Spulciando la classifica del F.M.I. (I.M.F. in inglese) relativa al reddito lordo procapite del 2010 si nota che l’Italia possiede un reddito di circa 34.000 $ e la Grecia di circa 27.000 $.
In base a questo dato appare che ogni cittadino italiano produca circa il 26% in più all’anno del suo omologo greco.
Confrontando l’ammontare dei rispettivi Debiti sovrani, si nota che sia il cittadino italiano sia quello greco hanno un debito procapite di 30.000 € circa.
Dividendo i rispettivi Debiti sovrani si ottiene il coefficiente 5,5 mentre dividendo la superficie si ottiene quello di 2,31.
Calcolando i patrimoni familiari e dividendoli coi rispettivi Debiti sovrani si ottiene che in Italia vi è un rapporto di 6 a 1, mentre quello greco di solo 1 a 0,5.
Il Debito sovrano greco, inoltre, è al 150% del Pil, quello italiano solo al 118%.
Rapportando i vari dati presi in considerazione la Grecia ha un rapporto migliore solo nell’indice di superficie ed è peggiore in tutti gli altri.
L’unico dato che li vede appaiate è il debito procapite.
L’Italia, inoltre, ha delle zone geografiche fortemente trainanti e innovative, anche se ne ha altre improduttive e zavorranti. La Grecia, invece, è più omogenea, perciò tecnicamente meno avanzata.
La Grecia è molto più simile al centro-sud italiano.
Per ridurre il Debito sovrano si può operare su diversi fronti in base alla linea economica che si intende adottare: a) aumentare le tasse, b) ridurre le spese con drastici tagli, c) incrementare il Pil rilanciando la produzione, d) procedere simultaneamente con tagli di spese improduttive e investimenti per potenziare la produttività.
Ogni ricetta ha i suoi pro e contro; perché è ovvio che l’economia abbia bisogno del credito per espandersi, perciò di fare ricorso al risparmio disponibile.
L’aumento delle tasse riduce il risparmio e i consumi, i tagli riducono l’occupazione e il rilanciare la produzione richiede grandi investimenti.
Incrementando il Pil dell’1% medio annuo, ci vogliono ben 70 anni per raddoppiarlo; portandolo al 2% solo 30.
Il Pil non è mai graduale, ma è soggetto a molte variabili: sviluppo, consumo, esportazione e espansione/recessione economica internazionale.
Ogni variabile può però produrre inflazione, perciò in parte vanificare l’aumento del Pil nel suo rapporto col Debito.
Avere un’alta inflazione significa anche svalutare il proprio Debito sovrano, giacché chi lo detiene avrà alla fine un capitale uguale nell’importo, ma minore nel potere d’acquisto.
La Cina e l’India stanno avendo uno sviluppo a 2 cifre, perciò molto alto.
Il loro sviluppo ha però fatto aumentare le materie prime e sta producendo una forte spinta inflattiva interna superiore al 5%.
La spinta inflattiva è causata di norma da una forte richiesta di beni interni, perciò da una propensione al consumismo. Il consumismo porta abitualmente con sé un’emulativa perequazione sociale con aumenti salariali, atti a sostenere il maggiore consumo, detraendo perciò prodotti finiti all’esportazione oltre che ad importarne altri per soddisfare il consumo interno.
Un forte sviluppo industriale ha bisogno di grandi capitali, perciò rastrella il risparmio e aumenta l’esposizione finanziaria dei vari soggetti interessati. Ciò riduce il credito a disposizione e innalza i tassi che seguono la logica della domanda e dell’offerta.
Gli istituti finanziari, perciò, devono fare ricorso alla leva, per bilanciare la quale hanno bisogno di aumentare le riserve per equilibrare il rischio espositivo.
La leva, in presenza di scarse risorse e di ingenti Debiti sovrani e privati (aziende e cittadini), opera in un sistema virtuale, attingendo dunque a capitali inesistenti non essendoci molto risparmio.
Il sostegno economico per evitare il default di Grecia, Irlanda e Portogallo – ad esempio – è stato fondato (e si fonda) sulla finanza creativa, perciò attingendo a risorse virtuali inesistenti che hanno prodotto ulteriore debito.
Le varie nazioni Ue, ognuna secondo la sua quota di sostegno, hanno/avevano tutte già voluminosi Debiti sovrani; perciò per sostenere le nazioni a rischio fallimento devono/dovranno reperire risorse unicamente virtuali che portano/porteranno l’unico risultato di espandere i rispettivi Debiti sovrani.
La Grecia, ad esempio, pur nelle sue enormi difficoltà deve farsi carico, in base alla sua quota, del sostegno economico concesso ad altri paesi, come ad esempio è stato per Irlanda e Portogallo. E questi, a loro volta, farsi carico del sostegno alla Grecia.
La politica Ue, Bce e Fmi è, di conseguenza, in un circolo vizioso!
L’ultima crisi finanziaria ha evidenziato i rischi di un insufficiente patrimonio di garanzia alla leva, anche se i pericoli sono venuti non tanto da una forte concessione di credito all’industria, ma da una speculazione generalizzata finanziaria sbagliata che, a sua volta, godeva (e gode) di leva eccessiva spropositata al rischio.
Ciò è successo non solo a grandi finanziarie, ma anche ai singoli paesi Ue.
Nazioni come Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna negli scorsi anni hanno sì innalzato notevolmente il Pil e il reddito lordo procapite, ma, basandolo su leva spropositata, hanno creato, ognuna nel loro ruolo di competenza, delle bolle speculative che alle prime avvisaglie di difficoltà sono poi esplose.
La troika Bce, Ue e Fmi ha concesso ulteriori aiuti alla Grecia, senza i quali questa sarebbe fallita in un paio di settimane.
Tuttavia si sono opposte finora – specie la Bce – alla ristrutturazione del Debito greco, puntando sull’adesione spontanea alla formalizzazione di questo.
Chi dovrebbe formalizzare il debito sono ovviamente le grandi banche che detengono consistenti pacchetti di titoli in portafoglio, che perciò alla loro scadenza dovrebbero aderire a rinnovare tali titoli pur con minori interessi attivi. Il che, considerato il rischio elevato che tali titoli comportano, pare irrealistico se questi non continueranno ad essere garantiti dall’Ue stessa.
Ciò significherà continuare ad immettere ulteriore denaro ancora a lungo nella sfondata tinozza greca.
La Grecia, in effetti, è un paese già fallito, perché pur con gli aiuti comunitari e mondiali non potrà continuare a lungo a pagare interessi a 2 cifre che oggi superano il 15%.
Facendo un’appropriata similitudine la Grecia è come una grande vasca da bagno piena d’acqua (i capitali necessari a vivere) a cui, però, si è rotto da molto tempo il tappo di scarico.
Sicché per tenerla piena non vi è altro modo che lasciare la spina dell’acqua sempre aperta (continuare ad immettere liquidità).
Diversamente in un batter d’occhio si svuoterebbe tutta.
Il problema comunitario non è tanto quello di continuare a finanziare la Grecia per non costringerla al default, ma di evitare che altri paesi a grave rischio facciano altrettanto.
In pratica tutti quelli con un elevato Debito sovrano.
In ordine di precarietà: Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia.
Se ciò avvenisse l’Euro, e L’Ue stessa, salterebbero immediatamente.
I mercati finanziari sono soggetti a fibrillazioni violente mettendo sotto pressione le grandi società finanziarie. Le quali, tutte, stanno attingendo al mercato sia per le imposizioni di Basilea 3, sia perché per reggere al deprezzamento continuo dei titoli hanno bisogno di ricapitalizzare.
Tutte le società che finora hanno ricapitalizzato sono state punite dal mercato nel valore del titolo. Ciò significa che la ricapitalizzazione è avvenuta come per i Miserabili di Hugo: in pratica sostenendosi a vicenda nelle rispettive compartecipazioni.
Ciò significa che il privato risparmiatore ha preferito non immettere altri capitali nella grandi finanziarie, colpito da tempo da una riduzione continua del proprio patrimonio complessivo per il depauperamento del valore dei titoli.
Tra non molto la Grecia sarà ancora sotto attacco e ci si chiede fino a quando la Bce si opporrà all’inevitabile ristrutturazione del Debito ellenico. È impensabile, infatti, che si possa continuare all’infinito ad immettere liquidità, seppur virtuale, per sostenerla, anche perché ogni previsione di intervento va subito corretta in peggio.
La ristrutturazione sarebbe in pratica una specie di concordato preventivo, anche se con modalità diverse e diluito nel tempo.
I tagli che il governo ellenico – pur tra moti di piazza – ha effettuato, e farà, sono solo dei surrogati momentanei, compresa la vendita dei gioielli nazionali (aziende, isole, coste, monumenti …) ipotizzati.
Ridurre drasticamente i Debiti sovrani significa, inevitabilmente, tornare decenni indietro nel tenore di vita. Perciò lavorare molto di più, guadagnare meno, risparmiare e consumare poco.
Altresì avere più doveri e meno diritti.
Rilanciare gli investimenti significa, visto il contesto delle economie mondiali, puntare tutto sul finanziamento virtuale, rischiando di peggiorare la situazione e di renderla priva di una via di ritorno.
La Fed ha continuato ad immettere grande liquidità sul mercato, ottenendo il risultato di creare una nuova bolla speculativa, nettamente visibile osservando il diagramma del Dow Jones; che però, ora, ha iniziato a flettere da alcune settimane, zavorrato dai dati sulla disoccupazione in leggera crescita e trascinando al ribasso anche gli altri mercati.
Tuttavia l’economia Usa zoppica ancora e i problemi sono lungi dall’essere stati risolti come i dati occupazionali e di macroeconomia indicano chiaramente, anche se vi sono alcuni lampi di luce tra la penombra incombente.
La Bce ha immesso (bruciato) grandi quantità di denaro per sostenere le nazioni Ue in difficoltà e calmierare gli attacchi ai Titoli sovrani, non riuscendo affatto a risolvere il problema, ma procrastinandolo solo. E allo stesso modo hanno agito i Governi locali per salvare grandi finanziarie.
Tutti - Fed, Bce e governi - lo hanno fatto in modo virtuale, perciò attingendo a risorse del mercato inesistenti, che impongono perciò delle grandi ricapitalizzazioni.
Nessuno ha voluto ridisegnare i mercati finanziari, limitare le speculazioni e assoggettare i titoli sovrani a ferree linee di stabilità, affidandoli alla gestione della banca centrale che li sottragga alla volubilità dei mercati.
Nessuno, inoltre, in ossequio al libero mercato, ha voluto mettere mano a quelle riforme strutturali che vincolino le multinazionali a diventare distretto industriale o finanziario di ogni singolo paese in cui vogliano operare.
Nessuno, infine, ha voluto scindere nettamente l’investimento produttivo da quello speculativo, regolamentandolo in modo diverso onde favorirlo per produrre sviluppo.
Il mondo islamico è in forte subbuglio sociale; ma alcuni esperti si stanno facendo la netta idea che la spinta democratica e libertaria venga manipolata da alcune nazioni per fini non proprio ortodossi.
E il fatto che, più che un popolo unico, siano ovunque le varie tribù che si contrappongano frontalmente per assumere, o conservare, la gestione del potere, rende sempre più netta la convinzione, magari con l’aiuto esterno, palese o diplomatico delle nazioni occidentali, che i concetti di libertà e di democrazia siano solo socialmente manipolati e non veramente concepiti.
Nuove guerre non risolveranno i Debiti sovrani; però, come avvenne dopo il ’29, possono servire ad ottenere la supremazia sulle materie prime.
Che poi, come avvenne allora, queste portino oltre a morti e distruzioni, un’enorme inflazione in grado di abbattere i Debiti sovrani, questa può essere solo una conseguenza ipotetica.
I Debiti sovrani hanno affossato le economie occidentali e l’investimento virtuale ha, nel tempo, creato i suoi perniciosi frutti visibili.
La globalizzazione ha tolto i capitali al controllo delle nazioni, lasciandoli liberi di viaggiare e speculare. In pratica le grandi multinazionali hanno imposto i loro interessi di libertà assoluta operativa alle singole nazioni, diventando prioritarie ai singoli stati.
Finora i rimedi dei grandi strateghi economici e finanziari hanno fallito il loro compito, forse perché le persone sono le stesse che ci hanno condotto in questa situazione deplorevole.
Ridurre drasticamente i Debiti sovrani può portare ad una stagnazione economica; tuttavia ridurrebbe di molto il rischio default.
Il vero problema è che nessuna classe politica occidentale – di maggioranza o di opposizione – intende seguire una via politica e economica di rigore tanto impopolare che porterebbe meno voti. Ciò comporterebbe imporre ai cittadini una sostanziale riduzione del tenore di vita e del welfare sociale e il dire, chiaramente a tutti, che si è vissuti sopra le reali possibilità economiche e che in questo modo non si può procedere oltre.
Perciò è molto meglio cavalcare la tigre dell’ottimismo e della protesta frontale ad eventuali tagli, anche se necessari, correndo così verso il baratro come l’Argentina.
Sicché, quando ciò avverrà, poi sarà peggio per tutti, come la storia insegna.
Non vi può essere un sano sviluppo senza la riduzione drastica degli imponenti Debiti sovrani creati volutamente nei decenni scorsi per avere consenso e più voti.
Al massimo, con la finanza creativa, si possono creare delle provvisorie bolle speculative atte a dare la sensazione di ripresa, ma non a risolvere il vero problema del Debito sovrano, né, di conseguenza poter rilanciare l’economia con capitali veri e non virtuali.
La politica economica italiana di questo periodo è stata improntata al rigore dei conti; ciò ha permesso, da un lato, di mantenere in linea di galleggiamento l’economia e, dall’altra, di riservare risorse allo welfare, specie con la CIG, difendendo le parti sociali deboli.
L’incremento del Pil è stato lieve, ma comunque stabile nel tempo.
Non si sono fatti grandi investimenti, ma non si sono neppure assommati altri ingenti debiti ai precedenti.
Tuttavia il solo apparire di una variabile politica alle ultime amministrative ha indotto un’agenzia di rating a ridurre a lungo periodo il giudizio sull’Italia, innestando, come sempre in questi casi, una certa turbolenza sui mercati.
Ciò significa che, se l’Italia cambiasse linea economica, la stabilità dei conti sarebbe probabilmente compromessa, avvicinando il destino italiano a quello degli altri paesi P.I.I.G.S.
Perché, quando uno stato deve pagare, per avere crediti, una somma considerevole della ricchezza prodotta, è ovvio che questa, specie se considerevole, detragga risorse basilari sia allo sviluppo del paese in oggetto, sia agli investimenti necessari per accrescere il Pil e, con questo, la ricchezza di ogni singola nazione.
Troppe nazioni hanno un Debito sovrano eccessivo; e, se i tassi dovessero crescere, sarebbero grandi dolori e ulteriori ingenti risorse bruciate dagli interessi passivi e detratte agli investimenti.
Ecco perché un grande Debito è il maggiore impedimento all’aumento del Pil.