domenica 25 aprile 2010

Berceto: quando la storia è mal letta e interpretata.

La Storia, di norma, la si legge non guardando solo al fatto singolo accaduto, ma inglobando gli avvenimenti nel contesto generale che li ha generati.[1]

Sono in Toscana per alcuni giorni e non sono in buona forma.

Ciò nonostante nel pomeriggio domenicale accetto di salire a Berceto per la rievocazione storica dell’eccidio, là accaduto il 17-04-1944, che vide perire ben 11 persone.

Del fatto non conosco quasi nulla, se non a sommi capi. Il mio interesse è dovuto solo all’analisi sociale che ne posso trarre dalla celebrazione e dalla rievocazione che ne verrà fatta.

Al mattino, nella pieve romanica di S. Bartolomeo a Pomino[2], è stata celebrata una messa in suffragio dei caduti.

Il giorno prima, sabato, è stata inaugurata nell’aula consiliare di Rùfina una semplice ma interessante mostra del territorio su quel periodo, abbinata ad un’esposizione di oggetti di pace ricavati da schegge di bombe.

Nel pomeriggio giungo a Casa Fonte, graziosa e povera fattoria d’altura dei secoli scorsi, di proprietà, come tutto in zona, del latifondismo dei Frescobaldi, retaggio nobiliare del Granducato di Toscana.

Poco sopra Pomino vedo le belle e ben tenute residenze nobiliari settecentesche, indice emblematico della disparità sociale di quel tempo.

Casa Fonte è su un poggio a circa 600 m di altitudine, luogo intermedio tra Canispattuli e Berceto. Qui è stato posto il raduno.

È posta su un ampio pianoro a forma di grande catino, leggermente degradante verso valle, completamente dedicato a robusti vigneti ben tenuti.

È attorniata, a monte, da basse colline boscose, tra le quali serpeggia una carrareccia mal tenuta che punta ad un santuario/oratorio francescano (Madonna del Carmine ai Fossi) ormai in totale rovina, nel quale, fino a tempo fa, faceva bella mostra di sé una preziosa terracotta di ceramica invetriata di Andrea della Lobbia, poi traslata nella pieve di Pomino.

Il santuario, a cui salgo dopo la cerimonia, è in completa rovina. Resistono in parte, pur pericolanti, la struttura della chiesa e della residenza francescana. L’oratorio, posto dietro la chiesa stessa, è quasi completamente crollato e difficilmente recuperabile, pur avendo archi, in pietra arenaria berettina, di buon pregio artistico.

Poco distante si notano tra le sterpaglie incalzanti i ruderi perimetrali di un’altra costruzione, forse adibita a suo tempo a ostello notturno del viaggiatore.

Fa ancora, tra cotanto squallore, ottima presenza di sé il bel campanile a vela in blocchi di pietra squadrata.

Davanti alla chiesa, a somma ironia, un cartello segnaletico bilingue, italiano e inglese, dichiara l’antico fasto di un oratorio posto sulla carrareccia che portava all’abbazia di Vallombrosa, quasi dirimpettaia, e, proseguendo, fino alla Verna.

Mi è inconcepibile il comprendere come si possa lasciar andare alla malora simili monumenti, testimoni di vita, cultura e storia locale dei secoli scorsi.

Berceto si trova a poca distanza (200/300 m circa) da Casa Fonte, collegato a questa da un tratturo pianeggiante ai cui lati fanno bella mostra di sé delle primule, delle violette ed alcune pervinche.

Intorno, il ceduo si sta risvegliando e un grande e imponente noce, nei pressi delle case, emette le sue turgide gemme.

L’abitato è un misero manipolo di pochissime case addossate una all’altra in un blocco rustico, unico e povero, ormai in totale abbandono, pericolante e con tetto e solette lignee crollati.

Giungendovi, sul frontale, si nota in alto un’intonacatura, su cui un tempo vi doveva essere la denominazione “Berceto”, ora solo intuibile alla buona volontà del visitatore.

Vi è pure, sulla parete, una piccola lapide che ricorda la tragedia avvenuta.

Sull’angolo a sud della casa vi è una croce piantata a terra e, accanto, un cartello che rievoca i fatti e le vittime.

Con notevole ritardo sul programma il corteo si compone; non vi è molta gente, circa un centinaio di persone, alcune delle quali conosco da tempo.

Vi è il gonfalone della Toscana, quello del Comune ospitante e organizzatore, quelli dei Comuni viciniori o che hanno subito vittime nell’eccidio e quello della Comunità montana.

Vi è pure la delegata prefettizia, la rappresentanza di alcune forze armate, dell’Anpi e i gonfaloni di un paio di associazioni di volontariato.

Brillano nella loro totale assenza, non saprei dire se per disinteresse o perché non invitate, delegazioni delle scuole locali, di qualsiasi grado, e un rappresentante della Chiesa.

Vi è totale assenza dei media.

Vi sono anche alcuni familiari dei deceduti, compresa una signora, allora ragazzina, che per puro caso, avendo seguito il padre per alcune mansioni giornaliere, scampò all’eccidio dell’intera famiglia.

Giunti sul luogo dell’eccidio l’assessore alla cultura locale fa gli onori di casa, ricordando brevemente i fatti. Indi passa la parola ai politici.

A casa Fonte, intanto, un binomio, dedito a chitarra ed a canti sulla resistenza, inizia il suo stridulo e inopportuno gorgheggiare, proprio mentre la commemorazione entra nel vivo.

Inizia la Presidente del CC di Rùfina, improntando il suo breve intervento non tanto alla rievocazione storica, bensì all’umanità, al sudore e ai sacrifici di chi là viveva per poter vivere.

Poi, via via, si alternano gli interventi di altri politici locali, i quali, più che saper leggere la storia passata, traggono dai fatti accaduti reminescenze sulla situazione politica attuale, compresi alcuni abbinamenti (inverecondi) su chi intende assumere su di sé maggiore potere per poter decidere per tutti.

Il colore delle amministrazioni locali è ovvio; assai meno il ragionamento e le deduzioni politiche.

Nessuno degli oratori, ad eccezione della rappresentante prefettizia (che peraltro cita il libro[3] e la testimonianza di una cara e gentile mia conoscente che su di sé porta ancora il trauma, inconsciamente rimosso, della tragica visione personale di quel sangue e di quelle morti), si attengono al ricordo del tragico fatto, al periodo storico e alle ideologie di quell’età, che portarono a quel funesto conflitto mondiale.

Chiude il sindaco locale, elucubrando sull’organizzazione e sul ricordo, su alcune aleatorie congetture politiche e impreziosendo il proprio discorso con due perle simultanee (ortofonica e sintattica) in uno stesso verbo, peraltro poi ripetuto a … vanto dei posteri.

Nessuno, ovviamente, impronta il discorso sulle ideologie del ‘900, che portarono all’instaurazione dei vari fascismi di dx e di sx (Lenin prima e Stalin poi, Hitler, Mussolini, Franco, … Castro, Tito), al debole e cachettico Governo di Léon Blum e all’ideologia cattolica del personalismo, che intendeva fronteggiare erroneamente con la teocrazia fenomenologica individualista, basata sulla centralità della persona e sulla priorità della coscienza individuale, i totalitarismi del secolo scorso.

Nessuno “sa”, perché mi pare ovvio, citare le conseguenze sociali (ed economiche) della prima grande guerra statica di trincea, a cui si sostituisce la seconda, di veloce movimento per la motorizzazione degli eserciti e per l’aviazione, con tutto ciò che quest’evoluzione comporta nelle strategie e nella logistica.

Nessuno si addentra nelle modalità e nelle leggi guerresche, sulla responsabilità civile e nel buonsenso dei combattenti, il cui intento maggiore avrebbe dovuto essere quello di salvaguardare la popolazione inerme da possibile rappresaglia, considerato che il civile diventa necessariamente un bersaglio tra due fuochi.

Berceto, al di là di possibili storie di tradimenti, fu uno di quei fatti tragici che coinvolsero degli “innocenti”, rei unicamente di dare ospitalità momentanea al proprio prossimo.

Lo si ricorda, commemora, evidenzia e valorizza non con una convention politica auto celebrativa delle amministrazioni locali, passerella quasi narcisistica del proprio essere con fascia tricolore, bensì coinvolgendo le nuove generazioni e le scolaresche con la cognizione storica e ideologica di quel tempo e delle conseguenze che ciò arrecò, senza cercare forzatamente, a decenni di distanza, il totem del capro espiatorio su cui addossare tutte le colpe, specie se il totem è solo fazioso.

Pure nel mio paese natio vi furono dei morti; e vi furono perché uno sparuto gruppo di “partigiani” intese “provare” a fermare una colonna militare tedesca in ritirata, e armata di tutto punto, contro l’ordine emesso dal CNL di lasciarla passare, essendo stato già programmato dall’aviazione alleata un bombardamento aereo della stessa nella piana camuna e aperta di Darfo.

Come poi avvenne.

E si volle attaccare, da dilettanti irresponsabili, proprio quelle truppe che avevano retto per due anni agli alleati a Montecassino, o in altra zona essendo il mio ricordo attualmente sfuocato.

I prodi fuggirono subito tra i boschi montani, la popolazione tutta fu rastrellata, vi furono due morti tra i tedeschi per una bomba a mano che rovesciò il primo camion della colonna, alcuni tra la popolazione, e case incendiate (compresa quella del nonno materno) da bombe a mano.

Il paese si salvò solo per la dedizione dell’arciprete e di alcuni volontari che si offrirono come ostaggi e scudi civili, che permisero ai tedeschi di superare indisturbati le forche caudine di Poltragno dove vi poteva essere un attacco.

Narrazione che lo stesso benemerito arciprete mi raccontò a viva voce quand’ero ragazzo.

Proprio, come mi parve di capire, Pomino fu salvato dalla mediazione di un prete locale che, parlando bene il tedesco, trattò con il comando e ottenne che la strage si fermasse solo al quel nefasto doloroso eccidio.

Sulla statale che fiancheggia la 42 si affacciano numerosi paesi; quegli stessi paesi che, pur attraversati dalla colonna tedesca, non ebbero né morti né alcun danno materiale.

Perciò un interrogativo si impone sugli assalitori e sugli assaliti.

Rivangare sul tenebroso tempo che fu non è proficuo, specie se si vuole distinguere il giusto dall’ingiusto, l’eroe dal carnefice, il martire dall’aguzzino.

Ognuno combatté per ciò che, allora e nella sua coscienza, riteneva un ideale giusto.

Al Nord la Repubblica di Salò accentuò questo tragico passaggio storico, opponendo repubblichini a resistenza in aggiunta ai tedeschi.

Vi furono degenerazioni da entrambe le parti, specie sulla popolazione inerme; ma, là dove vi fu lungimiranza e trattativa, si salvarono molte vite umane.

L’assenza di un rappresentante della Chiesa alla commemorazione civile di Berceto (anche se anticipata dalla funzione religiosa mattutina) è un fatto che non saprei definire se occasionale o voluto. Sta di fatto che è una carenza importante anche a livello istituzionale.

Perché credo che una semplice benedizione e una breve preghiera, sul luogo dell’eccidio di battezzati, non sarebbe guastata, come poi non guastarono i solenni funerali delle vittime a cui tutta la popolazione tributò il giusto onore a suo tempo.

Il ricordo storico non si deve spegnere. Si deve, però, spegnere totalmente quell’odio che insanguinò tutte le nostre terre.

Un odio che ormai non coinvolge più gli attori, ormai tutti scomparsi, di quel drammatico periodo, ma anche la nostra attuale società basata sulla contrapposizione frontale.

E per farlo spegnere il ricordo è importante: quel ricordo che però fa comprendere il perché e il per come ciò sia accaduto non solo a Berceto o ai tanti “Berceto” italiani, ma in tutta Europa e in buona parte del mondo.

Per farlo bisogna comprendere, conoscere e divulgare quelle filosofie e ideologie che portarono a ciò, sia a livello nazionale che a livello individuale. Specie tra le nuove generazioni.

La storia, come nella citazione iniziale, non la si legge solo da una parte o in un semplice avvenimento; la si legge nella sua complessità partendo dai prodromi e arrivando agli epiloghi.

E ciò nel mutuo consenso del voler essere popolo e nel comprendere le ragioni dell’altro, anche di chi non la pensa come noi.

Una nota importante va riservata alla salvaguardia dei luoghi storici che videro non solo quei tragici eventi, ma anche pagine di storia di quotidianità, di fede, di vita, di cultura, di abitudini e di solidarietà.

Ed allora il recupero di certi edifici, indipendentemente a chi appartengano oggi, è basilare non solo per ricordare, ma per rivivere e valorizzare quei valori inalienabili, calpestati e infranti dal sopruso di alcuni.

Perché quando un monumento storico come il piccolo abitato di Berceto va in totale rovina, oppure come l’oratorio della Madonna del Carmine ai Fossi viene abbandonata al suo tragico destino, allora è importante ribadire che nessuna rievocazione annuale di immagine istituzionale può suffragare il sacrificio di innocenti o il lavoro e gli ideali che han fatto la storia nostra.

E ciò specie se le giovani generazioni, con la scuola in primis, venissero sempre dimenticate, come se il futuro e la comprensione del passato non fosse un fatto loro.

L’ignorare il passato è un grandissimo vizio che porta, prima o poi, a ripetere gli stessi errori.



[1] - K. Häbsburg – Filosofia, sociologia ed etica nel nostro tempo - 1984

[2] - Per la precisione accanto, essendo la chiesa chiusa al pubblico da mesi per lavori di consolidamento che tardano ad essere effettuati.

[3] - Rosetta Masini – Memorie di una bambina - 2007