il loro rischio default affossa i mercati, l’ e la stabilità stessa dell’Ue, bruciando nel contempo ricchezza e valore patrimoniale senza grandi risultati pratici.

Perciò le conseguenze di un eventuale attacco al Debito sovrano di Spagna e Italia pongono l’ipotesi di uno scenario economico/finanziario apocalittico non troppo fantasioso.

Innovare in economia e in finanza significa oggi avere il coraggio di modificare il mercato, specie dove questo crea disfunzioni enormi.

Per farlo, però, vi deve essere il sostegno di tutti i grandi paesi o, almeno, della maggioranza di quelli occidentali. Gli altri, inevitabilmente, verrebbero poi a ruota.

E ciò anche a costo di ridurre momentaneamente la globalizzazione dei mercati.

Il mercato attuale si basa ancora sulla concezione rurale dell’inizio del secolo scorso.

È passato dalla crisi del 29 a quella degli anni 80, per finire a quelle recenti attuali. Ciò nonostante è diventato istantaneo (telematico) e globalizzato; e nel bel mezzo vi sono state guerre devastanti.

Pure la società, compresa la religione, si basa ancora sulle stesse ideologie ottocentesche rurali, come le strutture organizzative degli Stati (partiti, sindacati, federazioni e … banche).

L’economia rurale, in effetti, era una gestione quasi autarchica della vita, della finanza e dell’economia, dove tutto veniva preso e commisurato al produrre e al consumare nel territorio. E, in quest’ottica, la tutela della persona era basilare.

Per ovviare a ciò e per innalzare il Pil economico si è giunti al consumismo, poggiandolo però non sul risparmio ma sull’indebitamento, perciò ipotecando il risparmio futuro; e, con questo, le generazioni a venire.

In pratica un’economia non sostenibile a lungo termine, come i fatti odierni stanno a dimostrare.

Si è ingenerato il concetto di felicità e di benessere, implementandoli su quello del possedere e dell’apparire: il credere d’essere e non l’essere.

E lo hanno fatto stato, azienda e privato, usando l’arma dei media nel condizionamento di massa e il debito.

Si è degenerato dall’idea di Keynes, snaturandone il vero e pregevole messaggio sociale.

In un’anarchia di mercato, priva di regole e fidando sul solo mercato interno, il Debito sovrano è esploso quasi ovunque e l’avvento dell’Ue in alcuni stati lo ha quasi cullato e favorito con finanziamenti a pioggia che hanno dilapidato risorse ingenti.

Si è affidato al solo mercato la possibilità di regolare e smussare possibili eccessi sia dei titoli che delle valute.

Ad un mercato, però, che era ed è basato su concezioni e regole ancora rurali.

A peggiorare la situazione si è legiferato, sotto spinte lobbistiche, per consentire nuovi strumenti finanziari in grado di produrre in breve grandi guadagni (o enormi perdite).

I Derivati, in pratica, sono serviti a ciò e sono la causa della gravissima crisi attuale che si trascina, sempre peggio, da troppo tempo, aprendo ogni giorno inquietanti scenari nuovi.

L’Ue non è uno Stato, ma una Nazione di Popoli. Un nuovo tipo di confederazione diversa dalle precedenti (Svizzera e U.S.A).

Popoli che sono composti sì di persone, ma che vincolano queste, uscendo dal loro territorio locale, ad assoggettare il proprio individuale interesse e principio di persona a quello di Popolo. Devono inglobarsi in un corpo unico nella valorizzazione delle reciproche diversità.

Tornare indietro sarebbe catastrofico. Perciò servono urgentemente nuove regole, nuovi principi e nuovi assetti in grado di garantire il benessere di tutti e non il semplice status quo esistenziale attuale del falso benessere poggiato sul consumismo e sul debito.

E questo è il compito della Politica, ma pure della Chiesa: il garantire un federalismo solidale in grado di esaltare le ricchezze locali per valorizzare il “risparmio” di tutti nell’interesse generale.

Servono in pratica un’economia ed una finanza ecosostenibili nel futuro, che salvaguardino il presente e pure il divenire delle generazioni.

L’alternativa è l’ospizio in attesa della fine.

Attualmente la persona basa il suo esistere sul diritto acquisito con la sola nascita e con l’addossare alla comunità il dovere.

Vi è bisogno di sostituire il diritto e dovere con il Voldere: volere il dovere. Onde essere non semplice persona, bensì Popolo.

Ciò implica a tutti l’addossarsi le proprie responsabilità, nella comprensione che insieme si vive, si produce, si risparmia, si pagano (riducono) i … Debiti sovrani e si rinasce. Si è, in sostanza, vero Popolo e … samaritano.

E lo si fa solo innovando la società e con questa noi stessi.

L’interesse generale deve prevalere, quale principio esistenziale, sul benessere individuale immediato o futuro.

Va pertanto rivisto lo welfare, il sistema strutturale di stato, il concetto di diritto, l’uso del lavoro con le sue regole e con il radicarlo sul territorio, la codificazione del mercato, l’eliminazione degli strumenti finanziari rischiosi e spuri, il controllo delle aziende che pur essendo giuridiche devono sottostare alla fisicità di sentirsi esse stesse Popolo.

Innovare significa cambiare il proprio concetto/diritto d’essere un servito per diventare un servitore, onde essere tutti popolo, specie là dove il benessere e le immunità di reddito (pure di indennità) elevano i singoli a privilegiati.

E per farlo bisogna mettere il capitale disponibile e i talenti individuali al servizio di tutti; serve donarsi specie per chi ne ha bisogno, nella convinzione che l’opulenza individuale sia solo l’usurpazione del diritto altrui e la negazione del dovere proprio.

I beni, in sostanza, li dobbiamo ritenere in affidamento e non abusarne per l’interesse individuale.

Il compito della politica è quello di uniformare la vita di ogni persona nella dedizione per tutti.

Quello della Chiesa di riscoprire l’epica del cristianesimo nella dedizione totale.

L’Ue è un Popolo vario e composito.

Però i cabarettisti, i bellimbusti, gli intrallazzatori, gli speculatori, i fisici … teorici, i qualunquisti, i populisti e i … puttanieri oggi servono a poco in questa crisi, se nel loro essere persona non si adattano soprattutto ad essere Popolo.

Per risolverla servono coraggio e decisione e la comprensione convinta dei possibili rimedi senza ulteriori tentennamenti, non fidando nel solo mercato o coltivando l’interesse di parte, sia economico che politico.




[1] - Così Helmut Kohl indicava sempre Angela Merkel, probabilmente per quella sua istintuale prassi operativa che le occlude la visione politica ed economica generale, proprio come l’inesperienza dei ragazzi porta a sottovalutare o a sopravvalutare la realtà contingente.

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