giovedì 14 novembre 2019

Salvo intese ... ed estreme divergenze.


 
Nel produrre il Def per la nuova legge finanziaria il Governo ha introdotto una nuova formula: Salvo intese. Che, in sostanza, significa: abbiamo delle idee, ma non abbiamo ancora trovato un’intesa.
La Commissione Ue, che ha visto (eufemismo) di buon occhio la nascita di questo governo, per bocca di Dombrovskis afferma che per ora non ha nulla da obbiettare; ma che, comunque, monitorerà costantemente l’evoluzione dei conti italiani.
Gentiloni, da par suo e pur essendo il suo dicastero, per ora tace; anche perché laggiù, si sa, ci sta a far numero e non per governare. In Ue, al suo posto, il Pd avrebbe fatto bene a inviarci Delrio, a cui Ursula, per le affinità elettiva di Goethe, avrebbe affidato il dicastero della politica demografica. Insieme, entrambi, in ciò farebbero faville.
Conte, dal canto suo, declama il mantra che le opposizioni continuano a dire bugie sul fatto che il suo governo corrisponda al governo delle tasse e dei balzelli. Infatti, come si può dargli torto se finora non ha ancora prodotto uno straccio di legge finanziaria, ma solo delle bozze che il giorno dopo sono stracciate?
 
Paul Joseph Goebbels, abile stratega della propaganda nazista, affermava che la politica è l’arte plastica di governare uno stato e che per attrarre consenso è sempre meglio dire una mezza verità piuttosto che una bugia.
Sicché, per far quadrare i conti si sfornano diverse ipotesi (mezze verità): nuova Imu sulla casa, tassa sulla plastica, tassa sulle auto aziendali, rimodulazione quota 100 e via dicendo; senza parlare del pasticcio Ilva, che potrebbe interessare la finanziaria sia nel caso si nazionalizzasse, sia se si entrasse nel capitale sociale, sia contribuendo magari al risanamento.  Ovviamente son tutte idee che però – e il però è estremamente importante – dovranno trovare una maggioranza in Parlamento che le approvi. Perciò oggi si dice, domani si varia e magari dopodomani si annulla. Una politica più plastica di così direi proprio che non esiste.
Siccome, però, nessuna delle quattro forze che sostengono il governo vuole assumersi la paternità di provvedimenti impopolari è ovvio che si proponga l’eventuale entrata in vigore di tali nuove imposte a metà 2020, quando in Emilia e in Toscana si sarà già votato. Perché, qualora vi sia un nuovo tracollo, allora è probabile che questo governo si dissolva e la patata bollente sia passata ad altri.
Pure Mattarella, allora, nonostante la sua buona volontà ed appartenenza politica d’origine, sarebbe costretto a prenderne atto.
 
Chi ora osserva bene i lineamenti della faccia di Conte vi vede un uomo stanco, sfiduciato, braccato e che si sente politicamente finito.  Uno insomma, che non sa neppur più dove sbattere la testa. Ben lontano dallo spavaldo capitan Fracassa che, col tacito sostegno e probabile assenso del Quirinale, riversava un paio di mesi fa sul malcapitato reo professo Salvini un diluvio di accuse capitali in Senato.
Quando un premier convoca un Consiglio dei Ministri inviando una lettera ad ogni ministro perché si presenti al Consiglio con un progetto su Taranto, significa solo che il governo non ha in materia alcun piano e che, davanti a qualsiasi problema, improvvisa solo. Come pure rinviando alla settimana dopo il Consiglio stesso in precedenza convocato.
 
La storia dell’Ilva è molto lunga. Da quando lo Stato, con una propria azienda (Italsider), decide nel 1961 di costruire a Taranto il maggior complesso industriale siderurgico dell’Europa, nonostante che degli esperti affermino che fare acciaio in riva al mare non è proprio il massimo. Certo, c’è un porto, ma si è pure in mezzo a una città.
I vari cambi di nome e di assetti azionari mostrano un dinosauro in grado di sopravvivere solo operando in perdita, perciò continuamente rifinanziato dallo Stato. Finché prima con Dini e poi con Prodi è privatizzata e ceduta (1995) alla famiglia Riva per 2.500 mld di Lire, nonostante la valutazione complessiva sia di 4.000 mld. Ma, come si sa, l’illustre Prodi era famoso a svendere più che a vendere.
I procedimenti giudiziari (2012), sulle morti per tumore per inquinamento, portano al commissariamento della fabbrica e gradualmente all’affossamento industriale e commerciale del complesso sia per gli interventi e sequestri della magistratura sugli altiforni, sia sul materiale prodotto e immagazzinato.
Renzi, con un Decreto di governo, dissequestra, anche se poi la Cassazione dichiara incostituzionale tale decreto.
Finché si giunge ad affittarlo provvisoriamente all’ArcelorMittal lo scorso anno, in attesa della vendita da perfezionarsi. Società composta per il 94,4% da ArcelorMittal e per il 5,6% dal gruppo di Emma Mercegaglia, poi sfilatosi e sostituito da Intesa Sanpaolo. La quale Mercegaglia, grazie a Renzi, si è nel 2014 insediata alla presidenza dell’Eni; forse per uno scambio … di favori.
Il contratto d’affitto con obbligo di acquisto è stipulato col governo Gentiloni e il ministro Calenda il 28 giugno 2017 e modificato col governo Conte e il ministro Di Maio il 14 settembre 2018.
L’articolo 27 dell’accordo, composto di quattro pagine e sei paragrafi, è dedicato ad ogni possibile declinazione sotto il titolo Retrocessione dei rami d’azienda.
Tra l’altro vi si trova:
Nel caso in cui con sentenza definitiva o con sentenza esecutiva (sebbene non definitiva) non sospesa negli effetti ovvero con decreto del Presidente della Repubblica anch'esso non sospeso negli effetti ovvero con o per effetto di un provvedimento legislativo o amministrativo non derivante da obblighi comunitari, sia disposto l'annullamento integrale del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 adottato ai sensi dell'art. 1, comma 8.1, del D.L. 191/2015, ovvero nel caso in cui ne sia disposto l'annullamento in parte qua tale da rendere impossibile l'esercizio dello stabilimento di Taranto (anche in conseguenza dell'impossibilità, a quel momento di adempiere ad una o più prescrizioni da attuare, ovvero della impossibilità di adempiervi nei nuovi termini come risultanti dall'annullamento in parte qua), l'Affittuario ha diritto di recedere dal contratto.
Perciò, parafrasando i codici e i codicilli, si giunge alla conclusione che, qualora si variasse il piano ambientale, ricalibrando di conseguenza l’attività produttiva e economica e revisionando per forza di cose il punto di pareggio operativo dell’acciaieria, l’ArcelorMittal potrebbe restituire le chiavi.
Conte può fare il principe del Foro quanto vuole; ma, nonostante i suoi proclami, davanti a qualsiasi tribunale perderebbe la causa.
 
L’inquinamento e le morti, pur non sottovalutando le necessarie migliorie industriali dei vari gestori o proprietari, non sono imputabili solo ai Riva. Il peccato originale è addebitabile allo Stato, che oltre mezzo secolo fa decise di costruire tale impianto in mezzo a una città, producendo e inquinando per decenni con una propria azienda. È ipotizzabile la buona fede; non però la dabbenaggine.
Lo scudo penale, cancellato giorni fa dal Governo, non è perciò la scusa, ma il casus belli che ha causato lo scontro frontale. Perché un’azienda che è subentrata solo da un anno o produce inquinando, oppure ferma gli impianti per una ristrutturazione radicale.
L’impressione, invece, è che il governo Conte bis vorrebbe la botte piena (mantenimento dell’occupazione) e la moglie ubriaca (fermo e ristrutturazione degli impianti).
Il contratto di affitto e di successiva cessione sicuramente doveva essere “salvo intese” su questo punto dirimente.
 
Lo Stato non è un soggetto comune e con i suoi apparati di potere deve garantire i principi generali, perché l'uguaglianza è un principio generale e inderogabile della legge penale. In pratica non può concedere privilegi a persone fisiche o giuridiche nel nome dell’occupazione. Tuttavia, nel garantire l’uguaglianza penale, dovrebbe in questo caso cominciare a processare sé stesso per aver costruito un impianto che crea e ha creato inquinamento e morte. Perché il compito della magistratura è di applicare la legge e non quello di soprassedere alla legge per opportunismo politico.
Come, sempre in ossequio a quest’uguaglianza, lo Stato non doveva affittare, per poi cedere, a terzi un impianto industriale obsoleto che, per essere reso operante e produttivo, dovrebbe prima essere tutto ristrutturato.
 

lunedì 30 settembre 2019

Le dinamiche sotto traccia della politica.


La crisi di governo agostana è stata superata col varo del nuovo esecutivo? Beh, ci andrei molto cauto ad affermarlo, perché ritengo che sia ancora all’inizio e lungi dall’essere risolta. Difatti, in sostanza, l’ufficialità non corrisponde sempre alla verità conclamata, celando magari tra le pieghe degli eventi zone assai torbide.
Per ora dal cilindro (forno) Mattarella, con la collaborazione di Pd, Leu e M5S, è stato sfornato un ottimo pasticcio. Tanto buono d’essere indigesto alla stragrande maggioranza del popolo italiano e pure a buona parte di quella minoranza schierata sul fronte opposto.
Con Andreotti condividevo il detto che certe volte a pensar male si fa peccato, ma che spesso ci si azzecca. Perciò proviamo a fare un’analisi indiziaria degli eventi.
Dal festival dei burattini (dei pinocchi) e dei burattinai comincerei dalla figura del Premier.

Conte appare come il “fighetto” di turno: bell’aspetto, piacione, sorridente, look impeccabile, chiacchiere suadenti, disponibile a passare e a ripassare il Rubicone non una ma mille volte sia nella vita privata che pubblica, con il complesso della prima donna frustrata, denominato da molti il Pappafichi (per via del gustarsi ciò che altri hanno coltivato), disponibile e totem ombra coi potenti di turno (prima Salvini e ora Ursula o chi per lei), ritenuto fino a poco fa con molta ironia nell’Ue un frustrato avvocatuccio di provincia dal curriculum dubbio e insignificante, ora convinto d’essere diventato il più grande stratega e politico italiano di tutti i tempi tanto d’affermare a Biarritz che dopo un anno di presidenza sa perfettamente dove intervenire e come operare per risolvere tutti i problemi italiani (oibò!!!), grande smemorato di Collegno così da dimenticare un attimo dopo ciò che ha appena affermato, e perfetto cafone istituzionale nei suoi attacchi parlamentari a Salvini celandosi dietro un nozionismo iattante. È un perfetto trasformista adatto ad ogni stagione e un mistificatore della realtà, specie quando riversa su altri le proprie incapacità e le proprie colpe.
Come gli disse la Bonino: ma lei queste cose ce le viene a dire dopo quattordici mesi?  Parafrasando terra a terra il politically correct istituzionale in Senato: o eri idiota prima per non accorgertene o sei mendace e opportunista ora.

Mattarella è lo stratega e  il tutore della correttezza costituzionale, affiancato dalle sue cariatidi quirinalizie. Più che seguire il buon senso si affida ad una lettura forse troppo pedissequa degli articoli e commi giuridici della costituzione (repubblica parlamentare), apparendo a molti succube della sua provenienza politica e ideologica. Il suo funereo aspetto e il suo spizzicato incedere discorsivo gli è valso il duplice affettuoso riconoscimento popolare – analogo nel significato – di Lazzaro risorto e morto che cammina. C’è; ma ai più pare non esserci.

Salvini è il caprone scornato che di norma carica, ma che in questo caso si è rotto le corna. Il suo incedere politico è dettato dall’interpretare abilmente le esigenze popolari e di trasformarle in istanze politiche da convertire in leggi. Grezzo e rude nell’aspetto (il truce, per alcuni) ha avuto il grande torto (peccato originale) di raccogliere un travolgente successo personale e di partito alle europee (34%) e in tutte le recenti amministrative e regionali, tanto da diventare il pericolo pubblico numero uno (odiato e contrastato) per gli altri partiti. Viene perciò nel popolo percepito come l’orco delle sette leghe (vedi: stivali delle sette leghe) per il suo cannibalizzare velocemente gli altri partiti. È stato tuttavia estremamente educato e corretto, anche se fermo, nel rispondere in Senato alle accuse di Conte.

Di Maio è considerato dai più uno statico manichino stralunato, con quegli occhi che paiono uscirgli dalla testa. Sembra un  ragazzo che non cresce mai, intento a ricercare la sua identità di tribuno popolare alla mercé di un comico esoterico e di un impalpabile e virtuale imprenditore di provincia. È attorniato da una galassia di radicali sommovimenti trasversali tesi a sgomitare tra loro per affermare i propri “punti”. Pare lo scolaretto di turno che declama al maestro quanto ha appreso, incapace di andare oltre nell’ideazione di un progetto politico completo, sperso e sommerso nella rete dalle infinite istanze che viaggiano nel web. Come si dice dalle sue parti è un personaggio “impostato”, dove il confine tra il reale e l’apparire è tanto indefinito da farlo sembrare politicamente fasullo.

Renzi è il ragazzotto esuberante nell’eloquio e dalla lingua lunga, intento sia a fare il Giamburrasca tosco sia il sabotatore delle linee amiche e nemiche. Di lui si conoscono le idee vaganti e stravaganti, ma nessun progetto definito. Spregiudicato guascone e pinocchio dalla memoria inesistente è da molti definito come l’idiota ciancione, in pratica colui che senza costrutto e con tante chiacchiere vaga alla ricerca di sé stesso in politica, tanto da dilapidare in pochissimo tempo un ampio consenso ottenuto su promesse facili, ma impossibili da realizzare per deficit programmatico e incapacità operativa. Narcisista, egocentrico e provinciale ha una visione distorta della politica e è più un capetto che un leader, intento a procedere a colpi di mano e a autoincoronarsi. Ha scambiato l’Italia intera per una “branca” scoutista.

Zingaretti ha un aspetto e un eloquio deprimente, tanto da essere chiamato, per storpiatura del suo cognome, lo Zingaro cafone, tanto è rozzo nel muoversi in campo politico. Trovatosi, per grazia ricevuta, ad interpretare il ruolo di segretario ‘pro tempore’ del Pd, ondeggia ad ogni soffio correntizio come canna al vento, intento a cercare di tenere unito un partito inesistente fin dalla sua nascita e composto da bande anarchiche che, come i mercenari di un tempo, si fronteggiano tra loro per spartirsi il potere con aggregazioni e defezioni improvvise. Pare spesso un pugile suonato, intento a interrogarsi su come mai sia lì e su cosa ci stia a fare.


La Commissione Ue è il deus ex machina della situazione, il Giove che dall’Olimpo osserva e lancia i suoi fulmini per ridurre a miti consigli chi la contrasta. Dopo aver dilapidato progressivamente, con il suo operare, in ogni nazione il grande sostegno elettorale di cui godeva da decenni, s’è ritrovata a dover assemblare risicate maggioranze nuove per perpetuare il proprio potere. Ufficialmente dovrebbe essere neutrale nelle problematiche interne delle nazioni, ma in effetti, tirando il sasso e nascondendo la mano, sia sottobanco, sia con dichiarazioni, sia con pressioni e ammonimenti espliciti, fa il bello e il cattivo tempo ovunque. Con la Brexit pare il coniuge abbandonato, ma è probabile che pure dietro gli ultimi sconquassi parlamentari del Regno Unito ci sia il suo zampino.

La crisi parte da lontano e non da uno sclerotico voltafaccia di Salvini. Lui stesso da tempo ammoniva (a torto o a ragione) che si era al limite.
Conte, in Parlamento, pur etichettando il fatto come scorrettezza istituzionale, s’è guardato bene dal dire esplicitamente che la mozione contro la Tav del M5S era in realtà una mozione di sfiducia contro di lui. E quando tutti gli esponenti di una forza politica escono platealmente dall’aula quando il suo premier prende la parola, voltandogli le spalle, ciò non è solo metaforico. In passato il premier di turno sarebbe volato al Quirinale per rassegnare le proprie dimissioni irrevocabili! Erano altri tempi, altri politici e altri presidenti al Quirinale.
La crisi vera nasce sulla stesura del Def, perché qua si gioca il contrasto non tra Lega e M5S, ma tra Commissione Ue e la Lega, che vuole una manovra espansiva e non recessiva.
Tria e Conte tornano da Bruxelles con un misero 1,6. Ciò, in pratica, significa non affossare le aspettative leghiste e italiane, ma produrre una manovra con nuove tasse e l’aumento dell’Iva; oppure bloccare l’Iva e mettere altre tasse, perché l’Iva si mangia da sola 1,4 punti di Pil.
Come ha riferito Conte in Parlamento, la crisi si materializza i primi di agosto con un lungo incontro mattutino  tra Salvini e il premier. Subito dopo Salvini ha un colloquio (sicuramente convocato) con Mattarella, da cui dopo poche ore sale anche Conte. In quel giorno la crisi diventa “ufficiosa”; non però la sua calendarizzazione, ristagnando ancora per oltre due settimane.
Perché si attendono 15 g per renderla istituzionalmente effettiva, quando Conte il 20 agosto sale a rassegnare le sue dimissioni dopo le sue comunicazioni al Senato?
La crisi ha pure un indizio importante: Conte già a luglio avrebbe dovuto comunicare all’Ue il nuovo commissario italiano, che avrebbe dovuto essere leghista. Ciò non avviene tra continui rinvii. Di sicuro c’è che un commissario leghista sarebbe stato una spina dolorosa in seno alla commissione Ue e non si sarebbe, poi, potuto revocare.

Nell’Ue, a luglio, si deve eleggere il presidente della nuova commissione. Ma per la vecchia maggioranza non vi erano più i numeri necessari; perciò, per mantenere il potere bisognava assoldare nuovi deputati, pena il dover passare la mano o un  lungo stallo.
I cantori della Democrazia dicono che questa è il sistema migliore esistente; ma, purtroppo, spesso cela sotto il paludamento sfarzoso della sua teoria, i venali e odiosi, pur se ritenuti leciti nel sistema, mercanteggiamenti (compromessi).
Fatti i debiti conti tra i gruppi presenti nell’opposizione si trova un piccolo manipolo (14) di “prodi” che sarebbe utile assoldare per raggiungere lo scopo. Appunto i deputati di M5S. Ai quali, però ovviamente, bisognerà dare qualcosa in cambio, perché nella teoria dei giochi di Nash non vi sono giochi a costo zero.
M5S, infatti, ha lo stesso problema, pur essendo schierato all’opposizione, della vecchia maggioranza dell’Ue: è in caduta libera nei suffragi elettivi, sia in ambito nazionale che europeo. E non importa affatto se un tempo voleva uscire dall’Euro; di ciò ci si può facilmente dimenticare.
Conte prima si fa in dieci coi capi di stato per convenire sul nome di Ursula e poi M5S all’ultimo istante vota a favore. Vittoria del sistema e del vecchio establishment.
Credo che qui stia l’origine della crisi di governo italiana.

Per raggiungere il risultato tuttavia non basta. Ciò significa che l’elaborato progetto inizia assai prima, quando i sondaggi danno già il probabile risultato.
In Italia, parte debole del sistema Europa per via di un governo ostile e sostenuto da due forze antitetiche, vi è per l’Ue un grosso problema: la Lega sta falcidiando e fagocitando, voto dopo voto, tutti gli altri partiti e ha raggiunto un consenso tale da poter scardinare il sistema.  Interessante su ciò il labiale tra Merkel e Conte.
Non solo: intesse rapporti con i paesi ostili alla Commissione promovendo un coordinamento politico tra loro.
Non è che altrove vada molto meglio: la Merkel perde consensi pur resistendo, Macron (il Renzi gallico) frana e i paesi Visegrad alzano la cresta facendo combutta con Salvini.
Sicché, partendo da lontano, si muovono i legionari passionari: le Ong!

Esiste, infatti, il problema migrazione, che dopo lo slancio “caritatevole” della Merkel, durato solo due settimane, più nessuno vuole. Letta, da buon cattolico, aveva ideato Mare nostrum; ma poi di fronte alle inarrestabili ondate di profughi pure il Pd con Minniti aveva dovuto correre ai ripari.
Ufficialmente giunsero in Italia meno di centomila migranti all’anno, ma il conto reale mai nessuno l’ha voluto rendere pubblico, essendo i calcoli subito fatti: in certi giorni le navi taxi dei “soccorritori” scaricavano anche dieci o quindicimila migranti, per cui è un mistero come si potesse arrivare solo alla cifra annua dichiarata. A meno che i dati di un mese venissero dichiarati per quelli di un anno.
Salvini con decreti ad hoc ha bloccato l’invasione e pure Malta s’è data da fare in tal senso. Macron, dal canto suo, ha chiuso da tempo i suoi porti e pure i varchi continentali di maggior transito come Ventimiglia, pur dando addosso all’Italia sul problema.  Senza dire dell’Austria che minaccia di chiudere il Brennero o della Germania che rispedisce al mittente chi è riuscito a entrare sul suo territorio.
Molte Ong, dopo i decreti italiani, hanno rinunciato al pattugliamento, puntando la prua verso i mari asiatici.

Il problema risolto da Salvini per l’Europa può essere invece l’utile cavallo di Troia per cercare di logorare il governo ostile gialloverde nell’opinione pubblica, con l’appoggio (involontario) del Papa e della Chiesa. Perciò dal Nord ecco giungere un paio di navi Ong  con equipaggio all’uopo selezionato e ben organizzate con tanto di portavoce mediatico, sulle quali imbarcare capitani tosti e disposti a tutto pur di forzare il blocco. Meglio ancora se assai ideologizzati e … ben pagati. E all’atto di violare il blocco ecco pronti onorevoli dell’opposizione (ora maggioranza) a salire a bordo.
La Carola è la nuova Giovanna d’Arco teutonica, specializzata in rompighiaccio, pronta a frantumare pure il blocco navale leghista/italico per la santa causa Ue. Dopotutto in tutto il Mediterraneo esiste solo un approdo sicuro: l’Italia!
Malta? Beh, quella è un piccolissimo stato e non dà noia all’Ue.  Francia, Spagna, Grecia, Cipro? No, quelli hanno i porti chiusi e inviolabili.
Infatti, quanto valgono le leggi dello Stato italiano? Nulla, se non un provvisorio arresto e l’immediata e sostanziosa raccolta milionaria di fondi made in Germany. Di chi? Non ovviamente da parte di Merkel & C., ma di importanti società teutoniche che stanno dietro di loro. Qualcuno ha sentito il biasimo (rincrescimento) formale o ufficiale della Germania per una sua concittadina che ha violato la legge immigratoria e il territorio di uno stato membro?
Tanto prima o poi un giudice (politicizzato)… favorevole lo si troverà, aspettando che cambi … il vento.
L’opinione pubblica italiana però nelle tornate elettorali successive premia ancor di più la Lega e allora bisogna usare anche altre armi per abbattere un governo popolare ostile.
Ecco, perciò, la Dichiarazione di infrazione al bilancio, che alla fine si conclude con un pari e patta, grazie alla lodevole mediazione di Conte. Dopotutto il traghettatore futuro bisognerà pure valorizzarlo.

La restrizione dell’1,6 sul Def italiano è la mossa finale. Anche se nessuno analizza il perché Germania e Francia possano andare ben oltre. E’ la strategia che costringerà Salvini – in contrasto con i nuovi acquisti Ue (Conte e M5S) - a ribaltare il Governo, come infatti avviene.
Tutti pensano convinti alle elezioni (Lega, M5S, Pd …), ma non han fatto i conti coi piani segreti. Infatti Conte non si dimette subito; o meglio: probabilmente dal Quirinale gli viene consigliato di aspettare due settimane per far decantare la situazione.
Che deve decantare? Semplice, deve entrare di nuovo in scena e scendere dall’Aventino quel ragazzotto bambinone che a parole dava addosso all’Ue, ma che poi diceva sempre signorsì a Merkel & C: Renzi. Colui a cui basta fargli vedere il giocattolo del trono e si rimangia pure il padre, la madre, la moglie e soprattutto pure tutto il Pd.
Il quale, da gagliardo pinocchio pure nel naso, deve fare, dopo aver smentito mille volte, la sua dichiarazione a sorpresa: facciamo il  governo con i grillini!
Sconcerto nel Pd e in M5S, nemici giurati fino a un attimo prima, per la regola: i nemici dei miei nemici sono nostri amici. Parafrasando: i nemici della Lega son tutti nostri amici.
Alé, siamo a cavallo! Ci vorrà un po’ di tempo, ma lo si farà con l’aiuto del Quirinale.
Ovviamente nel Pd, tolto Calenda che se ne va nauseato, tutti cambiano idea entusiasti, compresi quelli di Leu, perché diversamente vi è solo l’alternativa d’essere annientati dal voto e di scomparire per almeno cinque anni, se non per sempre. Tutti, infatti, Conte in primis, hanno la cittadinanza onoraria a Collodi.
La Commissione Ue gongola, perché la sua priorità non era evitare una crisi di governo, bensì impedire che con nuove elezioni la Lega tritasse tutti gli altri partiti e governasse da sola; allora sì che per Ursula & C. sarebbero stati guai seri.

Il governo è varato, la fiducia è concessa ma un colpo di scena colpisce la maggioranza di governo e il governo stesso: Renzi lascia il Pd con le sue truppe, dimezzando il Pd stesso e lasciando avamposti importanti nello stesso Pd.
Perché ciò avviene dopo la fiducia e non durante la crisi o prima? Semplice: le carte si sarebbero rimestate e, come si lamenta poi Conte, ciò avrebbe influito sul suo sciogliere la riserva.
Farina di Renzi o della lunga mano dell’Ue?
Analizziamo le conseguenze.
Se Renzi avesse lasciato il Pd prima dell’apertura della crisi è molto probabile che la sua decisione di fare il governo con i grillini non avrebbe avuto l’appoggio di Pd e Leu. Stando ancora nel Pd, invece, la decisione compatta le forze di Sx, pur spiazzandole.
Se lo avesse fatto a crisi aperta la situazione si sarebbe ulteriormente aggrovigliata, perché invece di tre partiti ad appoggiare il governo ce ne sarebbero stati quattro e i grillini difficilmente avrebbero accettato un tal minestrone.
Facendolo invece a fiducia avvenuta si aprono due scenari interessanti.
Il primo per l’Ue che avrà buon gioco a imporre le sue condizioni e a ridurre il potere del Pd sia in Italia che in Ue (Sassoli e Gentiloni) perché Renzi coi suoi sarà il decisore delle sorti del nuovo esecutivo, dimezzando pure Conte e Gualtieri.
Il secondo in Italia perché la nuova creazione renziana può scompaginare pure il centrodestra, sottraendole alcuni deputati e senatori, oltre a ridurre il potere decisionale – se mai ne abbia avuto - di M5S.

Divide ed impera, era il principio dell’antica Roma. Perciò, seguendo il cui prodest dei fatti, pure Renzi sarà un soggetto debole. Tanto debole che in caso che il governo saltasse presto tutte le forze dell’attuale maggioranza rischierebbero una débâcle apocalittica. Pure lui non potrà alzare troppo la cresta col governo.
Perciò un governo debole e le forze che lo appoggiano deboli saranno alla mercé dell’Ue, non avendo voce in capitolo. L’unica loro alternativa è di stare insieme alla meno peggio per non rischiare di scomparire.

In Umbria tra poco si vota e il Pd è costretto a correre ai ripari per fronteggiare la scissione renziana: forte penale per gli eletti che cambieranno casacca. Fermo restando che questa minaccia, come quella del M5S, è più teorica che concreta, specie se verrà portata davanti a un tribunale.
I risultati umbri, pur con l’alleanza Pd-M5S, stravolgeranno comunque l’equilibrio delle forze attuali governative, specie se i grillini dovessero continuare a perdere consensi. Prima fagogitati dalla Lega e ora dal Pd. Un Pd, però, azzoppato da Renzi.
Se poi il centrodestra dovesse vincere alla grande e non di misura, allora sarebbero decisive per il governo le elezioni dell’Emilia Romagna, specie se pure questa roccaforte di Sx dovesse essere espugnata. Perché è ovvio che lì i renziani proporranno quasi sicuramente un loro candidato contro quello del Pd.

Salvini e la Lega, col centrodestra tutto, stanno per ora alla finestra. Se aumenteranno ancora il consenso ottenuto alle europee, specie se dovessero stravincere, allora il governo attuale, pur essendo parlamentare, perderebbe ogni credibilità politica.
Perché, in sostanza, se l’Ue e la Sx per ora con il beneplacito di Mattarella hanno parato il colpo, è ovvio che difronte ad una nuova avanzata leghista si troverebbero molto in difficoltà.
Il loro rischio è uno: quello di creare in Italia una “dittatura democratica”, con la Lega che potrebbe ottenere un consenso tale da poter governare da sola.
Allora o l’Ue dovrebbe cambiare molto della sua politica, oppure spaccherebbe l’Ue stessa.
A Bruxelles ciò è ben chiaro. Tanto chiaro d’aver creato (favorito) un governo fantoccio per guadagnare tempo.

Gli storici ricordano bene il governo (1936-1937) di Léon Blum. Perché il Conte bis ha, pur a distanza di un secolo,  molte analogie di causa ed effetto con quello.